«La biobanca è uno strumento fondamentale per la ricerca scientifica». E quella di Alessandria, entrata recentemente nella rete nazionale dell’Infrastruttura di Ricerca Europea delle Biobanche e delle Risorse BioMolecolari (Bbmri-Eric), rappresenta un patrimonio inestimabile e quasi unico al mondo con il materiale biologico di novecento pazienti malati di mesotelioma (i campioni sono tutti anonimi), completato dai dati clinici correlati, raccolto in trent’anni di attività. Roberta Libener, classe 1964, dirigente biologa del Centro Raccolta Materiale Biologico – Infrastruttura Ricerca Formazione Innovazione che fa capo al Dipartimento Attività Integrate Ricerca Innovazione, diretto da Antonio Maconi, ha iniziato a lavorare in Anatomia patologica ha seguito la nascita e l’evoluzione della Biobanca biologica del mesotelioma e della ricerca collegata alla patologia. E adesso sta vivendo una nuova esperienza professionale all’interno dell’azienda ospedaliera di Alessandria con «emozione e passione ritrovata» per le nuove sfide, a partire da quella per il riconoscimento di Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) per il mesotelioma e le patologie ambientali.
Una attività avviata grazie all’intuizione di Pier Giacomo Betta, medico e ricercatore, nato nel 1949 e scomparso nel 2015, che ha creato la banca biologica del mesotelioma pleurico riconosciuta come centro regionale dalla Regione Piemonte nel 2009. «La biobanca biologica del mesotelioma, sorta a partire dal 1989, in modo spontaneo, ma già sufficientemente sistematizzato attraverso una raccolta di campioni biologici (soprattutto biopsie tessutali e liquidi di versamento pleurico) all’interno di Anatomia e Istologia Patologica dell’ospedale, è nata dall’esigenza di migliorare la diagnosi e la cura del mesotelioma maligno mediante la caratterizzazione molecolare a livello genomico e proteomico del materiale biologico proveniente dal singolo paziente donatore» spiega Roberta Libener. Ma qual è il valore autentico di una biobanca? Una risposta è riassunta da queste parole di Alice Park, giornalista di Time: “Pensatelo come un conto in banca organico. Ci mettete il vostro materiale biologico e guadagnate interessi medici sotto forma di conoscenza e terapie che aumentano nel conto; nessun guadagno economico, solo la possibilità di beneficiare in un futuro dei dati accumulati”. Parole che campeggiavano sulla copertina di Time Magazine del 23 marzo 2009. E le biobanche erano indicate fra le dieci idee “che stanno cambiando il mondo in questo momento”.
L’intuizione rispetto all’utilità della raccolta di campioni biologici, la nascita della biobanca e l’ampliamento dell’attività: tre fasi unite da un unico filo logico costituito da un patrimonio di dati e di informazioni che si sta ulteriormente ampliando. «Altri specialisti la stanno utilizzando» conferma Libener. «È da alcuni mesi – aggiunge – che stiamo raccogliendo campioni diversi, sempre con i dati clinici associati, provenienti da altre strutture ospedaliere e per i quali stiamo realizzando dei database specifici».
Ma non è tutto. «Si sta ulteriormente consolidando – sottolinea Roberta Libener – il rapporto con l’Università del Piemonte Orientale e il Disit, Dipartimento di Scienze e innovazione tecnologica, in particolare con i professori Patrone, Ranzato, Martinotti con cui è in corso da tempo una piena collaborazione. Abbiamo poi rapporti con l’università di Ferrara, l’ospedale San Martino di Genova, l’Istituto nazionale tumori “Regina Elena” di Roma. L’implementazione della ricerca e l’ulteriore ampliamento e rafforzamento delle collaborazioni già attive in Italia e all’estero ha recentemente aggiunto un nuovo tassello con l’Università delle Hawaii dove lavora Pietro Bertino, professore associato della locale scuola di Medicina, che è un ricercatore di spicco nella lotta al mesotelioma».