Lavori di manutenzione dei balconi: riepilogo della ripartizione delle spese in relazione ai singoli interventi.

Quando ci si appresta a discutere in assemblea della possibilità di manutenzione dei balconi ci si imbatte in due problematiche fondamentali: 1) il prezzo 2) la suddivisione dei costi.

Per quanto riguarda il primo punto il mio consiglio è di affidarsi in primis ad un professionista (geometra, architetto o ingegnere) il quale potrà raccomandare l’intervento più adatto e redigere un computo metrico estimativo dell’opera, che è una elencazione delle quantità di ogni categoria di lavoro necessarie per la realizzazione dell’intervento previsto calcolato in base ai costi dei materiali e della manodopera definito dal prezzario regionale. Il rivolgersi ad un professionista è fondamentale, anche se potrebbe apparire come una spesa inutile, in quanto garantisce l’investimento migliore a lungo termine (basti pensare ai lavori di qualche anno fa dove i frontalini dei balconi venivano chiusi da scossaline metalliche senza intervenire realmente sul problema principale che affligge i balconi: infiltrazioni e carbonatazione dei ferri costituenti la struttura del balcone stesso).

Per la suddivisione dei costi, a meno che il regolamento condominiale non preveda suddivisioni specifiche per questo tipo di intervento, esistono varie sentenze della Cassazione che ci aiutano a capire quali siano attualmente i criteri accettati. E’ bene comunque comprendere prima che: “è del tutto evidente che i balconi non sono necessari per l’esistenza o per l’uso, e non sono neppure destinati all’uso o al servizio dell’intero edificio: è evidente, cioè, che non sussiste una funzione comune dei balconi, i quali normalmente sono destinati al servizio soltanto dei piani o delle porzioni di piano, cui accedono. D’altra parte, solo in determinate situazioni di fatto, determinate dalla peculiare conformazione architettonica del fabbricato, i balconi possono essere considerati alla stessa stregua dei solai, che peraltro appartengono in proprietà (superficiaria) ai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastante e le cui spese sono sostenute da ciascuno di essi in ragione della metà (art. 1125 cod. civ.). Per la verità, è possibile applicare, mediante la interpretazione estensiva, la disciplina stabilita dalla citata norma di cui all’art. 1125 all’ipotesi non contemplata dei balconi soltanto quando esiste la stessa ratio. Orbene, la ratio consiste nella funzione, vale a dire nel fatto che il balcone – come il soffitto, la volta ed il solaio – funga, contemporaneamente, da sostegno del piano superiore e da copertura del piano inferiore”. (Cass. 21 gennaio 2000 n. 637)

I BALCONI

I balconi cui applicare la ripartizione delle spese prevista dall’art. 1125 c.c. per ciò che concerne il piano di calpestio (che funge da soffitto) tra i confinati del piano superiore ed inferiore sono quelli così detti incassati, vale a dire quella tipologia di balcone che non sporge rispetto alla facciata dello stabile. Per questa categoria le spese per il rifacimento della parte frontale dovranno essere poste a carico di tutti i condomini ai sensi dell’art. 1123, primo comma, del c.c. poiché tale parte fa parte integrante della facciata dell’edificio.

Leggermente diversa la situazione per i balconi aggettanti. Innanzitutto con tale dizione si identificano quelli che sporgono rispetto alla facciata dell’edificio. La giurisprudenza è costante nell’affermare che “I balconi aggettanti, costituendo un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole” (Cass. 30 luglio 2004 n. 14576).

E’ evidente l’incertezza della situazione visto e considerato che la valutazione dell’incidenza sul decoro è questione chiaramente soggettiva che, per quanto ancorata a parametri estetici comuni, non può dar luogo alla formulazione di norme precise. Anche per questo la figura del professionista, in precedenza citata, sarà indispensabile al fine di definire la suddivisione dei costi affrontati.

 

Ripartizione delle spese per la pulizia delle scale ed illuminazione delle parti comuni

La ripartizione delle spese della pulizia delle scale è di grande attualità ed allo stesso tempo assai incerta. E’ utile ricordare quale norma si occupi specificamente di manutenzione e ricostruzione delle scale comuni.

L’art. 1124 c.c. recita: “Le scale sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo.

Al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune”.

A quali spese è applicabile la norma contenuta in questo articolo? Sicuramente gli interventi di ricostruzione, manutenzione ordinaria e straordinaria sono sottoposti al regime di ripartizione ivi previsto.

Si può dire lo stesso per le spese di pulizia delle scale? Fatto salvo il caso di espressa indicazione del regolamento di condominio di natura contrattuale, la questione è altamente incerta.

L’orientamento giurisprudenziale espresso dall’ultima pronuncia in merito, datata gennaio 2007, tende a negare tale applicazione o meglio, ritiene che l’art. 1124 c.c. non debba essere applicato interamente.

