Questo di oggi vuole essere un approfondimento sul risparmio delle famiglie italiane e sui rischi di detenere troppa liquidità in conto corrente. Iniziamo quindi concentrando la nostra attenzione proprio sul risparmio in termini di scelte che stanno guidando le logiche famigliari in Italia nell’allocazione dei soldi e, in particolare, andiamo a vedere tutti i rischi che riguardano il voler tenere eccessivo denaro liquido.

Per quel che concerne la ricchezza finanziaria degli italiani, ci sono ora oltre 1400 miliardi di euro tra conti correnti e depositi vincolati, con un interesse più forte per la liquidità. Ed è la Federazione Autonoma Bancari Italiani FABI, il sindacato cioè dei lavoratori bancari, ad aver scattato la seguente fotografia: a fine 2019 la liquidità sui conti correnti veri e propri era di 1019 miliardi di euro, in crescita di 56 miliardi di euro rispetto all’anno precedente. Altri 441 miliardi di euro, con un saldo positivo di 4,7 miliardi di euro, lo stock invece dei depositi vincolati.


Sempre l’analisi di FABI, basata sui dati della Banca d’Italia, ad analizzare poi la crescita complessiva dei risparmi e degli investimenti che a fine 2019 ammontava a 445 miliardi di euro, con un incremento di 45 miliardi di euro, molto sbilanciato sui già citati conti correnti – a cui si aggiungono fondi pensione e polizze assicurative per 1122 miliardi di euro, con un incremento del 2,3%, pari a 25 miliardi di euro. Tradotto, crescono ovvero anche le risorse dedicate a contratti d’assicurazione vita e piani individuali pensionistici sul fronte della previdenza complementare privata. Liquidità e sicurezza dunque le due richieste fondamentali pure prima dell’emergenza legata al Covid-19.

E difatti, per quanto riguarda la composizione del risparmio dei nuclei famigliari nella penisola, i fondi pensione e le polizze assicurative raccolgono il 25% delle attività finanziarie nel Paese, vale a dire che qui viene indirizzato ¼ degli aggregati di allocazione. Seguono dopo i fondi comuni (quote) con l’11%, le azioni con il 22%, i titoli obbligazionari a medio e lungo termine con il 6%, altri depositi (vincolati) nell’ottica dei conti deposito con il 10%, i conti correnti con il 23% ed i crediti con il 3%.

Si è rilevato inoltre che la tendenza all’accumulo non si è arrestata durante il lockdown bensì, nel solo mese di aprile, su conti correnti e depositi sono affluiti ben 95 miliardi di euro in più rispetto a dodici mesi fa [Fonte ABI Outlook maggio 2020]. La forte tendenza all’accumulo e a soluzioni sicure è testimoniata anche dall’evidenza per la quale i conti correnti sono passati da una proposizione del 21,88% nel 2018 ad una del 22,94% nel 2019 e si è verificata una crescita delle polizze assicurative e dei fondi pensione che sono passati dal 24,94% nel 2018 al 25,26% nel 2019 [fonte FABI]. Ma se da un lato la scelta di accumulare risorse attraverso strumenti liquidi, ossia conti correnti e conti deposito, può far stare tranquillo a livello psicologico l’investitore, in realtà nascondono diverse insidie.

Domandiamoci adesso, per l’appunto, quali sono i costi della detenzione di liquidità sul conto corrente. Ed innanzitutto parliamo del rischio Bail In visto che dal 1° gennaio 2015 è pienamente applicabile la Direttiva Bank Recovery and Resolution Directive BRRD, che è stata recepita dal nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 180 e n. 181 del 16 novembre 2015 – mentre è dal 1° gennaio 2016 che è entrato in vigore in tutti i Paesi europei tal onere dei privati di contribuire al salvataggio del proprio istituto di credito. Ciò significa che fino all’entrata in vigore di questa normativa, un istituto bancario versante in difficoltà veniva aiutato sostanzialmente dall’esterno (Bail Out), con fondi pubblici. Attualmente, all’opposto, le banche sono tenute a salvarsi dall’interno andando ad intaccare – in una logica di ordine gerarchico – quelli che sono gli interessi di azionisti con le loro azioni e strumenti di capitale, i quali possono trovarsi azzerati o fortemente ridimensionati i valori dei detti. Successivamente, coinvolti nella crisi delle banche per il risanamento di codesti istituti persino coloro che detengono titoli obbligazionari subordinati, obbligazioni senior e altre passività ammissibili che possono rischiare addirittura l’intero importo dei loro investimenti. In ultima analisi le banche vanno ad appropriarsi di quelle che sono le eccedenze dei conti correnti e depositi sopra i 100000 euro appartenenti a persone fisiche e PMI. Gli unici strumenti esclusi dal Bail In sono i depositi fino a 100000 euro, le passività garantite (ad esempio i covered bond) ed i debiti verso dipendenti, Fisco, enti previdenziali, fornitori.

