Alcuni anni fa, nel giorno di Natale, andai – come facevo di frequente – al cimitero di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, sulla tomba di un bambino a me molto caro, che il Signore aveva chiamato con sé.
Era nel primo pomeriggio, quando le famiglie sono ancora in casa attorno alla tavola del pranzo di Natale, alle prese con panettone e spumante, mandarini e cartelle della tombola. Notai che, non distante da me, c’era un uomo anziano.
Stava seduto, da solo, su una sedia che evidentemente si era portato da casa. La tomba era quella della moglie, mancata da pochi mesi. Mi avvicinai per dirgli buon Natale. Parlammo un po’. Gli chiesi dove abitava, mi raccontò dei figli lontani, della sua casa vuota, del suo sentirsi a casa solo lì, guardando la fotografia di sua moglie.
Gli chiesi se potevamo pregare insieme, mi ringraziò.
Prima di salutarlo, gli raccomandai di non prendere troppo freddo, ma capii che la sua casa vuota, pur riscaldata, era più fredda di quel corridoio ventoso del cimitero.
Da allora, ad ogni Natale, mi torna sempre in mente il ricordo di quell’uomo. Non per tutti il Natale è un giorno facile da vivere. A volte sembra rendere più acuto un dolore, un’assenza, una distanza. In certe situazioni senti la fatica di dire buon Natale, perché ti sembra che l’unico augurio che potrebbe essere gradito è che passi in fretta.
Nei giorni della visita pastorale ho incontrato molte persone per le quali dire buon Natale non può essere solo l’abitudine del saluto di questi giorni: anziani soli, famiglie preoccupate per la mancanza di lavoro o ferite dal dramma di una separazione, ammalati stanchi di sperare in una guarigione che non arriva, giovani confusi da un mondo che li stordisce. Ho in mente molti volti.
Mi domando: ma non è proprio per chi sente la fatica della vita che Dio ha pensato questo giorno?
Non è proprio per il nostro cuore ferito sul quale il mondo versa l’aceto della solitudine che Dio ha voluto rivelarsi come Emmanuele, Dio-con-noi, liberandoci per sempre da un pianto solo nostro?
È così, ne sono certo: il Natale è l’unico fatto che può sostenere la nostra speranza, liberarci dalla solitudine, scaldarci il cuore d’amore, dare senso a ciò che facciamo fatica a comprendere.
In Gesù, Dio ha scelto di conoscerci da dentro, non per sentito dire, ma per compromissione con la nostra condizione, trasformando tutto ciò che è umano nel luogo della sua presenza.
Per riconoscerla dobbiamo farci piccoli, come i pastori.
La vita ci fa piccoli e noi vogliamo accogliere il Signore che viene con la semplicità e l’abbandono dei bambini.
Auguro a tutti e a ciascuno, di cuore, buon Natale.
+ Vittorio