Qualche mese fa, avevo appreso, a grandi linee, dell’esistenza di un progetto alternativo al Terzo Valico, che si prospettava meno impattante e più consono alla realtà piemontese. L’accenno a questa alternativa e la curiosità che ne è scattata, conseguentemente, di apprenderne maggiori dettagli hanno fatto il resto.
Esaminate le varie relazioni redatte dall’ideatore, l’ingegnere Gabriele Manfredi, debbo convenire che si tratta di un progetto sensato, modellato sul territorio, a costi molto più contenuti dell’Alta Velocità e del Terzo Valico e meno invasivo dal punto di vista ambientale.
Premesso che la mia concezione di ambientalismo è quella di riuscire a conciliare al meglio l’inevitabile progresso con il rispetto del territorio e la tutela della salute, mi pare che questa poteva essere la strada migliore da seguire, se l’intento dell’opera “alta velocità” fosse stato quello di recuperare il quadro complessivo delle grandi comunicazioni piemontesi, con il conseguente inserimento nella rete ferroviaria europea.
C’è chi dice questo progetto sia stato scartato perché costava “troppo poco”, chi insinua che il business delle grandi opere faccia troppa gola a certe tipologie di poteri che mirano ad infiltrarsi negli appalti milionari, sta di fatto che, pur mettendo da parte per un attimo le motivazioni sulla pericolosità o meno dello smarino e di tutte le altre valutazioni di una posizione che, se avesse margine di influenza, sarebbe “No a questo tipo di TAV“, sono molteplici i punti di vista che fanno guardare a quest’opera faraonica con un occhio, quanto meno, critico.
Purtroppo, la percezione è che la priorità data alla nuova linea Torino – Lione non sia l’esito di una scelta operata sulla base di un progetto condiviso a livello locale, né frutto di quadro complessivo delle soluzioni possibili, tenendo presenti tutti i fattori in gioco che comprendono i collegamenti a grande distanza e il servizio transfrontaliero, l’entità degli investimenti e i tempi di realizzazione.
Nei quaderni “Verso la città metropolitana” di Gabriele Manfredi e Sergio Nicola (1991 e 1999) viene individuata una ben dosata distribuzione del servizio nell’intera area regionale, con un collegamento rapido, passeggeri e merci da Torino a Nizza, realizzando un varco a sud del Piemonte con un traforo tra Borgo S. Dalmazzo (Cuneo) e la Valle del Varo (Nizza).
Forse, questo, è l’unico lavoro dove vengono considerati i flussi reali di traffico presenti sul valico di Ventimiglia, dove si cerca di dare una risposta all’isolamento ferroviario (specialmente per le merci) della provincia di Cuneo, e si tiene conto della necessità della metropoli torinese di essere collegata con il cuneese, con una ulteriore previsione di un collegamento con la Valle d’Aosta e con la Svizzera. Senza dubbio questo progetto rappresenta un’alternativa alla Torino – Lione, ma soprattutto si tratta di uno studio che prende in seria considerazione dati ed esigenze reali della nostra regione, rendendo veramente la “Torino ferroviaria” un nodo importante verso il Sud ed il Nord Europa. Gli autori dello studio definiscono questa linea come “L’anello mancante”.
Quel varco a sud che non è il Terzo Valico
Ad oggi, l’intera regione piemonte dispone di due soli collegamenti ferroviari, entrambi verso nord, costituiti dalla linea del Sempione e dalla linea del Fréjus.
Manca un collegamento verso ovest, verso la Francia meridionale, la Spagna e il Portogallo, i porti mediterranei di Marsiglia e di Barcellona ed i porti atlantici di Bordeaux e di Lisbona; identificata la soluzione nella linea Torino-Cuneo-Nizza , questa nuova tratta, secondo il progetto di Manfredi, potrebbe rappresentare il collegamento mancante a completare il sistema delle grandi comunicazioni internazionali del Piemonte e dell’intero paese in direzione ovest e sud-ovest.
Il progetto è pensato come una linea di trasporto rapido passeggeri e merci da Torino a Nizza con un traforo di base tra Borgo San Dalmazzo e la valle del Varo, che consentirebbe di raggiungere da Torino l’aeroporto intercontinentale di Nizza in meno di un’ora (156 km da Torino all’aeroporto di Nizza) e che, soprattutto, non espone particolari elementi di rischio ambientale.
In luogo dello stretto corridoio servito dalla linea Lione – Torino – Milano, si tratta di un vero e proprio sistema a servire l’intera regione, con Torino crocevia di forti direttrici da nord a sud e da est a ovest.
Poteva essere la grande occasione per una politica del territorio rivista alla luce del rilancio del trasporto collettivo su ferro, fino ad oggi penalizzato dalla sottovalutazione dei collegamenti internazionali e dal generale disconoscimento del ruolo che può assumere il servizio ferroviario locale attuale, se pur bisognoso di adeguati interventi e migliorie.
La valle di Susa infatti ospita già la linea ferroviaria internazionale del Fréjus, che fino al 2000 è stata la seconda ferrovia italiana come volume di traffico con l’estero; poi ha cominciato a calare ed a perdere posizioni, a favore di una crescita di volumi sul Brennero e nei valichi alpini di centro e dell’est.
Sebbene i lavori, effettuati tra il 2002 ed il dicembre 2010, abbiano riportato questa linea ai migliori livelli di funzionalità tra i tunnel ferroviari esistenti nella tratta alpina, negli ultimi tre anni è stata utilizzata per meno di un quarto della sua capacità. Sembrerebbe ovvio che, prima di pensare a costruire nuove infrastrutture, si dovrebbe perlomeno migliorare e sfruttare quelle già esistenti.
Una linea in direzione di Lione, quindi, c’è già mentre manca del tutto un adeguato collegamento
in direzione del la Francia meridionale e della penisola iberica.
È stato inoltre trascurato che dal varco di Ventimiglia transitano, solo sulle autostrade, oltre un milione di mezzi pesanti all’anno (diciotto milioni di tonnellate di merci dirette prevalentemente verso la pianura padana) contro i 22 milioni di tonnellate che passano per le gallerie autostradali del Fréjus e del Monte Bianco. Come non si può far finta di non sapere che per Ventimiglia transita il 45% del traffico pesante attraverso le Alpi occidentali e il 21% di tutto il traffico pesante attraverso l’arco alpino da Trieste a Ventimiglia, con una situazione del traffico stradale sui due lati del varco che si fa sempre più insostenibile. Né va dimenticato che si tratta di un traffico che in gran parte si riversa nella pianura padana.
Ma, se questa nuova linea proposta dal progetto di Manfredi può rappresentare un fattore di alleggerimento del traffico stradale, sarebbe allo stesso modo pacifico stimarne anche la positiva ricaduta sui percorsi in ferrovia, in termini di sviluppo dei trasporti, attualmente a livelli bassissimi ed in netta contrazione (nel decennio indicato in tabella, i trasporti su ferro hanno segnato -21% per il Fréjus e -50% per Ventimiglia).
È evidente come, da queste considerazioni , ne esca valorizzata l’ipotesi della soluzione minimale, costituita dall’ammodernamento della linea esistente per Torino e Lione, valorizzandola e rendendola in grado di assorbire buona parte del traffico ferroviario proveniente dal sud-ovest europeo.
Annamaria Agosti
(fine prima parte)
14 marzo 2014