Comprendere il vissuto esperienziale delle neomamme che hanno partorito durante l’emergenza sanitaria da Covid-19. Questo è NAME – Not Alone with My Emotions, lo studio attivato dal Dipartimento Pediatrico – Ostetrico dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria nell’ambito della Struttura di Ostetricia e Ginecologia, diretta da Davide Dealberti, e con il coordinamento dell’Unità di Ricerca delle Professioni Sanitarie del DAIRI.

Durante la prima ondata della pandemia, per contenere la diffusione del virus è stato vietato l’ingresso dei parenti in sala parto, limitando fortemente il sostegno familiare alle madri. Vivere la gravidanza durante un qualsiasi evento di grande portata come una pandemia, va quindi ad aumentare il rischio, già alto in questa fase della vita, di insorgenza di problemi psicologici quali ansia e depressione a carico sia della donna sia del nascituro.


I bambini nati da madri che durante la gravidanza hanno sofferto disagi psicologici non trattati, infatti, hanno maggiori probabilità di avere problemi cognitivi e comportamentali, nonché problemi di salute mentale che possono manifestarsi negli anni successivi.

Alla luce di questi dati, ha preso il via il progetto, introducendo l’utilizzo della medicina narrativa, cioè l’applicazione di idee narrative nella pratica della medicina, per individuare precocemente condizioni di stress e solitudine delle madri e, di conseguenza, offrire spunti per migliorare la pratica clinico-assistenziale e facilitare un’esperienza di nascita positiva. 

Alle pazienti reclutate sono state spiegate le finalità dello studio e, dopo aver chiesto e ottenuto il consenso scritto alla partecipazione, sono state invitate a redigere in forma scritta una narrazione sul loro vissuto esperienziale durante il periodo di isolamento.

I dati emersi non si sono discostati da quelli presenti in letteratura relativi al periodo precedente a marzo 2020; risultato raggiunto probabilmente grazie alla capacità del personale sanitario di sopperire alle carenze generate dal periodo pandemico.

In questa situazione di difficoltà, quindi, la maggior attenzione dei professionisti sanitari a sviluppare relazioni empatiche ha sicuramente contribuito a compensare la mancanza dei familiari, determinando un alto livello di soddisfazione delle neomamme.

Da molte narrazioni, infatti, emerge chiaramente il senso di gratitudine delle donne nei confronti di chi ha fornito assistenza, sottolineando la sensazione di tranquillità percepita grazie a professionalità, competenza ed estrema cura ricevute dagli operatori.

Nonostante l’alto livello di soddisfazione, però, le donne riferiscono comunque di aver provato sentimenti di tristezza e paura, indipendentemente dall’essere alla prima esperienza di maternità o meno, determinati dalla mancanza di un caregiver.

Se la vicinanza del personale ha permesso di fronteggiare le emozioni negative legate alla solitudine, il desiderio di vicinanza di un familiare è rimasto preponderante, anche se circoscritto al momento del parto, “per lenire il dolore e colmare la solitudine”.

Nei giorni successivi, però, il divieto di ingresso ai familiari assume una valenza positiva, tanto da essere considerato un’opportunità per trascorrere momenti in intimità con il proprio bambino, fondamentali per instaurare un solido rapporto simbiotico madre-figlio.

È importante che madre e bambino inizino a familiarizzare l’uno con l’altro in un contesto tranquillo, per favorire il contatto skin to skin e l’allattamento al seno, che riduce anche il rischio di depressione post-partum e stress, grazie alla produzione di ossitocina. Vivere momenti di intimità e solitudine, quindi, non può che contribuire a rendere l’esperienza indimenticabile.

Questo studio, svolto durante un periodo di emergenza mondiale, ha permesso l’implementazione di un percorso assistenziale basato sulle esperienze della persona assistita con l’obiettivo di garantire un’assistenza sempre più attenta ai bisogni delle madri e, di conseguenza, dei bambini, nell’ottica di un ospedale sempre più “health literate”.