Mons. Ivo Piccinini, Piercarlo Fabbio e Natalino Ferrari sono gli autori di una mostra fotografica che il 1° novembre è stata inaugurata a San Michele, con sede nella Chiesa parrocchiale, dal titolo: Il Tuono e la Piana. Il Tuono, come ormai si sa, è il nome antico di Tanaro, mentre la Piana è la grande area di San Michele, che sorge nei pressi della Cittadella, è bagnata dal Tanaro e giunge fino alle colline monferrine di Castelletto e Quargnento. Un’area vastissima che nel 1994 era stata quasi totalmente interessata dal fenomeno alluvionale.
La mostra si compone di una quarantina di fotografie riprodotte in grande formato e raccolte in quindici pannelli.
Gli autori spiegano il percorso visivo delle immagini in rassegna: “Nulla di esaustivo, nulla di manieristico. Ciò che rimane negli occhi, nei cuori, nelle menti della gente è ben più di ciò che traspare dalle datate immagini ricavate da improbabili archivi familiari, da libri ormai consunti dal tempo incalcolabile delle biblioteche. Chi ha vissuto e guarda non può non notare come le fotografie vengano dopo l’ondata, l’acqua che entra nelle case, il Tuono che invade il sobborgo con violenza ed impeto. Sturm und drang. Eppure, riguardare questi spezzoni di memoria riconduce ad emozioni antiche, pur mitigate dall’azione degli anni, ripropone ansie e paure vere di momenti arpionati dalla cronaca spezzettata di quei giorni e passati alla storia della Piana.”
Perché “nulla di esaustivo”, che sono le prime parole che ad inizio mostra la caratterizzano? Perché nel 1994 non c’era ancora il delirio dell’immagine che oggi siamo abituati ad affrontare grazie all’aiuto degli smartphone. In allora i telefonini, pochi e poco diffusi, erano appunto solo “telefoni” e le macchine fotografiche, che ognuno aveva in casa, sono state imbracciate solo a fatti avvenuti. Mentre arrivava l’ondata limacciosa del fiume, a prevalere erano stati spavento e paura, e la documentazione dell’evento ci sarà, ma solo dopo molte ore. Per cui la mostra riflette su questa modalità di approccio alla fotografia e la mette in risalto, sapendo che mente e cuori dei sopravvissuti trattengono ben più ricordi di quanto quelle immagini forniscano.
In aggiunta si può intavolare il discorso della qualità delle immagini. La mostra non propone scatti di fotografi professionisti, migliorati per di più da intense e lunghe sessioni di fotoritocco, ma quello che gli obiettivi di macchine fotografiche essenzialmente economiche potevano cogliere senza filtri in una condizione di pericolo per il solo fine di documentare la tregenda e la disperazione. Per cui molte fotografie appaiono come lo scatto in allora possibile. In un corso di estetica fotografica sarebbero sanzionate e scartate. Nella Mostra di San Michele costituiscono un patrimonio indelebile della memoria.
La mostra è divisa in cinque sezioni. Inizia con “Prima dell’alluvione”, che ritrae “Le avvisaglie e la storia congiunta del fiume e della Piana, delle sue genti. Cos’è capitato prima? Nel tempo che dal Settecento arriva fino ai giorni nostri? E cosa è successo
anche solo il giorno precedente? Come leggono gli uomini i segni dei tempi?”.
La seconda parte ci fa entrare nel tema dell’evento e della sua scoperta. Ecco come gli autori la spiegano: “Arriva l’acqua del Tanaro, inaspettata, violenta, densa e profonda.
La si misura sulle facciate delle case, sulla speranza di salvare qualcosa, sul tempo che trascorrerà per ripristinare ogni vita”. Una sorta di sospensione del respiro vitale, in attesa che la paura scemi e si possa salvare qualche brandello di patrimonio sul quale
basare la ricostruzione.
Ma si capisce che è troppo presto. Occorre prendere atto del dramma e delle conseguenze, la terza parte della rassegna: “Ora l’acqua si ritira, faticosamente e lentamente defluisce lasciando vedere i suoi effetti. Ora, salvata la vita, ci si rende conto di ciò che si è perso. Ci si rimbocca le maniche senza pensare e il pianto si ricaccia in gola.”
Passato l’inferno, giunge il tempo della fraternità. Arrivano gli aiuti e gli scatti ritraggono i volti di chi, senza chiedere nulla, è giunto a San Michele per offrire il suo lavoro e la sua competenza: “Un esercito di generosità disinteressata, pronta a miscelare badili con sorrisi e solidarietà. Vengono da tutt’Italia per aiutare i fratelli e le sorelle di un paese che neppure sapevano essere iscritto nella geografia del Paese.
Lavorano ininterrottamente, si cibano come possono, dormono in giacigli improvvisati e abbracciano continuamente chi ha perso tutto…”
Si procede verso il termine della mostra, quello dedicato alla ricostruzione, un empito fin da subito presente nelle mente e nei muscoli degli abitanti della Piana. Tutto non si può ritrarre, quindi si presentano “Solo alcune immagini di un lavoro immane di
ricostruzione, prese a simbolo di un’azione ben più vasta. Qualche episodio ricostruttivo di come l’alluvione sia stata anche un’occasione di modernizzazione del sobborgo e della sua area”.
A ciò si aggiungono i volti di chi è stato protagonista, ha guidato le operazioni di aiuto ed oggi non c’è più. E quelle di chi per l’alluvione ha perso la vita, come per Angiolina Faà e Riccardo Raschio. Ma anche per amministratori pubblici, politici, educatori che
sono stati vicini alle gente della Piana: Francesca Calvo, Roberto Maroni, David Sassoli, Marco Canepari, la maestra Silvana Cerruti..
Chi sono gli autori delle fotografie? La mostra si fonda su ricerche tra gli album dell’archivio parrocchiale e di famiglie che hanno messo a disposizione le loro memorie. Di alcune si sono individua gli autori; di altre, invece, si pensa che possano essere riconosciute ed attribuite dopo l’esposizione. In cerca d’autore… dunque, fino al termine del periodo che vedrà i pannelli collocati nella chiesa parrocchiale, cioè l’8 dicembre. Già ora si sa che la mostra avrà un altro periodo di esposizione dal 1° al 15
gennaio al Museo della Gambarina in Alessandria.
La Chiesa e il museo, luoghi che all’alluvione hanno legato un tassello importante della loro storia.