Un romanzo originale che ricorda le opere di Italo Calvino in cui la narrazione incontra la realtà per lasciare un segno
Una donna, due fratelli e una scomparsa. Sono questi i protagonisti del romanzo, appena uscito, “L’ombra del sospetto” di Vincenzo Esposito edito da Marlin Editore.
Un romanzo che si può “divorare” in poche ore; non tanto per il numero delle pagine, circa 160, ma per la loro assoluta qualità.
L’opera si compone di soli quattro capitoli che il lettore è spinto a leggere d’un fiato per dare risposta ad almeno una delle domande che l’autore, celebre sceneggiatore italiano di fumetti, magistralmente cela dietro alla narrazione.
Piacevole la serenità con cui il testo si compone. Anche di fronte a episodi importanti, come la morte di un padre, la narrazione prosegue con un tono sereno. Le emozioni dei protagonisti si vedono, si vivono, si toccano da vicino, e si mantiene però, al contempo, un sottofondo di assoluta calma che richiama a un’estrema fiducia nel tempo, nella vita, nel mondo.
Prendono vita sogni, illusioni, sospetti, elementi storici, amori, incontri, separazioni, timori, possibilità e il tutto si incastra come meraviglioso puzzle, o forse, è meglio dire come meravigliosa matrioska. Già, perché Esposito, scolpisce un’opera che come matrioska lentamente si scompone per poi ricomporsi alla perfezione.
La prima parte de “L’ombra del sospetto” mette in scena dei “racconti nel racconto” perfetti: il ritrovamento di un pc, l’apertura di un file che ha la forma di un diario redatto dalla persona scomparsa e un racconto ben incastonato all’interno del diario pieno di indizi che forse, però, non lo sono veramente, essendo in fondo, pura narrazione, o forse no?
Ed è così che i dubbi del protagonista diventano gli stessi del lettore e si è spinti ad avanzare sempre più in profondità come esperti sub in acque sconosciute, buie, con i brividi e l’adrenalina di chi scopre per la prima volta certi percorsi, per poi riemergere con una qualche nuova verità e consapevolezza e correre a cercarne definitiva conferma nella realtà.
Realtà, in cui, però, tutto assume nuove forme: Lucrezia, questa donna magnetica e ambigua, e Francesco che anche a distanza di tempo non sa quanto possa fidarsi di lei, e la vita scorre e le perplessità lentamente si depositano sul fondo come preziosa poltiglia, senza mai essere risolutive.
Le pagine scivolano una dopo l’altra e si arriva alla fine della vicenda e ci si immerge per un’ultima volta nella Baia degli Infreschi: “Scendemmo dalla barca e per un po’ restammo in silenzio ad ammirare la trasparenza dell’acqua, le rocce bianche di calcare, i cespugli verdi che spuntavano qua e là tra le pietre e gli scogli, le grotte nascoste dietro un’insenatura” e lenta la verità riaffiora, ma solo per chi ha il coraggio di coglierla: “A quel punto tutte le mie difese sarebbero crollate e avrei dovuto affrontare il responso della realtà…”.
Un romanzo da leggere, innovativo, ben riuscito che ricorda nel suo intreccio narrativo alcuni dei grandi capolavori di Italo Calvino e che, come tale, lascia al lettore la scelta finale, proprio come accade nella vita in cui narrazione e realtà si incontra dentro ciascuno di noi.
Francesca Patton