Ciao. Mi chiamo Samuele, e ho otto anni. Li avrò per sempre otto anni, sì. Non diventerò grande, non avrò un futuro, non ho nemmeno più un passato. Però sono qui, insieme a mamma e papà.
Sono stato il primo ad essere stato estratto da sotto le macerie di quel ponte crollato a Genova. Stavamo andando a mangiare dal nonno, per poi imbarcarci sul traghetto e andare in vacanza in Sardegna. Avevamo tutto con noi, caricato in macchina. Quella mattina pioveva forte. “E’ una bomba d’acqua, tesoro, non aver paura. Siamo quasi arrivati dal nonno, adesso mangiamo” diceva la mamma.
Poi quel rumore, come una bomba vera. Io una bomba vera non lo so come fa, ma sembrava di essere in quelle scene dei film. Volevo stringere il mio pallone, per non perderlo, invece è rotolato via, fuori dalla macchina. E’ diventato tutto buio.
Ho sentito delle voci gridare “Qui, venite qui!” e ho visto un signore con una divisa che stava scavando con le mani fra il terriccio e le pietre per raggiungermi, poi mi ha preso con le sue mani forti rigate di sangue e di pioggia, mi ha stretto tra le braccia e mi ha portato via da lì. Ecco, io lo guardavo mentre piangeva, camminando sui detriti per portarmi lontano da quel luogo terribile. Volevo prendere il mio pallone, era lì, ma le mie mani non riuscivano ad afferrarlo. Erano diventate trasparenti, come fatte di luce.
E mentre quell’uomo si allontanava portando via il mio corpo oramai senza vita, ho pensato che se fossi diventato grande avrei voluto fare come lui. Uno di quegli uomini con la divisa che stavano facendo il possibile e l’impossibile in cerca di un miracolo. Una di quelle persone che in silenzio e senza proclami giorno dopo giorno, notte dopo notte, puliscono la coscienza di tutti. Avrei voluto essere come lui, spendermi senza risparmiare forze per tentare di salvare le persone e piangere trovando solo cadaveri. O forse sarei diventato ingegnere, e avrei progettato un ponte che avrebbe, invece, salvato tutti.
Lettera firmata