Il Quinto elemento, Giovanna d’Arco, Cose nostre – Malavita, tre film che rendono l’immagine di come il regista francese Luc Besson intenda la cinematografia e quale sia il suo stile narrativo.
Così lo è anche per questo “Lucy” a metà strada tra il film di fantascienza e quello drammatico, in puro stile “Bessoniano” dove nulla è scontato e dove la trama narrativa, lineare per gran parte del film alla fine va ad intricarsi, confondersi, nascondersi.
Chi legge questa rubrica sa che non parliamo mai della trama di un film: quella la trovate in mille altri siti e giornali: qui analizziamo alcuni aspetti strutturali di un film: a partire dal tema trattato, dallo stile narrativo, dalla scenografia e soprattutto cosa lascia, alla fine, nello spettatore.
Lucy è un film d’azione basato quasi esclusivamente sulla grande espressività ed agilità di Scarlett Johannsson, una delle poche attrici che sa coniugare la bellezza, alla recitazione e all’espressività.
Besson esalta questa ultima sua caratteristica: in molte scene Lucy non parla: guarda.
Osserva ciò che sta intorno a lei con quegli occhi profondi e quello squadro che solo l’attrice 29enne americana, poliedrica in maniera incredibile, riesce ad esprimere.
Uno sguardo profondo e intenso, espressivo al massimo che riesce a infondere nello spettatore esattamente ciò che vuole nell’occasione: paura, riflessione, dubbio, commozione, freddezza, spietatezza, e una miriade di altre sensazioni che solo Scarlett Johansson e poche attrici riescono ad infondere.
Spesso nel valutare un’interpretazione di un attore o un’attrice, noi italiani ci dimentichiamo del grande ruolo che hanno i doppiatori: se dovessimo vedere un film in lingua inglese ci accorgeremmo della poca espressività che molti attori americani hanno nel recitare e del grande lavoro oscuro dei doppiatori italiani che in molti casi riescono ad esaltare una recitazione insipida.
In questo “Lucy” l’espressività della protagonista, da sola, vale il prezzo del biglietto.
Il film è assolutamente da vedere, anche se alla fine lo spettatore si alza interdetto per un finale “strano” che non scioglie tutti gli interrogativi di un’opera molto particolare, in perfetto stile Luc Besson.
Angelo Bottiroli
27 settembre 2014