Al via la seconda edizione del Festival delle Medical Humanities “Iconografia della Salute”, ideato dal Centro Studi Medical Humanities dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria per valorizzare questo approccio, che riunisce le tante discipline coinvolte che influiscono sul percorso di cura del paziente.

Dedicata alle persone e quindi ai protagonisti della cura, ovvero i pazienti e gli operatori sanitari, la giornata del 19 ottobre ha preso avvio con i saluti del Direttore Generale dell’Ospedale di Alessandria Valter Alpe, del ProRettore dell’Università del Piemonte Orientale Roberto Barbato, del Presidente dell’Ordine dei Medici di Alessandria Antonello Santoro, che ha patrocinato l’iniziativa, e del Direttore del Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione Antonio Maconi che presiede il Centro Studi.


Ad aprire i lavori Roberta Lombardi, Professore di Diritto Amministrativo del Dipartimento di Giurisprudenza, Scienze Politiche, Economiche e Sociali di UPO e membro del Centro Studi: “A testimonianza del percorso di crescita del Centro Studi, quest’anno si uniscono momenti di dibattito scientifico tra studiosi di diverse estrazioni con momenti emozionali dal vivo grazie alle mostre allestite per l’occasione. Un modo concreto per avvicinare la medicina alla cultura o forse addirittura trasformarla in arte, rafforzando così l’umanità e l’empatia nel rapporto medico-paziente”.

Ed è proprio su questo rapporto che si sono concentrati gli interventi del primo pomeriggio di Festival, andando ad analizzare la storia di questo dialogo e i diversi fattori storici, culturali e sociali che lo hanno influenzato. “Le narrazioni – afferma Paola Villani, Direttore del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli – incidono moltissimo sull’immaginario. Il medico è uno dei personaggi tra i più riusciti ma anche più invisi della letteratura e da sempre è stato strettamente legato al tema della morte che nella società moderna, come ricorda Sciascia ne “La medicalizazzione della vita”, assume le sembianze della patologia, del cancro e ora del Covid. Ritengo quindi che sia necessario procedere anche a una narrativizzazione del rapporto medico-paziente che divengono rispettivamente lettore e autore della storia di malattia, connessi da un solido rapporto di fiducia”. 

Allargando il legame medico-paziente al più ampio e mutevole rapporto che lega la collettività al mondo della scienza, Alessandro Bargoni, Vicepresidente della Società Italiana di Storia della Medicina, ha ripercorso il processo di evoluzione dalla medicina ippocratica a quella moderna: “Sono sempre più numerose le critiche verso la medicina in termini di disumanizzazione e spersonalizzazione che inducono a un sentimento di sfiducia nell’opinione pubblica. Recuperare il rapporto fiduciario tra medico e paziente diventa quindi necessario e le Medical Humanities ci vengono in aiuto, saldando scienza e valori umani”. In questo senso la storia della medicina può essere vista come un equilibrio tra “genetica di teorie e archeologia di pratiche” come ha spiegato Maria Teresa Monti, Professore di Storia della Scienza dell’Università del Piemonte Orientale: “Non dobbiamo aver paura di ricostruire le dimensioni materiali delle idee e delle teorie, lo storico si deve fare archeologo e andare alla ricerca non del caso confortante, ma del nuovo che ci può offrire la storia che solitamente è base della criticità”.

Trattando di persone, però, non poteva mancare anche la figura del ricercatore e dello studioso, del medico che non solo si trova in relazione con il paziente me le cui scoperte impattano sull’intera società. Si è quindi inserito in un clima molto attuale – di recente lo scienziato italiano Giorgio Parisi ha infatti vinto il Nobel per la Fisica – l’intervento di Paolo Mazzarello, Professore Ordinario di Storia della Medicina dell’Università di Pavia su Camillo Golgi, primo premio Nobel italiano, in quel caso per la Medicina e la Fisiologia. “Si tratta sicuramente di un caso emblematico – spiega – in cui una persona, insieme ai suoi maestri che hanno contribuito a creare le basi degli studi e ai suoi collaboratori, incide sull’intero progresso della scienza. Golgi ha ricevuto il Nobel per la “reazione nera”, ovvero una tecnica che ci ha permesso scoprire la morfologia della cellula, e per questo può essere considerato il padre delle Neuroscienze, ma ha scoperto anche l’apparato di Golgi, ha definito il ciclo di sviluppo della malaria nel sangue umano, nonché identificato i corpuscoli muscolo-tendinei”.

Infine l’avvio della mostra “Dai medici condotti al Servizio Sanitario Nazionale. Una mostra sulla salute oltre la pandemia” che verrà ospitata all’ISRAL dal 6 novembre al 2 dicembre come appendice del Festival delle Medical Humanities ha fornito lo spunto per parlare di come si sia modificato nella storia sia il rapporto medico-paziente sia il diritto alla salute. “È interessante notare come già nel 1550 Leonardo Botallo parlava dei doveri del medico e del paziente in un trattato che attribuiva ruoli diversi alle due figure ma con pari dignità e affrontava il tema della malattia come una guerra in cui la patologia è il nemico, il malato è l’alleato, la terapia sono le armi e il medico è lo stratega. Un po’ come abbiamo fatto noi durante la pandemia parlando di “guerra contro un nemico invisibile”.

Fiducia, condivisione, comunicazione e ascolto sono quindi state le parole di chiave di questa prima giornata di “Iconografia della Salute” che traghettano il dialogo verso gli altri grandi temi che influiscono sulla cura e che verranno trattati nei prossimi giorni, ovvero i luoghi, la narrazione e i saperi.

Il programma completo del Festival, gli appuntamenti e tutti gli aggiornamenti si trova al seguente link https://www.ospedale.al.it/festival-delle-medical-humanities-iconografia-della-salute/