Giovedì 19 settembre, in occasione della presentazione del Calendario in dialetto pontecuronese 2025, presso l’Oratorio di San Francesco di Pontecurone, a partire dalle 20.45, avrà luogo il Primo Torneo del dialetto, promosso e organizzato in collaborazione con l’Associazione culturale “ Il paese di don Orione APS”.

Il dialetto è una lingua basilare, elementare, che storicamente non ha mai avuto un rapporto paritario con la lingua italiana, bensì gerarchico e conflittuale.


Perciò certi termini astratti o moderni, strettamente collegati alla cultura dotta, letteraria, sono poco conciliabili con il dialetto, lingua pratica, del popolo, finché in Italia sono esistiti un popolo e un universo culturale e materiale popolare, cioè fino alla prima industrializzazione.

Il dialetto è un mezzo linguistico congeniale per recuperare la memoria, il dialetto è una “lingua senza passaporto”.

Antonio Gramsci apprezzava il dialetto e riteneva che non lasciar parlare in sardo i bambini nuocesse alla loro formazione intellettuale e alla fantasia.

La nostra intenzione è quella di una chiacchierata a ruota libera su una idea centrata sulla salvaguardia della cultura Pontecuronese facendo leva sulla lingua locale (il nostro caro dialetto), sugli aneddoti e sugli avvenimenti che la tradizione, per ora solo orale e raccontata dai nostri padri e dai nostri nonni, ci è stata lasciata come preziosa eredità.

Aneddoti e avvenimenti che come una colonna sonora hanno accompagnato la crescita, lo sviluppo e la metamorfosi di Pontecurone nel corso del secolo scorso. 

Aneddoti e avvenimenti legati ad alcune persone del paese la maggior parte delle quali già scomparse.

Noi vorremmo che queste persone e i loro racconti, perché di racconti si tratta, e loro sono i nostri canta-storie e come in tutte le storie tramandate sono al confine tra la realtà e il surreale, non andassero dimenticate e perdute.

Qualcuno, con un’espressione dialettale e da bar dello sport li chiamava e li chiama “bälè” ma a questa stregua possiamo definire “bälè” personaggi storici molto più noti dei nostri compaesani.

Questi “bälè” famosi erano chiamati in vari modi: poeti, scrittori di fantasia, menestrelli, canta storie, affabulatori. Bene, per noi questi nostri paesani appartengono a queste categorie .

Il bälè è uno che racconta cose esagerate il cui solo scopo è quello di auto-celebrarsi, di far vedere quanto sia bravo e furbo a scapito di altri poveri cristi. Il bälè è uno che dopo cinque minuti che parla, guardi l’orologio e lo abbandoni al suo sproloquio dicendo che ti sei dimenticato il latte sul fornello acceso.

L’affabulatore invece ti coinvolge, ti affascina con la sua fantasia e la capacità di trascinarti nella storia che racconta e tu lo ascolti e con lui entri nel suo mondo e cammini nelle sue storie non come spettatore ma come una persona che si trova e si muove in quel mondo e hai paura che come una bolla di sapone questo mondo svanisca all’improvviso.

La tradizione orale si sta frantumando contro il nuovo che avanza; l’italiano parlato da tutti, la multi – etnicità che si sta affermando anche a Pontecurone il qualunquismo e lo scarso senso della comunità che come un virus sta contagiando tutto e tutti.  Nelle famiglie con radici pontecuronesi, i figli parlano solo italiano perché dà un tono meno “provinciale” e così il dialetto si dimentica. I giovani forse lo capiscono ancora ma non lo parlano più e termine due generazioni, il nostro dialetto cioè la nostra cultura paesana scomparirà. Non solo, a volte si sentono certe espressioni dialettali mutuate dall’italiano e questo è un altro indice di quanto il nostro dialetto si vada sempre più “italianizzando”.

L’idea è partire da una lingua che riaffermi un concetto di “unità“, quindi includente per valorizzare la particolarità, cioè il dialetto come valore intrinseco di una comunità del tutto locale. Non dunque inteso come confine, barriera o scudo alla “colonizzazione”.

In sostanza il riscoprire una nostra identità, il condividerla con le nuove generazioni attraverso il riproporre momenti di vita ormai dimenticati è per noi come ridare valore e identità ad un passato che ci ha aiutati a crescere come persone ma soprattutto come comunità.

Allora il concetto di confine era molto diverso dall’attuale, più ristretto geograficamente, ma segnato da una identità caratterizzante che non era economica ma linguistica: il dialetto.

Da qui è nata l’idea del calendario (täquéi) in diälät e del primo torneo di dialetto che siamo certi avrà successo e che lascerà sul campo tutti e solo vincitori perché riscoprire e condividere con le nuove generazioni modi di dire, azioni e attività del passato è come ritrovare un senso di appartenenza identitario di una piccola comunità.

                                                                                                                      Un puncrunéeş