Egregio Direttore,

“Tortona ai Tortonesi” non è una affermazione razzista. Una città per essere serena, equilibrata, vivibile, deve appartenere ai suoi cittadini. Questo vincolo però non deve essere a senso unico: i cittadini, d’altro lato, devono appartenere alla città, e non per “diritto di nascita”, bensì per un senso di comunanza, condivisione, attraverso obiettivi unitari e comuni di crescita. Con l’adeguato apporto della realtà multietnica con cui, nel nostro piccolo, ci troviamo a convivere anche noi.
stranieri - ILa comunanza di intenti non implica l’essere nati a Tortona (e per semplificare al massimo, per tutti, a Tortona non si nascerà più) oppure a Mogadiscio, a Tirana piuttosto che a Bucarest.
Si è (o si diventa) cittadini Tortonesi non per una carta d’identità che lo certifica. Non basta essere residenti a Tortona (come in ogni altro luogo!) lavorarci, pagarvi le tasse o mandarci i figli a scuola, per essere automaticamente cittadini di “quel luogo”.
Per una persona straniera, così come per un cittadino tortonese, sentire il senso di appartenenza al luogo in cui vive, credo sia la cosa più bella che possa esserci. Ovvero conciliare il senso di appartenenza alla propria terra, al proprio paese, alla città dove è nato, dove si è formato, con quello per la città dove ha scelto di vivere, e dove, con la propria esistenza, contribuisce a lasciare una traccia di sé o un contributo per la crescita e lo sviluppo di questo luogo.
Intenti che ho trovato pienamente veicolati dalla lettera di Marsida Teliti, e che ho letto con grande emozione.
È qualcosa che viene dal cuore, e che si radica profondamente, anche quando sei costretto per motivi di lavoro o familiari ad allontanarti da quello che tu consideri il “tuo” luogo, dove hai le “tue” radici, il saper creare un senso di appartenenza condiviso con i luoghi dove sei, poi, andato a vivere.

 

MA CHI E’ IL RAZZISTA?


stranieri elemosina ITrovo invece che sia molto più razzista chi, pur auto proclamandosi “non razzista”, insiste nel distinguere tra italiani e stranieri, così come è misogino chi opera dei generali distinguo tra uomini e donne, ad esempio.
No, signori, pur di accapigliarvi tra di voi state perdendo di visto il nocciolo del discorso!
Personalmente, sento molto più vicina al mio ideale di concittadino la signorina Teliti, di chi, tortonese di nascita, punta continuamente i piedi in difesa (e generalizzando) in favore dello “straniero”.
Straniero rispetto a chi? O a che cosa?
Pensate che la comunità rumena sia orgogliosa dei propri connazionali dediti al furto di rame? O che la comunità marocchina ritenga un vanto, l’essere associata, generalizzando, allo spaccio di stupefacenti, per via di alcuni soggetti che si dedicano a queste attività?
Probabilmente, sono proprio i rumeni e marocchini onesti e rispettabili, i primi a prendere le distanze da questi soggetti. Ben diverso dall’atteggiamento di chi, italiano di nascita, li difende, comunque, a priori e ad oltranza.
Mettendoci dall’altro lato, allora, agli occhi di un osservatore esterno, gli italiani dovrebbero essere tutti mafiosi, Falcone e Borsellino compresi (dicendolo con il massimo rispetto per questi due Eroi, e solo con l’intento di evidenziare un paradosso limite).
Quindi, come noi italiani precisiamo, con perizia, che i mafiosi esistono ma sono solamente “alcuni”, allo stesso modo, tra le etnie dei migranti, esistono persone perbene, a modo, e persone che, indipendentemente si trovino in Italia, in Germania o al proprio paese di origine, conoscono come unico modo di vivere quello di dedicarsi alla delinquenza.

TORTONESI FALSI BUONISTI?

