Cosa sarebbe il mondo senza le donne? Cosa farebbe un uomo senza colei che lo incita, lo stimola, lo guida e lo ama?
Difficile ipotizzarlo. Di sicuro sarebbe un mondo peggiore.
Nel giorno della festa delle donne, affidiamo ad una donna, Annamaria Agosti, il compito di ripercorrere le tappe di un lungo cammino che ha portato (ma non ancora) le donne al loro giusto ruolo nella società. Nel testo si racconta anche la storia delle donne tortonesi dell’epoca.
Il tutto nella speranza che, al più presto, la Festa della donna venga definitivamente cancellata perché fino a quando ci sarà una festa della donna non una festa dell’uomo vorrà dire che le donne continueranno ad essere discriminate.
E questo, noi, non lo vogliamo.
Angelo Bottiroli
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Egregio Direttore,
L’8 marzo. Quale ricorrenza migliore di questa, per ricordare il lungo cammino verso le conquiste sociali e politiche delle donne?
Un accadimento storico, in particolare, ritengo che abbia contribuito ad una forte accelerazione, nel percorso di crescita della consapevolezza di sé nel gentil sesso: avvenne con la Prima guerra mondiale, in occasione della “Grande guerra”.
Per le donne il trauma bellico significò, sicuramente, lutto, sofferenza e ansia materna, ma, allo stesso tempo, contribuì anche ad incrinare un ordine familiare e sociale, fino a quel momento ritenuto immutabile.
L’enorme fabbisogno di risorse umane al fronte innescato dalla guerra, unito al bisogno crescente di manodopera in tutti i settori, e specialmente nella produzione bellica, provocarono una sorta di “invasione di campo” femminile nelle più svariate realtà professionali, in settori che, fino a quel momento, erano prerogativa esclusivamente maschile.
Le donne si scoprirono tranviere, ferroviere, portalettere, impiegate di banca e dell’amministrazione pubblica, operaie nelle fabbriche di meccanica e di munizioni. Il risultato di tale drastica rimozione della “subordinazione” sociale femminile, rappresentò dunque un fresco, quanto inedito, anelito di libertà: vivere sole, uscire da sole, assumersi da sole certe responsabilità erano cose che, per le motivazioni conseguenti al conflitto, divennero per molte donne finalmente possibili, anche se non sempre accettate dai “benpensanti” dell’epoca.
In tutti i settori produttivi, industria agricoltura e terziario, per far sopravvivere l’economia, una volta partiti gli uomini per combattere al fronte, vennero impiegate le donne.
L’”altra metà del cielo”, fino ad allora relegata alla vita domestica ed alla famiglia, divenne a tutti gli effetti una nuova importante forza sociale, che vedeva le donne investite in ruoli e responsabilità nuove.
Così, la mondanità divenne meno importante, tanto che anche le donne dell’aristocrazia e dell’alta borghesia si dedicarono al volontariato, associandosi all’impegno comune, o presero in mano le sorti delle imprese dei mariti, dei fratelli e dei figli. Ciò determinò una rivoluzione sociale che provocò un cambiamento definitivo nella storia della società occidentale.
Tocca infatti alle donne, chiamate a guidare autobus e tram, il compito di consegnare la posta e spazzare le strade, di lavorare negli uffici e nei magazzini.
Le donne di ogni classe sociale provvedono ai bisogni materiali dei combattenti, anche solo cucendo le divise per i militari.
Per le donne, è l’ingresso di un nuovo mondo: sia per le giovani operaie da poco entrate nel lavoro di fabbrica, esposte a lavori pesanti e pericolosi, ma pronte ad approfittare di qualche spazio di liberta dalla soffocante tutela maschile, così come accadde per le donne appartenenti alla classe media, che trovarono per la prima volta il modo di uscire dall’ambito familiare, di sentirsi valorizzate in compiti socialmente utili e pubblicamente riconosciuti.
Nel 1916, l’Istituto della Mobilitazione Industriale emana disposizioni che sanciscono l’obbligatorietà di una graduale sostituzione di manodopera maschile, chiamata a combattere al fronte, con donne e ragazzi nelle lavorazioni di meccanica leggera, estendendo, dall’anno seguente, tale provvedimento a quelle metallurgiche, per le quali è fissato un rapporto minimo di impiego di manodopera femminile o minorile rispetto al numero degli operai.
Le donne italiane superano le barriere del confine domestico e fanno il loro ingresso nei reparti delle fabbriche. Il 1917 rappresentò l’anno di maggiore impiego femminile. Nel 1918 le donne costituirono il 22% del lavoro totale nell’industria. (Fonte: Museo Centrale del Risorgimento).
Il Comitato Centrale Mobilitazione Industriale Piemontese, nel 1916, identificava a Tortona 4 stabilimenti meccanici ausiliari per le lavorazioni necessarie ai fabbisogni del periodo bellico: ALFA società anonima (4-9-1915) Ferretti e Goggi (31-1-1916) Giavotto Fedele (8-6-1916) Orsi Pietro e figlio (8-6-1916)
La Prima guerra mondiale fu altresì molto importante per quanto riguarda la figura delle infermiere: per la prima volta, questa categoria di volontarie trova modo di distinguersi ed acquisire prestigio agli occhi della società.
Quasi tutte le volontarie della Croce Rossa Italiana facevano parte di famiglie benestanti.
Curioso notare come, tra le raccomandazioni alle allieve per svolgere compiutamente la propria missione, vi fosse quella di indossare abiti estremamente castigati, come le suore, allo scopo di non far innamorare i feriti affidati alle loro cure.
Anche a Tortona era attivo il Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa, dotato di una propria “Scuola Infermiere” interna.
Una volta terminato il conflitto, venne chiesto alle donne di tornare “al proprio posto”, tra le mura domestiche.
Ma nulla sarebbe più stato lo stesso: una volta assaporata l’indipendenza e l’autonomia professionale, era, oramai, innescata la scintilla che, molti anni dopo, sarebbe culminata nella rivoluzione femminista per l’emancipazione della donna.
Annamaria Agosti
8 marzo 2014