È una lezione di vita. Non è una guerra. La guerra porta con sé odio, violenza, distruzione, mentre noi siamo chiamati, in questo particolare momento, a riscoprire valori come solidarietà, fratellanza, vicinanza verso i nostri simili e la natura. La metafora bellica, tanto cara a giornalisti e politici, ha il solo scopo di amplificare il contesto di una narrazione, incorniciandola alla perfezione per l’uso dei Tg e dei Talk show che, ricordiamocelo, più che informare, hanno lo scopo di vendere le notizie, accaparrandosi un pubblico quanto più possibile ampio. Dire che siamo in guerra è, a mio modesto parere, un puro esempio di sciatteria lessicale.
Una guerra non la combatti dal divano di casa o postando ripetutamente delle storie sul tuo social preferito. Nessun confine e nessuna frontiera è in pericolo, lì fuori non c’è nessun nemico da abbattere. E poi, diciamocelo sinceramente e serenamente: noi, come esseri umani, le guerre ce le facciamo dalla notte dei tempi. Siamo talmente bruti che da millenni ci eliminiamo l’un l’altro a colpi di pietre, bastoni, spade, lance, cannoni, mitragliatrici e bombe atomiche. Figuriamoci se abbiamo bisogno di una pandemia per dichiarare una guerra… a chi poi? Ad uno stupido virus che fa parte della natura delle cose?
In questo momento c’è una malattia che colpisce e lo fa senza distinzione di confini, frontiere, nazionalità, colore della pelle o status sociale. E questa è già una prima grande lezione di vita. Ci sta dicendo – come se ce ne fosse bisogno – che siamo tutti uguali. La diversità e le distinzioni sono il frutto della nostra mente limitata e limitante, l’apoteosi della nostra finitudine. Ci troviamo dinanzi ad una pandemia che, per essere affrontata, richiede un forte senso di responsabilità personale e collaborazione tra le comunità. Richiede un gesto controcorrente, di altruismo, in una società individualista, dove ognuno pensa per sé e a difendere i propri averi. E questa è una seconda lezione di vita.
Smettiamola di guardare sempre e solo il nostro piccolo e misero orticello fatto di egoismo, avidità e miseria spirituale. Sapete come finirà dopo che questa pandemia sarà finalmente passata? Che dovremo aiutarci l’un con l’altro! O prevarrà il senso di comunità oppure saremo destinati a mangiarci l’un con l’altro. “Nessuno si salva da solo” è stato il messaggio lanciato dal Papa sui lastroni bagnati di una piazza San Pietro silenziosa.
Questo virus, nel suo modo di essere contagioso, nel suo farci rimanere un po’ da soli con noi stessi, ci sta dicendo che l’errore, forse, è stato il prima. L’ingenuità nel credere che il nostro modello di vita fosse giusto, la cecità di credere di essere felici e non superficiali, la stoltezza di vedere un mondo che brucia e si accartoccia su se stesso – e su di noi – e far finta che fosse normale. L’errore nel considerare la legge del profitto come il metro regolatore di ogni cosa. Anziché investire nella sanità, per la cura di noi stessi, nella solidarietà, per rafforzare il senso di comunità, abbiamo preferito spendere in armamenti, per difenderci dal prossimo, dai nostri simili. Non è una lezione di vita anche questa?
Ci stiamo svegliando dal tepore di un tempo dove più importante era il possedere e non il sapere, l’epoca dell’inganno e non della verità, della disumanità e non della benevolenza. Ma non solo, era il tempo dell’insensibilità, della cecità, dell’egoismo, della codardia, dell’apparenza, della mediocrità, dell’incomprensione e soprattutto, del male, in tutte le sue forme.
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