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Oggi è San Francesco, patrono d’Italia, la storia di un monumento. Di Piercarlo Fabbio


Oggi è il giorno dedicato a San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia. Un giorno nel quale, tradizionalmente, oltre alle funzioni religiose che avvengono al Santuario del Sacro Cuore di Gesù, in via San Francesco, celebrate dai Cappuccini, vi è la ricorrente cerimonia civile di ricordo del Patrono e la deposizione dell’omaggio floreale al Monumento di San Francesco e la lupa, che è posto nel giardino dell’area d’angolo di piazza Giosuè Carducci ad Alessandria.
Quest’anno però è un anno speciale, perché i Frati Cappuccini lasceranno presto Alessandria, in quanto l’Ordine Francescano ha deciso un loro diverso posizionamento nel servizio al territorio italiano. Quindi anche giorno di malinconia e giorno in cui possiamo guardarci alle spalle per ammirare il lungo cammino fatto dai Francescani e dai Cappuccini nella nostra città. Si hanno infatti notizie di una loro presenza ad Alessandria, fondata in allora da poco, in contemporaneità o in conseguenza all’arrivo in città di San
Francesco.
Che il poverello di Assisi sia stato in Alessandria è fatto certo, solo che non tutti gli storici sono concordi sulla data del suo soggiorno. Vi evito la dissertazione su quale anno preferire, o quale sia più certo. Mi tuffo sulle conclusioni, diciamo così, e scelgo anch’io, aiutato dagli studi di Giovanni Sisto, quella del 1213. Era il tempo in cui Francesco stava viaggiando verso la Spagna. Poi, colpito da un’infermità, era stato costretto a interrompere la sua missione iberica e a ritornare verso l’Italia nel 1215.
In Alessandria, Francesco, oltre ai due miracoli che gli affezionati ascoltatori de La mia cara Alessandria già conoscono, fonda una Chiesa, che sarà terminata circa 60 anni dopo e probabilmente anche il convento annesso. La Chiesa è ancora in piedi, nonostante – si sa – attenda anno dopo anno corposi restauri: la sua facciata si intravvede in fondo a via Verdi, come se fosse un’anonima muraglia del compendio ex Ospedale militare, pur portando ancora i segni dello stile romanico lombardo, sui dettami del quale era stata costruita. I miracoli sono quelli del cappone trasformato in pesce e quello della lupa.
Quest’ultima convinta da Francesco alla mitezza e a smetterla di assalire gli uomini e, addirittura, di divorare i bambini.
Mentre il miracolo del cappone è narrato da Tommaso da Celano, il primo biografo di Francesco, nella sua Vita seconda, il miracolo della lupa ci è stato tramandato da Guglielmo Schiavina, il più antico fra gli storici alessandrini, che termina gli Annali di Alessandrianel 1612. Quindi non era testimone dei fatti. E risolverà il problema delle fonti del miracolo con un incipit inequivocabile: È antica tradizione. Nessuno prima di lui ne aveva scritto.
Chi lo aveva fatto dopo di lui, l’aveva letto negli Annali. Praticamente il miracolo della lupa era stato raccontato di generazione in generazione senza essere mai scritto. I suoi custodi ne erano stati, per circa quattrocento anni, proprio gli alessandrini.
E se il popolo aveva così a lungo custodito il proprio sapere come un tesoro inattaccabile, perché un gruppo di alessandrini volenterosi non doveva dedicare a Francesco, alla lupa e… ai propri antenati un monumento?

