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Ecco come ha vissuto il 2 giugno una giovane Tortonese


 Il 2 giugno, a poco più di due settimane dall’inizio dell’Esame di Stato, mi sono ritrovata, con un pochino di ansia – lo ammetto – a ripassare e riordinare appunti e materiali raccolti durante le lezioni.  Il Telegiornale, intanto,  trasmetteva frammenti di interviste e filmati sulla celebrazione della Festa della Repubblica, e, come dimenticarlo, degli imminenti impegni elettorali ai quali anche noi ragazzi di 5^ abbiamo partecipato, spesso per la prima volta.  Il pensiero corre a chi mi ha preceduto, alle ragazze del secondo Dopoguerra che andarono a votare festeggiando un diritto troppo a lungo negato e mi sorprendo a riflettere su una delle esperienze  che più mi hanno coinvolta, sia dal punto di vista emotivo che da quello didattico, nel corso di quest’ultimo anno scolastico: gli “Incontri” con i tre esperti tortonesi di Storia contemporanea, Matteo Leddi. l’Avvocato Corrado D’Andrea e Marcello Vaccari, che hanno condiviso con noi ragazzi delle classi 5^AR, 5^AC e 5^BC del plesso Carbone, la propria appassionante esperienza di ricerca storica, invitandoci a sfatare falsi miti, a coltivare una curiosità che ci permetta di conoscere, scegliere ed operare nel presente con cognizione di causa e senso di responsabilità.

  L’ultimo incontro,  in ordine di tempo, è stato con Marcello, ex- studente del nostro Istituto, che, proprio in occasione del “suo” esame di Stato, ( o di Maturità, come tutti ci ostiniamo ancora a chiamarlo), aveva voluto approfondire, spinto da interesse innato, ma anche da ricordi famigliari, riportati a galla nella loro quotidianità, la Storia e le storie di quegli uomini che, come il bisnonno e come molti altri nel Tortonese, erano partiti per la Campagna di Russia.   Il contingente italiano dell’ ARMIR era spesso formato da volontari, raramente fanatici guerrafondai, ma più sovente giovani cattolici, ragazzi di origini contadine così come borghesi, convinti del dovere patriottico di fermare l’avanzata della “barbarie bolscevica”, pronti a sfidare  l’ ”orso russo”, il gelo delle sterminate distese innevate che 130 anni prima aveva umiliato l’orgoglio della Grande Armée di Napoleone Bonaparte.


  L’operazione Barbarossa, voluta da Hitler, aveva preteso anche la partecipazione italiana e il nostro relatore, che si definisce “malato di Storia”, si è chiesto il “perché”, ha voluto indagare sui “chi” e sui “come”, ed ha condensato le testimonianze di alcune di queste esperienze in una sorta di docu-ricerca: “Il Grigioverde nella neve”, un commento in divenire ai frutti delle sue raccolte, che ci ha presentato con un’ incredibile ricchezza di dati e documenti, racconti di testimoni e cimeli originali che, ben lungi dall’essere oggetti di curiosità morbosa o, peggio, di feticismo ideologico, sono frammenti di vite passate, vite di soldati che erano soprattutto persone.  Gli Italiani non partirono per il fronte russo con equipaggiamenti antiquati e scarpe di cartone; la tecnologia dei mezzi di trasporto e della logistica italiana non erano affatto inferiori a quelli delle altre nazioni belligeranti e, semmai, i dettagli dei loro equipaggiamenti, benché si parli di guerra, rivelano una volontà vitale e fondamentalmente rispettosa dell’uomo, mai distruttiva o volta alla sterminio programmatico. 

   Vaccari cita, tra gli esempi, un racconto di fantasia che è peraltro la trasposizione narrativa di ciò che realmente accadde in Italia nel Dopoguerra: in un momento di struggente umanità, Giovanni Guareschi ci rivela che il Brusco, il più agguerrito sostenitore del Sindaco comunista Peppone, confessa a Don Camillo il vergognoso passato da Camicia Nera del fratello maggiore, morto in combattimento in Russia. La madre del caduto  ha fatto giurare al Brusco di dire una preghiera là dove il fratello è sepolto, ma non c’è tomba, non c’è lapide o croce alcuna: Don Camillo, arrivato in incognito in territorio URSS con la delegazione della giunta comunista di Brescello, benedice un immenso campo di grano e di ritorno al paese, il Brusco porterà alla madre due di quelle spighe strappate dal campo….

   Chi tornò dalla Campagna di Russia tornò per curare quelle tremende mutilazioni del corpo e dello spirito che solo la follia contagiosa della guerra sa infliggere. 

   Se nei videogames e nei film d’azione le armi sembrano essere leggerissime e duttili nelle mani di improbabili guerrieri post-moderni, la realtà delle cose è ben più amara e “pesante”; persino noi, da bambini, abbiamo giocato alla guerra, da adolescenti ci siamo appassionati ai vari “war games” e, pochi giorni fa, abbiamo tempestato di domande curiose i nostri relatori e abbiamo pregato Marcello di farci “provare” un pastrano, una divisa, la preparazione di quella che lui chiama “la casa del soldato”, il pesante zaino da marcia con tutte le sue dotazioni (armi ovviamente escluse).  A tutti noi questo modo di conoscere la Storia  è piaciuto davvero e abbiamo “sentito” con le emozioni, abbiamo toccato con mano in quello che è il senso del vissuto. 

   Tra gli oggetti che più hanno  colpito la mia immaginazione c’è quello che sembra essere un libretto, un Messale? Ci sono le traduzioni in lingua locale delle più comuni parole italiane, ci sono gli indirizzi di alcune persone, commilitoni, forse, e di una donna.  Nella pagina a fianco, a matita, qualcuno ha scritto: ”…..Angelo, guarda di pregare la Madona che tidara la grassia di ritornare a casa tua. “. Chissà se questa donna avrà avuto riscontro alla sua sgrammaticata e non per questo meno commovente preghiera? Chissà se il suo Angelo è mai tornato a casa? E se è tornato, chi avrà raccolto e raccontato la sua storia?

Kate GALLICCHI – 5^AR Amministrazione, Finanza e Marketing

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