“E’ una bella sensazione quella che provo in questo momento. Sono felice e spensierata, il viale alberato è deserto perché è domenica ed è mattina presto. Credo siano le 9. Mamma è alla mia sinistra e mi tiene la mano. Davanti a noi c’è il papà e mio fratello. Il papà cammina davanti a me e Giovanni cammina davanti alla mamma. Lui è più grande di me di due anni. Siamo tutti vestiti a festa e ci incamminiamo verso la metropolitana. Siamo invitati a pranzo dalla zia ed è una cosa rara perché siamo noi che invitiamo sempre tutti quanti.
Mi sento felice e mentre cammino ascolto il silenzio. Siamo in silenzio, nessuno parla e si sente il canto degli uccellini. Gli alberi del viale sono alti …e io sono piccola…ho 7 anni. le foglie si muovono leggermente. Il cielo è di un bell’azzurro e credo….é primavera. Si sta proprio bene. Il rumore che io e la mamma facciamo con i tacchi delle nostre scarpe. Mi piace. Io faccio rumore come la mamma!…mi sento una donnina, una femminuccia. Guardo le sue scarpe, le mie…guardo come è bella vestita così bene, da donna e mi guardo e mi piaccio…anche io sono vestita da femmina. Ho la gonnellina…le mie scarpine fanno rumore…che bello! Mentre cammino guardo le mie scarpine e ascolto il rumore…che bello!…
..A mio fratello da fastidio il rumore delle nostre scarpe. Fanno troppo rumore.
Dice qualcosa al papà.
Ma è normale, è il rumore delle scarpe da femmina…non sono scarpe da ginnastica…ma a lui da fastidio.
Si volta di scatto ed è arrabbiato. Ce l’ ha con me. Ce l’ ha con noi…ma non posso camminare diversamente…e continuo a camminare…
Qualche passo, non siamo ancora arrivati alla metropolitana, si volta ancora più arrabbiato…
che brutti occhi. Ma che ti ho fatto? Come faccio?
Si volta anche papà…e spero ci aiuti….mi aiuti…non è giusto come si comporta. Ma Papà fa una faccia strana e con la mano ci dice di fare meno rumore…
Ma come faccio? Perché? Mi sento male e non so come fare. Cerco di fare meno rumore. Mi impegno a far meno rumore…ma non è normale….”
Giada è in lacrime, avvolta dalle forti emozioni di questa cronaca di vita rivissuta. Rivissuta all’età di 40 anni e che aveva rimosso. L’ inconscio la immerge nell’evento della sua vita dal quale ha poi avuto origine un problema. Si può senza dubbio affemare che questo evento, apparentemente neutro rappresenta un vero e proprio trauma psicologico.
La piccola Giada sta vivendo un momento potenzialmente bello e costruttivo, con significati che appartengono e contribuiscono alla costruzione del Sé.
Giada, come tutti i bambini, vive molto il presente, sa immergersi nell’attimo presente e coglie tutti gli aspetti positivi di quell’ esperienza: la famiglia unita in un giorno speciale, la piacevolezza dell’aria primaverile, il silenzio che sa offrire una Milano ancora sonnecchiante e un po’ deserta, il canto degli uccellini, gli alberi, le foglie, il cielo…. E sente se stessa in sintonia con il tutto, in armonia, si sente bene sperimentandosi come femminuccia, come donnina, uguale alla mamma…
Si sente libera di esprimersi anche nel passo e nel “rumore” che i suoi tachettini fanno e che riempiono l’aria insieme al canto degli uccellini….sperimenta se stessa in una situazione nuova (solitamente è vestita da maschietto, per comodità (e per non suscitare le gelosie del fratello!).
Improvvisamente, vi è un brusco cambio di scenario, di emozioni e di pensieri, e Giada vi è immersa. Immersa e non tutelata.
L’ evento traumatico è rappresentato non tanto dalla reazione del fratello maggiore, che ha sempre vissuto sentimenti di gelosia mai superata nei confronti della sorella, quanto dall’intervento genitoriale: il padre asseconda la richiesta del figlio attraverso la mimica facciale e la gestualità; la madre, adeguandosi anch’essa e non intervenendo a tutela di modalità espressive naturali e che sono caratteristiche anche di distinzione di genere (uomo-donna).
Entrambi i genitori, quindi, colludono con modalità relazionali disfunzionali del figlio, facendo ricadere su Giada una responsabilità assurda e paradossale.
Il messaggio che, a qualche livello, la piccola riceve è:
“Se ti esprimi liberamente e naturalmente noi genitori non sappiamo tutelarti e fai male a tuo fratello che si trova in difficoltà ; noi non sappiamo intervenire su Giovanni e ci devi pensare tu, censurandoti”.
Inoltre, nessuno dei due genitori utilizza una comunicazione verbale, ma gestuale ( il padre con la mimica facciale e con la mano, mentre la madre adeguando il comportamento alla richiesta del marito). La parte più importante della comunicazione avviene a livello non verbale.
In questo caso i significati sono veicolati esclusivamente a livello non verbale e, in assenza di metacomunicazione, la potenza della comunicazione risulta amplificata dando la consapevolezza alla piccola Giada che ci si sta muovendo su un campo minato e che occorre muoversi con cautela e con passo lieve.
Tale trauma si traduce nella vita in una censura che la induce a non esprimere al meglio le proprie potenzialità e a non essere, a qualche livello, incisiva nell’espressione di sé, attraverso sintomi quali una bassa autostima, insicurezza, senso di inferiorità, blocchi interiori, incostanza nello studio e nel lavoro, ricadute psicosomatiche e tanto altro.
Maria Grazia Sordi – Psicologa
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3 novembre 2014