Entro il 23 ottobre la Regione Piemonte, dopo aver ricevuto le indicazioni dal Consiglio delle Autonomie Locali (Cal), dovrà trasmettere al Governo la sua proposta di riordino dei territori e quindi, in particolare, delle province.
Va ribadito che il PDL sin dal 2008 è favorevole all’abolizione delle province (ed anche nel programma delle elezioni del 2013 questo punto verrà riconfermato) e va ricordato che fin dal 2010 ho presentato in Consiglio Regionale un Ordine del Giorno sulle ipotesi di riordino territoriale delle nostre province.
Riteniamo doveroso, dopo quanto accaduto negli anni ’90, anche in altre parti del territorio nazionale, con una folle proliferazione di nuove province, andare verso una rimodulazione del loro numero.
Tuttavia, c’è da rammaricarsi che il legislatore non abbia voluto o potuto affrontare, come da tempo sarebbe stato necessario, il problema del riassestamento dell’ amministrazione locale in modo organico agendo con le norme di rango costituzionale che lo avrebbero permesso e che, dietro la spinta dell’urgenza dettata dalla crisi finanziaria internazionale, si sia arrivati a una decretazione d’urgenza che oggi pone tempi limitati e altrettanto limitati margini di iniziativa alle autonomie locali. E con più tempo a disposizione, le soluzioni sarebbero meno cariche di incognite e perplessità. Questa situazione di difficoltà che investe tutto il sistema pubblico può diventare però un’opportunità di cambiamento.
Relativamente al territorio alessandrino, come risulta chiaramente dai criteri contenuti negli atti del Governo, la Provincia di Alessandria ha i numeri, sia in termini di popolazione che estensione territoriale, per essere una delle tre province base del Piemonte.
E’ naturale pensare che ci si possa unire, seguendo una logica storica già presente nell’Italia sabauda, l’attuale Provincia di Asti.
Esistono inoltre altre ipotesi alternative, tanto suggestive quanto difficilmente realizzabili, anche in termini legislativi.
La più interessante vedrebbe la creazione di una nuova provincia, chiamata “Provincia del vino”, che potrebbe essere composta dalle zone geografiche del Roero, delle Langhe e del Monferrato, assorbendo quindi una parte dell’attuale Provincia di Cuneo, gran parte dell’attuale Provincia di Asti e alcune parti dell’attuale Provincia di Alessandria.
Sottolineo la suggestione di tale configurazione, che metterebbe al centro una delle vocazioni territoriali, economiche e tradizionali della nostra terra, non dimenticando che la denominazione della “Provincia del Vino” potrebbe essere, per aumentare l’appeal, ulteriormente incrementata con il richiamo al tartufo, divenendo quindi “Provincia del Vino e del Tartufo”.
Rilevo però che rispetto a questa ipotesi esistono una serie di problematiche tecniche che partono dal fatto che nuove denominazioni provinciali dovevano essere presentate, previa deliberazione dei Comuni interessati, entro il 20 luglio, e che, pur essendo possibile seguire l’altra strada ordinaria a livello costituzionale, questa comporta oggettivamente difficoltà realizzative non indifferenti.
Al di là poi del riordino territoriale esiste la problematica delle funzioni dell’entità Provincia.
Da una parte infatti assistiamo alla volontà di limitare le funzioni delle province ad alcune materie (edilizia scolastica, manutenzione stradale e poche altre) dall’altra notiamo la volontà di non limitare le risorse trasferite, anche dopo il riordino, ma di sostanzialmente azzerarle, tanto che forte è la preoccupazione per un dissesto generale di ogni ente provincia da qui alla fine dell’anno.
Se a ciò aggiungiamo l’architettura istituzionale delle nuove province riordinate, che vedrebbero un Presidente non più eletto dal popolo, ma nominato dai Comuni dei territori interessati, con l’assenza totale di una Giunta ed un Consiglio Provinciale di solo 10 componenti, ci chiediamo se in realtà il mantenimento delle province dopo il riordino non sia altro che un simulacro, onde evitare possibili ricorsi per contrarietà alle norme costituzionali, qualora si fosse deciso, in maniera più coerente, la soppressione delle province stesse.
Risulta a nostro avviso auspicabile che possa attuarsi un’iniziativa legislativa tendente a far si che la Provincia, seppur limitata nelle funzioni e nei compiti, abbia comunque un Presidente eletto dal popolo, non divenendo quindi un ente al rango, con tutto il rispetto, di Comunità Montane e Comunità Collinari.
Vi dovrà essere inoltre un impegno certo ad assegnare le giuste risorse affinché le limitate materie di cui le province dovranno occuparsi, possano essere curate nell’interesse e nella sicurezza dei cittadini.
Auspichiamo, quindi, che un’azione corale di ampia condivisone tra tutte le istituzioni coinvolte in questo confronto, possa contribuire a favorire in sede parlamentare un ripensamento affinché venga reintrodotta proprio l’elezione diretta dei Presidente e dei Consiglieri provinciali nel pieno rispetto dei cittadini che devono poter scegliere i propri rappresentanti.
Marco Botta
10 settembre 2012