Va posto orbene una lente più da vicino sulla tutela dei soldi depositati su conto corrente, in Italia, entro i 100000 euro per i quali abbiamo il Fondo Internazionale di Tutela dei Depositi. I soldi depositati sul conto corrente sono garantiti dal fondo con una copertura che arriva quindi, come già indicato, a 100000 euro per depositante e per banca. La garanzia riguarda pure gli assegni circolari e i titoli ad essi assimilati, nonché i depositi vincolati (conti di deposito), i certificati di deposito nominativi ed i libretti di risparmio nominativi.   

Il rimborso dei soldi è previsto entro 7 giorni lavorativi dal giorno in cui si producono gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, che è la procedura di fallimento delle banche. Questo provvedimento potrebbe essere varato in un tempo non facilmente predeterminabile, oltre al fatto che il valore in pancia del Fondo di Tutela interbancaria risulta particolarmente esiguo (376 milioni di euro circa) rispetto alla mole di depositi tutelati che a giugno 2019 era pari a 616 miliardi di euro. Una copertura dello 0,06%!!! [Fonte www.fitb.it], dunque un sistema che può funzionare soltanto se ad entrare in difficoltà sono piccoli istituti bancari. Vero comunque, per quanto non ingente né rassicurante, che la cassa può far riferimento ad ulteriori 2,93 miliardi di euro che il fondo può chiedere come contribuzioni straordinarie alle banche consociate ed è vero pur che il fondo può ottenere dei prestiti dai fondi interbancari di altri Stati.

Un altro rischio per coloro che lasciano il patrimonio sul conto corrente è rappresentato dall’inflazione, ovvero dalla perdita del potere di acquisto dei propri soldi. Una sorta di “tassa occulta” sui propri risparmi, che si “paga” talvolta senza saperlo ed inconsapevolmente. Mantenere il denaro a sonnecchiare sul conto corrente non significa poter stare tranquilli e non perdere il capitale, ma esattamente il contrario. E sebbene nel presente l’aumento del costo dell’esistenza non sia pari alla situazione di vent’anni fa, questo non impedisce che l’inflazione possa andare ad erodere il capitale, vanificando l’impegno che il risparmiatore stava sviluppando nell’accantonamento di risorse. Suggerire al cliente di ottimizzare la liquidità non necessaria, indirizzandola non in conti correnti, è una logica molto corretta per la tutela di tali somme. Se non si è operato negli investimenti difatti, considerati 10000 euro lasciati sul conto corrente a partire dal 2000, ad oggi questi equivalgono ad un capitale reale (ossia ad una capacità di acquisto) di pressappoco appena 7500 euro in ragione dell’evidenza per cui l’inflazione nel tempo ha in parte vanificato il potere di acquisto di questa cifra.  

Legato indirettamente alla politica della Banca Centrale Europea, v’è poi il rischio “tassi negativi”. Dal giugno 2014 la BCE ha introdotto una politica di tassi di interesse negativi nell’ambito di un ampio pacchetto di misure di allentamento creditizio, che ha portato ad una riduzione dei tassi sui depositi e sui prestiti bancari. Gli attuali tassi di riferimento in Europa sono un tasso di finanziamento principale fissato allo 0%, un tasso di prestito marginale allo 0,25% e un tasso sui depositi del -0,50%. Ed ecco che le banche, tra gli aumenti dei canoni annui e le spese previste per singole operazioni, stanno di fatto ribaltando i costi finanziari sostenuti per il fenomeno dei tassi negativi sui clienti. Tassi negativi che devono riconoscere per le somme depositate presso la BCE, ma non di meno per coprire le quote di adesione, ad esempio, ai sistemi di garanzia dei depositi e ciò significa che quasi tutte le banche italiane in questo momento stanno ritoccando le loro condizioni economiche sui conti correnti.

In ultima istanza prendiamo in considerazione il rischio di patrimoniale per quanto concerne le persone che detengono un esubero di liquidità in conto corrente. Qui il dato da considerare è che, come abbiamo visto in esordio d’articolo, ci sono oltre 1400 miliardi di euro sui conti correnti degli italiani e che, in una situazione di emergenza per tutta la pressione che si è riversata sulle casse della nostra Nazione, potrebbe aver luogo un’azione del Fisco per risanare la situazione dell’Italia passante per un discorso di tassa patrimoniale a colpire gli immobili, le tasse di successione e i conti correnti come è successo nel 1992. Il precedente storico del prelievo forzoso del 1992, varato in una notte, tra il 9 e il 10 luglio, nella misura dello 0,6% dai conti correnti, dovrebbe rappresentare un riferimento importante per ogni risparmiatore italiano. Ne deriva che <<Gli italiani sbagliano a tenere troppa liquidità sui conti correnti, perché è come affidare la pecora al lupo>>. Non sottovalutare, adesso in ispècie, come il rischio di un prelievo forzoso sale con il deterioramento dei conti pubblici e di conseguenza l’idea di parcheggiare l’interezza dei risparmi in banca sia un potente boomerang per le famiglie italiane – spiacevole frangente e ritorno, che non si può escludere venga utilizzato dal Fisco, a seguito del Coronavirus.

Giulia Quaranta Provenzano