Grazie al Progetto “Cultura della Legalità”, il Capitano Domenico Lavigna, comandante la Compagnia dei Carabinieri di Tortona, incontra tutte le classi del biennio dell’I.I.S. Marconi, sia nella sede centrale sia nella sede associata “Carbone”.
A conclusione dell’incontro, riportiamo le riflessioni degli studenti della 2AR-AFM:
Partendo dal video musicale di Mai Dire Mai (La Locura) di Willie Peyote, il Capitano Lavigna ha catturato l’attenzione degli studenti, instaurando un dialogo. Gli studenti hanno iniziato discutendo il ruolo della fama nella società odierna, riscontrando il fatto che ormai la fama parla più della persona che la possiede: il nome non solo precede l’individuo, ma addirittura detta il suo valore morale.
I ragazzi hanno quindi ammesso di essere attratti dai contenuti “facili e veloci”, i quali non richiedono grande attenzione né impegno. Si arriva ad affermare che “si segue una massa di scemi”, perché scemi lo siamo noi in primis.
Un’affermazione per niente esagerata che fotografa una verità cruda e attuale per tutti: noi non siamo scemi, né lo sono quelli che seguiamo così deditamente. Abbiamo solo bisogno di essere considerati, di appartenere a un qualche gruppo, un qualsiasi gruppo, pur di non vederci esclusi e di partecipare alle conversazioni: dobbiamo sentirci parte di qualcosa. Ci omologhiamo consapevolmente, perché è una nostra necessità: diciamo di distinguerci dalla massa, ma così facendo confluiamo automaticamente in un’altra massa, e forse ciò ci fa comodo, ci fa sentire al sicuro. In questo modo, corriamo però il rischio di dimenticarci chi siamo, smettendo di seguire la nostra testa ed essere fedeli a noi stessi: non dico il buon gusto, ma almeno il buon senso, per citare Willie Peyote.
Il Capitano, con il suo intervento, ci ha ricordato l’importanza della responsabilità individuale: dobbiamo essere capaci di subire le conseguenze delle nostre scelte, senza scaricare continuamente la responsabilità sugli altri. Seguiamo la massa appunto perché non vogliamo davvero prenderci delle responsabilità, degli impegni: ci risulta comodo delegare questi ultimi agli adulti, ai genitori, ai professori, ai capi, a persone che nemmeno conosciamo se non tramite video sui social. Facciamo ciò che fanno gli altri per avere una giustificazione, una scusa, per non pensare davvero con la nostra testa, per poter restare pigri e non subirne pienamente le conseguenze. In questo modo stiamo però rinunciando a noi stessi e alla nostra volontà e capacità di pensiero.
È importante invece essere se stessi. Seguire la massa ci fa sicuramente sembrare parte dei vittoriosi, ma vittoriosi in una gara futile, che molte volte non ci appartiene nemmeno. L’unica partita che non si perde mai è quella che si gioca quando si è sé stessi. Non si fallisce nell’essere chi si è, nell’avere un obiettivo proprio, dettato da chi siamo e cosa sappiamo e possiamo fare. Solo noi sappiamo chi siamo, solo noi possiamo avere consapevolezza di noi stessi: dobbiamo essere fedeli alla nostra persona, perché se non stiamo bene con noi stessi non possiamo stare bene con gli altri.
Gli altri: genitori, famiglia, amici, compagni…. alle volte sono “muti”, senza consistenza. Il capitano Lavigna ci racconta quanta solitudine riscontri intorno alla vita di tanti ragazzi in difficoltà. “Lo vedo tutti i giorni in caserma, quando dico al ragazzino di turno che devo chiamare i suoi genitori, e lui mi risponde di lasciar perdere: “Non risponderanno, non s’importano di me né di ciò che faccio”. “Come può un ragazzo crescere responsabile e civile se non ha serenità in casa, si sente abbandonato e dimenticato dai suoi stessi genitori? È naturale che si aggreghi al primo gruppo che trova e si faccia trascinare, pur di sentirsi considerato e apprezzato. L’unico modo per prevenire ciò è il dialogo: pensiamo a quanta differenza farebbe un “come stai?” detto da un compagno (ma detto sinceramente, non come parte di una conversazione vuota). Pensate quanta differenza farebbe se il gruppo di questo ragazzo fosse formato da amici che tengono a lui, si preoccupano per ciò che potrebbe fare o lo portano sulla retta via, invece di escluderlo solo perché è diverso da loro, o non curarsi del suo stato di serenità. Non possiamo pensare che se una persona sta male sia un problema suo, perché è un problema nostro. I ragazzi che piangono spaventati in caserma, o quelli arresi che nemmeno temono i genitori perché questi ultimi non sono presenti, sono il frutto di un gruppo sbagliato, di una massa che ignora l’individuo e lo usa come strumento di sopraffazione”.
C’è un bel silenzio. Le parole sono intense e parlano al cuore attento di tutti. Rimane un messaggio che ora è più chiaro, condiviso. Quando prendiamo in mano il cellulare, va bene guardare il video senza contenuti ma divertente e che piace a tutti, però “coltiviamo” anche la nostra vita: la necessità di sentirci chiedere come stiamo per davvero, di parlare, di stare a contatto con persone che ci amano. Abbiamo la necessità di appartenere a un gruppo, certo, ma allora facciamo sì che quest’ultimo sia buono. Non omologhiamoci alla massa per scaricare le nostre responsabilità, ma troviamo un gruppo che ci accolga e ci faccia sentire sereni. Siate voi quel gruppo per qualcuno che ne ha bisogno, perché quel qualcuno potreste essere voi.
NON ESISTE LA SOCIETÀ, ESISTONO GLI INDIVIDUI
Karl Popper
A cura di Lucrezia Teti I.I.S. G. Marconi Tortona – 2AR – Amministrazione Finanza e Marketing