Non posso sapere com’era nata l’idea del monumento al miracolo, ma so che la culla di quell’idea era stata la sezione di Alessandria del Movimento Cristiano Lavoratori, a cui, negli anni Settanta del Novecento, erano iscritti alcuni volenterosi operatori cattolici di
Alessandria, come il cavalier Nando Arobba, l’ing. Carlo Zambruno, il Prof. Renato Bodellini, il cav. Mario Colonna e altri. I nostri avevano costituito un comitato per raccogliere la cifra necessaria per lo scultore e per la fusione in bronzo, oltreché per la collocazione del monumento nel luogo indicato. Ecco come, con le mille cortesie che si dovevano usare nei confronti dei potenziali benefattori, scrivevano la loro richiesta di fondi: “I lavori preparatori e di allestimento già avviati richiedono, com’è facile intuire, un notevole onere finanziario, che questo Comitato, con i soli suoi mezzi, non potrebbe sostenere.
La Sua riconosciuta sensibilità verso tutto ciò che può rappresentare motivo di Unione e di fraternità induce a contare su una sua generosa e concreta partecipazione affinché l’iniziativa promossa possa avere degno compimento ad onore dell’intera cittadinanza”. L’opera era stata commissionata allo scultore Silvio Monfrini, allievo di Giacomo Manzù, che l’aveva realizzata con capacità e maestria. L’aveva titolata “San Francesco d’Assisi e la lupa” (al miracolo nessun cenno), ma l’autore certamente voleva simboleggiare l’amore che placa l’odio e la violenza.


La collocazione del gruppo bronzeo era avvenuta quarantun anni fa: sabato 9 maggio 1981.

Nel volantino, che, insieme alle lettere del Comitato, ancora si conserva negli archivi del Movimento Cristiano Lavoratori di Alessandria, si poteva leggere che l’opera era stata offerta alla città semplicemente dagli Amici del Poverello di Assisi.
Alle ore 10 di quel giorno di maggio, si erano radunati nel giardino antistante la Scuola Carducci: la Schola Cantorum di Bergamo; il vescovo della città, Mons. Ferdinando Maggioni, che aveva benedetto la statua, mentre il Sindaco, Francesco Barrera e il reverendo
Padre Emiliano Vallauri, ministro provinciale dei Padri Cappuccini, avevano portato il loro saluto.
Inframezzati dai canti della Schola diretta da Padre Erminio da Treviglio, ci sarebbero state appunto le allocuzioni (così è scritto sul volantino) dello stesso Padre, nella sua funzione di direttore della Bontà Francescana di Milano, e di un Ministro di stato ospite della città. Tra tagli del nastro, scoprimento della statua e canti si sarebbe così arrivati alla fine della manifestazione.
Solo che il Comitato aveva voluto inserire nell’annuncio anche una propria considerazione:

Cittadini, onoriamo esultanti l’alba gloriosa dell’ottavo centenario della nascita del Santo Patrono d’Italia, San Francesco d’Assisi, il più santo degli italiani e il più italiano dei santi.

Mentre ci stavamo preparando per andare in onda, dunque, i Frati Cappuccini con le autorità cittadine e i volontari del Movimento Cristiano Lavoratori, aiutati dai bambini della scuola Carducci, hanno deposto i fi ori al monumento, per ricordare tante cose che
ho cercato di raccontarvi: il soggiorno di San Francesco d’Assisi in Alessandria; i suoi miracoli; il dono dell’amore che vince la ferocia; la natura amica dell’uomo, sentinella del creato, nonché l’addio, che noi speriamo essere un arrivederci, dei Frati Francescani
alla città, dopo oltre 800 anni di intensa presenza. Un servizio alla città, alla sua popolazione, ai più poveri, che gli alessandrini non potranno dimenticare e che mancherà loro, così come mancheranno le fi gure di quei religiosi con il saio marrone e i sandali ai piedi, che solo qualche decennio fa giravano per le vie del centro con un sacco per il pane, per la raccolta del cibo da offrire ai poveri, per pace e bene.

Per qualche mese ancora un padre Cappuccino continuerà a fornire cibo ai poveri, pur in assenza dei confratelli, fi dando sull’aiuto di un gruppo di volontari, che servono alla mensa dei più poveri, giunti a superare, in alcuni giorni, le cento unità.

Piercarlo Fabbio

Testo tratto da: La mia cara Alessandria n. 547, trasmissione andata in onda a Radio BBSI – Alessandria il 4 ottobre 2022 dalle ore 12,15 alle ore 13,15

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