La classe 4^AR dell’I.I.S. Marconi decide di andare a trovare un compagno con disabilità al Piccolo Cottolengo per conoscere la sua “famiglia” e la sua vita di tutti i giorni.
Nei giorni scorsi un gruppo di studenti della 4^AR Amministrazione, Finanza e Marketing si è recata presso la struttura del Piccolo Cottolengo di Tortona per incontrare Jonathan, un ragazzo della stessa classe che abita nel centro, e per conoscere tutti i suoi amici.
Il Piccolo Cottolengo “Don Orione” di Tortona nasce nel 1940 da un invito all’accoglienza, rivolto da don Carlo Sterpi ad un laico generoso, il signor Paolo Pedevilla, il quale decide di mettere i locali della sua spaziosa abitazione, situata alla periferia di Tortona, a disposizione di un gruppo di orfani e disabili provenienti da Genova e bisognosi di un più sicuro riparo dalle insidie del Secondo Conflitto Mondiale, che stava mettendo in ginocchio l’Italia. Oggi il Piccolo Cottolengo ha sede nel rione San Bernardino, ai piedi del Santuario della Madonna della Guardia, e costituisce un singolare centro di carità.
Le Piccole Suore Missionarie della Carità di Don Orione sono attente ai bisogni dei piccoli ospiti, attraverso le più moderne strutture mediche e psicopedagogiche, aiutate da numerosi dipendenti e da un gruppo nutrito e fedele di volontari che, quotidianamente, con carità e dedizione, prestano la loro opera. La struttura ospita attualmente circa 40 ragazzi colpiti da vari gradi di disabilità: da quelli meno gravi a quelli imputabili a patologie purtroppo ancora in fase di studio. Inoltre è uno dei pochi centri attrezzati in modo da poter accogliere anche bambini di un mese di vita.
La visita è iniziata con un’introduzione da parte di due educatrici che, grazie all’ausilio di video e spiegazioni, ci hanno preparati, anche psicologicamente, al luogo.
Il “motto” del Piccolo Cottolengo è una frase di Don Orione che ha profondamente colpito tutti noi: “La porta del Piccolo Cottolengo è sempre aperta; a chi entra non domanda se abbia un nome, una religione, ma soltanto se abbia un dolore, perché la nostra carità non serra porte” .
Il pomeriggio è proseguito con un’interessante “giro” della struttura; oltre alle stanze e agli ambienti comuni, in cui le educatrici insegnavano e collaborano con i ragazzi attraverso la musica e lo sport, abbiamo conosciuto quasi tutti i ragazzi della “grande famiglia”.
L’incontro è terminato con un breve rinfresco preparato da ambo le parti, durante il quale abbiamo conversato con le educatrici e con alcune ragazze diversamente abili che erano presenti. Oltre alla contentezza di tutti i ragazzi, in particolare di Jonathan, per essere andati a trovarlo “a casa sua”, il risultato è stato che noi stessi abbiamo avuto l’impressione di esserne usciti migliori. Sicuramente la difficoltà nei rapporti è visibile e il senso di angoscia e dolorosa umanità pervade chiunque nel vedere ragazzi che hanno bisogno di aiuto anche per i movimenti per noi più semplici, ma ciò che veramente rimane è la forza: una sorta di energia che è presente in tutta la struttura ed è possibile percepire in ogni angolo.
Un esempio per tutti, che personalmente non dimenticherò: la serenità e la complicità con cui colloquiavano e si sorridevano una delle educatrici ed una giovane ospite: due amiche per la pelle.
Luigi GRILLO – 4^AR Amministrazione, Finanza e Marketing