Tanta gente ieri al incontro pubblico che si è svolto al Ridotto del Teatro Civico di Tortona dal titolo “La sacra famiglia di Leonardo a Tortona“. Ha aperto l’incontro il sindaco Federico Chiodi che ha elogiato l’iniziativa molto importante per valorizzare le opere presenti sul territorio. Un’opera quella della sacra famiglia di proprietà della Diocesi di Tortona che meriterebbe davvero di essere maggiormente valorizzata soprattutto anche attraverso nuovi in interventi che possono possono fornire l’attribuzione di chi l’ha realizzata e dall’incontro di ieri emerso chiaramente che le influenze di Leonardo da Vinci sull’opera sono state davvero notevoli: non sono ipotesi campate in aria anzi tutt’altro.

I relatori della serata hanno spiegato con dovizia di particolari il fatto che Leonardo sia stato praticamente di casa a Tortona e sia venuto diverse volte, poi la situazione che riguarda un quadro dimenticato per diversi secoli a Tortona fuori dai circuiti nazionali artistici e in ultima analisi il fatto che non si trova una “Natività” che lo stesso Leonardo aveva dipinse su commissione di Ludovico il Moro per l’imperatore Massimiliano d’Asburgo nel 1494 in occasione delle nozze di quest’ultimo con Bianca Maria Sforza nipote del Duca di Milano. Un’opera che si sa che esiste ma che non si trova da secoli e nessuno a com’è fatta.


Le analisi chimiche effettuate sul quadro hanno dato risultati confortanti ma è necessario procedere ulteriormente magari con l’esame al carbonio un esame che costerebbe circa sette 10.000 € per cui sarebbe necessario un intervento da parte dei privati o direttamente dei proprietari e del quadro. Ci vorrebbe insomma una mobilitazione con più soggetti che possano valorizzare ulteriormente questo importante quadro. Nel caso si scoprisse che fosse Leonardo in infatti ci sarebbe un movimento notevole dei turisti verso la città di Tortona con indubbi vantaggi per tutta la città è anche per l’indotto.

Tantissime persone presenti all’incontro hanno applaudito i vari relatori e soprattutto gli interventi per un ennesimo tentativo di valorizzazione. Giacomo Maria Prati autore del libro “La tavola Di Tortona” ha illustrato di particolare tutti i 13 punti secondo cui questo quadro potrebbe essere attribuito al grande maestro Leonardo da Vinci.

Prima di lui sono intervenuti Vincenzo Basiglio dello Studio Gabbantichità e Maurizio Aceto dell’Università del Piemonte orientale oltre a Don Maurizio Ceriani, sacerdote della Diocesi e Valentino Passoni editore del libro.

LA STORA DELL’OPERA

Lo studio di quest’opera di rilevanti dimensioni (210×150 cm.) non è facile perché della Tortona medioevale rimane ben poco: tutto è stato progressivamente distrutto in seguito ai numerosi assedi, conquiste e riconquiste ad opera di spagnoli, francesi, austriaci ed altri eserciti, nonché da un incendio dell’archivio della Canale alla fine del 1500 che ha distrutto tutti i documenti dell’epoca relativi al patrimonio storico e artistico della chiesa.

La “Tavola di Tortona” riconosciuta da tutti come dipinto rinascimentale di forte influsso leonardiano, infatti, è sempre stata custodita all’interno di Santa Maria Canale e l’incendio dell’archivio parrocchiale con tutti i documenti in esso contenuti ha distrutto anche quelli relativi alla Confraternita del Santissimo Sacramento, il cui nome compare nell’opera stessa vicino all’angolo destro inferiore del dipinto che indica probabilmente il committente o uno dei primi proprietari del quadro.

La Tavola, nascosta in una piccola città come Tortona lontano dai grandi centri culturali frequentati da storici dell’arte ed esperti e anche in virtù dell’immenso patrimonio artistico che possiede il nostro Paese, viene dimenticata per secoli e soltanto nel 1938, dopo un piccolo restauro, esce dalla chiesa in cui è stata sempre custodita, per una mostra a Torino dal titolo “Gotico e Rinascimento”.

Il dipinto appare per la prima volta in tutta la sua bellezza e la nota storica dell’arte dell’epoca, Noemi Gabrielli, allora Soprintendente all’arte medievale e moderna del Piemonte e della Liguria – come spiega Don Maurizio Ceriani dopo aver esaminato gli archivi Diocesani – la propone come “Tavola eseguita nella bottega di Leonardo da un suo diretto seguace” valorizzando il rapporto diretto fra il Leonardo del Cenacolo e il territorio tortonese tramite la famiglia Bandello (lo scrittore Matteo e lo zio Vincenzo, Priore di Santa Maria delle Grazie).    

