Lo scorso giovedì 5 dicembre 2024 alla Galleria Museo Ar/ge Kunst nel centro storico di Bolzano, è stata inaugurata, in uno spazio espositivo che si sviluppa su 150 mq, la grande mostra curata da Marco Scotini (Direttore artistico di FM Centro per l’Arte Contemporanea e direttore del Dipartimento di Arti Visive e Studi Curatoriali di NABA), Francesca Verga e Zasha Colah “À JOUR”, in cui il percorso artistico di Clemen Parrocchetti (Milano, 1923 – 2016), con i suoi OGGETTI DI CULTURA FEMMINILE, appare in tutta la sua grandezza testimoniando un impegno –che segna tutta la vita di questa grande artista- verso una denuncia della condizione femminile in ambito famigliare e lavorativo. Clemen è artista completa e correda le sue opere d’arte (create con tecniche diverse, ma con un segno singolare che le deriva dalle frequentazioni di Brera e dai contatti con i più importanti artisti milanesi degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento) con un corollario di scritti di denuncia della condizione della donna, tema che porterà avanti con costanza fino agli anni 2000, dipingendo e “ricamando” fino alla fine dei suoi giorni. 

La mostra, che si apre con una gigantografia in cui una giovane Parrocchetti sta eseguendo un murales nella sede occupata dell’Alfa Romeo di Arese, ripercorre alcune opere che seguono il tema dell’orlo a giorno, formula utilizzata dall’artista come una sorta di diario, giocando con il termine francese “à jour”: l’orlo a giorno rappresenta il giorno del suo orlo, l’orlo che accompagna ogni giorno.


L’orlo “à jour” indica il lavoro femminile domestico costante che si ripete, è la rielaborazione delle barriere che la donna-artista deve superare quotidianamente.

La mostra inizia con figure grottesche, corpi divorati e smembrati sulla tela, facenti parte della serie di dipinti che Parrocchetti chiamava le “divorazioni”, come Tagliatrice di Teste (1969) e A proposito dell’amore (1969). È proprio a partire dal riconoscimento del corpo ingabbiato nella vita domestica e dal suo desiderio di liberazione, che il femminismo getta le basi per un superamento dell’oppressione sociale e politica della donna.

E’ inutile dire quanto sia difficile per una donna operante nelle arti visive, trovare uno spazio, che le consenta di muoversi con libertà e determinatezza e con le stesse possibilità degli uomini” scrive Clemen negli anni Sessanta, e ancora – negli anni Settanta- in una presentazione di una mostra alla Galleria il Mercante di Milano nel dicembre 1975: “Il gruppo di lavori che in questi ultimi due anni ho portato a termine…potrebbe intitolarsi “ambiguità della rivoluzione proletaria”. Sono infatti convinta che non sia possibile una completa rivoluzione sociale, se prima le donne non abbiano raggiunto una vera coscienza del proprio ruolo…forse i loro “compagni” se così possono dirsi, non sono direttamente responsabili di tale oppressione, ma a loro volta sono vittime di un potere, che ha tanto ambiguamente e dolcemente raggirato le donne da costringerle a trasmettere e mantenere in piena buona fede, il concetto di padronanza, che legalmente essi detengono…

Clemen chiama le sue opere “oggetti di cultura femminile” e spiega: “sono costruiti con materiali poveri e soffici, con stoffe talora colorate vivacemente, unite a nastri, a fili spesso lasciati volutamente sollevati per esprimere il fermento, la ribellione, qualcosa che vuole uscire ed espandere, pur essendo ancora prigioniero. Sono forme in rilievo, quasi tutte simboliche vagine femminili, espressamente cucite su lastra metallica a denunciare la fatica quotidiana cui sono soggette, quasi tutte punzecchiate da spilli ad indicare le torture che non danno requie. Spesso sono fissate e legate a gomitoli di filo, simboli sessuali maschili, che rappresentano l’oppressione e l’ostacolo alla libertà. Durante il procedere del mio lavoro mi sono confrontata con artisti e critici, ma il femminismo, perché male inteso, dà sempre fastidio perfino a molte delle stesse donne”.

La galleria ar/ge kunst di Bolzano prosegue i suoi scopi secondo l’idea del  Kunstverein  (associazione d’arte) che è una tendenza soprattutto nordica. Viene fondata a Bolzano nel 1985 come associazione privata per la promozione di arte e architetture contemporanee ed ha come obiettivo principale l’individuazione e la valorizzazione delle posizioni artistiche innovative e all’avanguardia. Dal 1989 al 2000 la direzione artistica della galleria è di Marion Piffer; dal 2000 al 2008 di Sabine Gamper e dal 2008 al 2012 di Luigi Fassi.

In preparazione di questa mostra e delle prossime, importantissime, che si terranno a marzo 2025 a Metz, in Francia, e ad ottobre a Firenze al Museo del Novecento, il mio laboratorio di restauro, su commissione dell’Archivio Clemen Parrocchetti, ha ospitato e restaurato una trentina di opere di varie tecniche e dimensioni e durante il restauro la contemporaneità dell’opera di questa grande artista ha coinvolto tutti noi, facendoci riflettere su quanto poco sia cambiata la condizione femminile dopo tutti questi anni di presa di coscienza: proprio lo scorso 25 novembre, giornata contro la violenza sulla donna, stavamo restaurando il grande dipinto ad acrilico su tela “…si va oltre…”  con al centro un busto di donna nuda che brandisce una sorta di martello, ma con una serie di simboli che richiamano quelli della passione di Cristo e l’inquietante grande scritta alla base della tela …SI VA OLTRE…A FURIA DI MARTELLATE…AHI! AHI! AHI!…SI VA OLTRE?…, un’opera attualissima che purtroppo ci ha fatto riflettere su quanta poca strada le donne abbiano fatto da allora; per non parlare poi delle altre grandi opere, che Clemen ha intitolato “Divorazioni”, in cui l’intreccio di corpi maschili e femminili sono caratterizzati da grandi labbra e grandi bocche che finiscono con il divorare la donna annientandola.

Il Castello di Borgo Adorno a Cantalupo Ligure (AL), sul crinale verso Giarolo, è stata una dimora a cui Clemen era particolarmente legata e dove ha trascorso gli ultimi anni di vita sempre in febbrile attività ed è ora sede dell’Archivio infatti dopo la scomparsa di Clemen nel 2016, gli eredi hanno trasformato il castello di Borgo Adorno in una Casa Museo, inaugurata nel settembre 2017, evidenziando negli interni il percorso artistico di Clemen. La Casa Museo è aperta al pubblico in alcuni week end dei mesi estivi e nel luglio del 2018 il critico d’arte Philippe Daverio vi ha inaugurato la mostra “ 3 Generazioni di Artisti” , da lui voluta e curata per esporre tre diversi percorsi artistici che si articolano in un arco temporale di oltre un secolo, dalla fine del 1800, con le opere di Antonio, padre di Clemen, fino ai giorni nostri con quelle del cugino Alessandro Parrocchetti, una medesima famiglia con produzioni artistiche di notevole spessore.