Se andate al cinema per svagarvi, per trascorrere due ore lontano dai guai quotidiani, per divertirvi, questo non è il vostro film. Evitatelo.
Ma se volete analizzare a fondo uno spaccato della realtà quotidiana, ma soprattutto interrogarvi su cosa sia la vita su quali aspetti, sensazioni e scopi ci riserva o il motivo per cui siamo nati, allora dovete assolutamente vederlo.
“La grande bellezza” di Paolo Sorrentino regista dai pochi film (il Divo, This Must Be the Place) è molto particolare, a partire dall’ambientazione: tutto girato a Roma.
Il regista, però, ci fa vedere una città eterna completamente diversa da quella che siamo abituati a vedere dal vivo, nelle fotografie o in altri film: è una Roma della borghesia decadente, legata irrimediabilmente all’aspetto religioso dove il registra lascia intravedere strane collusioni e dove sicuramente i sacerdoti non ci fanno una bella figura.
Il film si avvale dell’interpretazione di quello che personalmente considero uno dei più grandi attori italiani di tutti i tempi: Toni Servillo (Il Divo, Gomorra, Gorbaciof e molti altri) che per la quarta volta torna a recitare con Sorrentino, dopo la splendida interpretazione di Andreotti ne “il divo”.
Servillo è uno dei pochi attori italiani che riesce ad interpretare parti “impegnate” ad esprimere, solo con uno sguardo tutti i sentimenti che una persona ha dentro e sicuramente avrebbe meritato più successo di quello che ha avuto.
Tutto il film “gira” attorno a Servillo, alla sua vita alle sue sensazioni e mette in risalto un Roma sciatta, fatta da gente ricca ed annoiata che si trastulla tra feste insipide ed insignificanti, tra la ricerca di come far passare il tempo.
Una delle scene più belle è sicuramente il brevissimo battibecco tra Pamela Villoresi e lo stesso Servillo, poche battute taglienti, ma che a mio parere rappresentano tutta l’essenza del film.
Come scritto nel titolo di questo articolo il film è lento, ostinatamente lento malgrado le serate in discoteca e con la musica assordante e le donne che si spogliano.
A tratti è persino palloso con musica lirica ridondante a volte persino odiosa.
Nelle scene e nelle scene iniziali poi, è pure enigmatica e non facile da capire: lo spettatore ad un certo punto arriva a chiedersi “ma perché sono andato a vedere un film del genere?” ma più va avanti e più il film diventa interessante perché dopo un illustrazione iniziale della vita notturna dei ricchi decadenti di Roma, Sorrentino fa emergere il vero scopo per cui – a mio avviso – abbia realizzato il film, cioè interrogarsi su quale identità vogliamo dare alla nostra vita e quale sia il nostro scopo di vivere.
Il film è lungo, ostinatamente lungo, perché 150 minuti di un film del genere sono persino esagerati, eppure il tempo, cosa da non credere, passa veloce, e quando lo spettatore si alza non si rende conto del tempo trascorso sulla poltrona. Segno questo che il film è piacevole e lo spettatore, malgrado tutto si alza soddisfatto del prodotto, anche se non può evitare di interrogarsi sulla propria vita e sul modo in cui lui la affronta.
1° giugno 2013