papa Francesco ITra i buonisti benpensanti, alzi la mano chi è andato in vacanza in Marocco, trent’anni fa, prima dei grandi flussi migratori, e camminava per i suk con la borsa aperta ed il portafoglio bene in vista. Chi lo ha fatto, alzi la mano e poi contiamole. Suvvia, vediamo di essere coerenti.
Peraltro, nemmeno per il mercato di Tortona, trent’anni fa, si poteva girare con la borsa aperta ed il portafoglio in vista. Tutto il mondo è paese. Il fatto che esistano sia borseggiatori italiani che stranieri, è un dato accertato. Il fatto che, aumentando la popolazione, aumentino i reati, è un altro dato di fatto, a base statistica, e per capirlo, basta un po’ di buon senso. In ogni popolazione umana vi sono sempre un certo numero di persone che, magari solo per una breve fase della loro vita, commettono reati. Dunque, se centomila, cinquecentomila o un milione di persone immigrano in un paese possiamo stare certi che in questo paese aumenterà il numero dei reati, anche se gli immigrati ne dovessero commettere meno degli autoctoni. Così come aumenterà il numero delle nascite, delle morti e dei matrimoni o il fabbisogno di abitazioni, di auto, di scarpe o di pomodori. E di posti di lavoro. Qui arriviamo alle dolenti note.
Il boom industriale, che mosse i migranti italiani verso i lidi delle Americhe, o della Germania, o della Svizzera, si è esaurito da tempo. La situazione economica attuale dell’Italia e dell’Europa (Germania a parte) è altamente critica; si discute di asilo per motivi umanitari, ma a me sembra molto poco umanitaria la realtà che si può offrire a questi migranti: un paese costantemente sul baratro di un commissariamento europeo, che vede le proprie pensioni a rischio, il dietrofront sui pensionamenti della quota 96, per citare solo il caso più recente, impone di riflettere se “possiamo permetterci”, a livello sussistenza, la portata di questi interventi. Cosa si può offrire a queste persone? Cosa possono procurarsi di che vivere, onestamente e in misura rispettosa della dignità individuale? Il lavoro nei campi a tre euro l’ora? Spaccarsi la schiena nei cantieri edili a cinque euro l’ora? Chiedere l’elemosina fuori dalle chiese o dai centri commerciali? Questa non è dignità, questa è mancanza di responsabilità da parte dello Stato che li accoglie e folle miopia da parte di chi insiste nel dire che accoglierli “è un gesto umanitario”.
Questa folle miopia non riscatterà i nostri antenati migranti delle umiliazioni e dei sacrifici che hanno vissuto nel loro passato. Non renderà giustizia (per fare alcuni esempi di cui sono a diretta conoscenza) a quel padre di famiglia italiano, emigrato per lavoro in Germania a fine anni ’60 e rimasto ucciso per sedare una colluttazione scoppiata tra tedeschi fuori da un bar. Nella civilissima Germania, non vi fu nessun processo e nessuna condanna, il morto era “solo un italiano” e quindi, non meritevole di giustizia, anche se lasciava moglie e tre figli, il più piccolo di soli 4 anni. Non riscatterà nemmeno le umiliazioni inflitte alla lavorante transfrontaliera che per trent’anni ha prestato servizio alacremente in Svizzera, pur sentendosi pungolare continuamente con frasi tipo “a voi italiani le nostre case non le diamo, perché piantate il basilico nel bidet”.
L’eccessivo buonismo, generalizzato, non riporterà alcuna dignità agli italiani che sono stati migranti a loro volta. Invocare le storie dei nostri migranti per giustificare una accoglienza che non può garantire delle idonee condizioni di vita, è ipocrisia in mala fede, a discapito dei più deboli.

 

IL RISCHIO DI CADERE NEL RAZZISMO INVERSO

stranieri - 2IPerò, chi siano i più deboli, in questa situazione, a volte, è tutto da stabilire. Ho sentito spesso dire che le famiglie dei migranti abbiano molto più diritto al sostegno economico che non le famiglie italiane in difficoltà. Perché? Non si cade in una forma di razzismo inverso, dicendo che uno straniero merita più di un connazionale?
Il vero principio di sussidiarietà dovrebbe essere applicato senza nessuna distinzione tra italiano o straniero, se è vero che tutti abbiamo gli stessi diritti, o sbaglio? Eppure ho sentito dire, con le mie orecchie, dal responsabile di una struttura caritatevole in città, che si predilige erogare aiuti e sostentamento agli stranieri “perché loro hanno le famiglie di origine lontane e non possono appoggiarsi a quelle, mentre gli italiani tra amici o parenti si possono arrangiare”.
E un italiano che non ha più nessuno della propria famiglia di origine, si attacca al tram, di conseguenza? Quello che non mi torna, in tutto questo discorso, è il motivo per cui i migranti che vivono in Italia possono mandare denaro alle proprie famiglie di origine (lo testimoniano l’impennata dei trasferimenti di denaro tramite western union, cresciuti continuamente per diversi anni consecutivi) e non possa, invece, avvenire il contrario, in caso di bisogno.

L’integrazione, sotto questo punto di vista, è ancora ben lontana dall’essere realizzata.

Lettera Firmata

5 agosto stranieri terra uguaglianza - L2014