In tal senso ha affermato la Cassazione che “la ripartizione delle spese per la pulizia delle scale secondo quanto previsto dall’art. 1124 cod. civ., poi, è conforme alla ratio di tale disposizione, la quale va individuata nel fatto che, a parità di uso, i proprietari dei piani alti logorano di più le scale rispetto ai proprietari dei piani più bassi, per cui contribuiscono in misura maggiore alla spese di ricostruzione e manutenzione. Ugualmente, a parità di uso, i proprietari di piani più alti sporcano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani più bassi, per cui devono contribuire in misura maggiore alle spese di pulizia. Va soltanto chiarito che la ripartizione delle spese va fatta con applicazione integrale del criterio dell’altezza di piano; la disposizione contenuta nell’art. 1124 cod. civ., comma 1, secondo la quale la metà delle spese per la ricostruzione e manutenzione delle scale va effettuata in base ai millesimi, deroga, infatti, in parte a tale criterio (applicativo del principio generale di cui all’art. 112 3 cod. civ., comma 2) e quindi non può trovare applicazione analogica con riferimento a spese diverse da quelle espressamente considerate” (Cass. 12 gennaio 2007 n. 432).

Quindi, in base alla sentenza, la suddivisione della spesa seguirà come unico criterio l’altezza di piano che la scala serve e, ad esempio, ipotizzando una palazzina composta da 4 piani fuori terra ed 1 adibito a cantina al piano interrato ( individuati a partire dall’interrato come -1, 1, 1, 2, 3), la tabella relativa all’altezza sarà:

· somma dei piani di utilizzo componenti il condominio 1+1+1+2+3 = 8

· le cantine del piano interrato pagheranno in totale 1/8 della spesa

· gli appartamenti dell’intero condominio pagheranno in totale 1/8 della spesa per il piano terra

· gli appartamenti al primo piano pagheranno in totale 1/8 della spesa

· gli appartamenti al secondo piano pagheranno in totale 2/8 della spesa

· gli appartamenti al terzo piano pagheranno in totale 3/8 della spesa

 

Il mio consiglio è quello di controllare il contenuto del regolamento di condominio che, specialmente se di origine contrattuale, può contenere indicazioni più precise e vincolanti. In mancanza, la suddivisione delle spese andrà considerata di volta in volta anche in base a quella che è la prassi interna al condominio.

 

Tutti i condomini, ossia i proprietari (e gli usufruttuari) delle unità immobiliari facenti parti della compagine, devono contribuire alle spese per la conservazione delle parti dell’edificio. Solamente l’atto d’acquisto, il regolamento contrattuale o una deliberazione adottata con il consenso di tutti i comproprietari possono esonerare un partecipante dall’assolvimento di tale obbligo. La misura della contribuzione è determinata dalla legge sulla base di un criterio di proporzionalità tra il valore dell’unità immobiliare rispetto alle parti comuni ed è espresso in millesimi riportati nelle così dette tabelle millesimali (si vedano artt. 1118, 1123, 1138 c.c. e 68 disp. att. c.c.). Come per l’esonero dalla contribuzione anche per la quantificazione della stessa, solamente l’atto d’acquisto, il regolamento contrattuale o deliberazione adottata a maggioranza possono prevedere un diverso criterio di suddivisione dei costi.

Il codice civile non specifica rispetto ad ogni tipo di spesa il criterio da adottare. Esso, infatti, si limita ad individuare il genere di costo e le modalità di suddivisione dello stesso. In tal senso, ad esempio, sono chiari il primo e secondo comma dell’art. 1123 c.c.: Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.

L’ILLUMINAZIONE

Tra le spese che i condomini devono affrontare c’è sempre quella per l’erogazione dell’energia utile all’illuminazione delle parti di proprietà comune. Detto più semplicemente: come devono essere ripartiti i costi della bolletta della luce per le parti comuni? Al riguardo non esiste una specifica disposizione di legge che indichi il criterio d’applicare. Non è errato ritenere che la suddivisione di un costo del genere, trattandosi di spesa per il godimento delle parti comuni dell’edificio, possa essere effettuato sulla base dei millesimi di proprietà ai sensi del primo comma dell’art. 1123 c.c.. Nulla vieta, naturalmente, che i condomini, a maggioranza, decidano per un diverso criterio di ripartizione. In tal caso la decisione, che deve per forza di cose assumere forma scritta, potrà essere contenuta nell’atto d’acquisto, nel regolamento contrattuale o in una deliberazione adottata a maggioranza.

 

Come sempre sono a vostra disposizione per rispondere alle vostre domande e curiosità sul mondo dei condomini alla mail alessandro.dellovicario@gmail.com e presso il mio studio a Tortona in Largo E. Borgarelli n.3 dove tutti i clienti ed i lettori potranno usufruire di consulenza gratuita ed avere risposte precise ed esaurienti circa eventuali dubbi.

Alessandro Dello Vicario



 17 ottobre 2012