Individuare i fattori che possono incidere sul livello di self-care del paziente oncologico che assume antitumorali orali e del proprio caregiver. È questo l’obiettivo dello studio SCOAAI, che vede come Principal investigator Tatiana Bolgeo, Direttore del Centro Studi Ricerca delle Professioni Sanitarie del DAIRI, diretto da Antonio Maconi, e che ha preso avvio in Day Hospital Onco-ematologico grazie alla collaborazione di Elisabetta Ferrero, Coordinatore infermieristico e di Belperio Nicolina e Mignone Sara, Infermiere in Day Hospital e referenti per la ricerca infermieristica e di tutta l’equipe.

Negli ultimi due decenni l’utilizzo dei farmaci antitumorali orali (AO) per la cura del cancro è notevolmente aumentato, anche a seguito dei molteplici vantaggi ottenuti dai pazienti, tra cui: migliore tollerabilità visti i profili di sicurezza di tali farmaci, maggior comfort e adattabilità alle attività di vita quotidiana, minore stress collegato alla somministrazione per via endovenosa.


Gli AO sono anche generalmente preferiti dai pazienti per la possibilità di gestire la terapia a casa, evitando ospedalizzazioni. Tuttavia, la letteratura disponibile ha dimostrato che i pazienti che assumono AO sono più esposti a scarsa aderenza perché hanno meno contatto con l’équipe, perché devono gestire i sintomi e gli eventi avversi da soli o anche per dimenticanza nell’assumere i farmaci. Questi pazienti, inoltre, potrebbero incorrere in depressione o disagio emotivo.

A tutto questo si aggiunge che i pazienti che assumono AO necessitano di attuare diversi comportamenti che li aiutino a gestire il trattamento ed evitare complicanze. Questi comportamenti sono stati definiti come “comportamenti di self-care”.

Lo studio SCOAAI utilizza strumenti validati in grado di misurare proprio il livello di self-care dei pazienti e del proprio caregiver. In particolare, alcune variabili possono essere associate a un livello di self-care più alto o più basso, e la loro conoscenza è importante per guidare degli interventi mirati da parte degli operatori sanitari e migliorare gli esiti del paziente.

I risultati dello studio, quindi, potrebbero migliorare le strategie assistenziali di presa in carico dei pazienti oncologici in terapia con AO e favorire interventi assistenziali mirati per quei pazienti con un basso livello di self-care.