Le successive vicende belliche della Seconda Guerra Mondiale non hanno certo favorito la valorizzazione del dipinto che cade nuovamente nel dimenticatoio fino al 1988 quando diventa oggetto di un altro restauro.

Nel frattempo, vengono rintracciate altre versioni di questo quadro (che illustreremo in seguito) ma queste ultime essendo di proprietà di istituti prestigiosi o musei sono oggetto di approfonditi studi, quelli che invece non vengono realizzati sull’opera di Tortona.

Nel 2013 la Natività tortonese stuzzica le attenzioni di Giacomo Maria Prati funzionario del Ministero Beni e Attività Culturali con master in economia e gestione dei beni culturali che dopo aver studiato a fondo l’opera e ottenute foto del dipinto (si tratta delle stesse immagini utilizzate in questo volume) dalla ditta Hal9000 di Vincenzo Mirarchi (la stessa che la Soprintendenza Beni Architettonici di Milano autorizzò a scansionare il Cenacolo Vinciano in altissima definizione) con il consenso del parroco di allora, decide di organizzare un convegno invitando il professor Edoardo Villata, docente di storia dell’arte all’università Cattolica di Milano. Quest’ultimo riporta il dipinto a un disegno archetipale di Leonardo che avrebbe fatto da modello.

La Natività della Canale torna a far parlare di sé nel 2016 in un articolo apparso sul giornale australiano “Journal of Art and Humanities” dove si avanza l’ipotesi che la Tavola di Tortona sia quella della Natività, oggi perduta, che Leonardo dipinse su commissione di Ludovico il Moro per l’imperatore Massimiliano d’Asburgo nel 1494 in occasione delle nozze di quest’ultimo con Bianca Maria Sforza nipote del Duca di Milano.

Si arriva al 2018 quando la Natività esce nuovamente dalla Canale per andare alla Pinacoteca cantonale “Giovanni Zus” a Rancate in Svizzera, in occasione della mostra “Il Rinascimento nelle terre ticinesi II” dove viene esposta insieme ad altri quadri simili o presunte “copie” e il risultato è sorprendente.

L’intervento di Giacomo Maria Prati

Ovviamente si tratta di un riassunto. Il testo completo lo trovate nell’opera “La tavola di Tortona” di Giacomo Paria Prati

Gli angeli adoranti, tra venti e nuvole

Essi stessi appaiono mossi da un dinamismo tipicamente leonardiano che lì fa muovere il primo a sinistra nella torsione del busto e il secondo a destra nel protendere del collo. La postura degli occhi è quella tipica con gli occhi socchiusi e il capo inclinato a sinistra del san Giovanni marianeggiante del Cenacolo e del capo della Madonna del gatto della Pinacoteca di Brera. Sulle matrici iconografiche e iconologiche di questa postura si parlerà qui si seguito quanto si
tratterà dell’analoga posizione del volto della Madonna.

L’angelo trasparente e il pastore che scruta il cielo

La differenza essenziale fra l’angelo di Tortona e tutti gli altri simbolici angeli annunzianti sta nel fatto che l’angelo di
Tortona è semitrasparente ed è reso in modo fluido, aereo, senza rigidità gotiche o bizantine, come invece ancora compare in tutti gli altri grandi artisti che lo citano, Poteva un leonardesco osare discostarsi autonomamente da secoli di tradizione? Solo Leonardo nella sua innata libertà e originalità creativa poteva “fluidificare” e spiritualizzare” questo canone antichissimo, iconico.

La capanna-Tempio

L’impianto decisamente architettonico viene valorizzato dalla prospettiva centrale, richiamante la struttura di irradiazione
prospettica propria del Cenacolo.

Il protagonismo del paesaggio

Tipico e variegato come faceva Leonardo. Nel Cenacolo la prima finestra di sinistra mostra le balze appenniniche in più gradazioni tonali di azzurro e un elemento vegetale erboso ricco di dettagli e dall’espressionismo spontaneistico che ricorda l’analogo particolare della nostra tavola di Tortona. Entrambi ricordano i disegni di vegetali di Leonardo e di
Durer. Nella Vergine delle rocce del Louvre alcuni picchi rocciosi all’orizzonte mostrano una suggestiva chiarezza aerea e luminescente, giustapposti ad altri di tono scuro. Nella Vergine delle rocce di Londra invece ricompare l’idea icono metereologica dell’azzurro di orizzonte. Le tre montagne azzurrine inoltre appaiono dinamicamente mosse ed inclinate. Anche la Gioconda si rivela ricca di dettagli paesistici nei quali ammiriamo formazioni rocciose vicino al fiume che tendono
dinamicamente a ricomporre un triangolo, mentre sullo sfondo ritroviamo le tipiche montagne rugose e sfumanti e un picco vistosamente obliquo, quasi una stalagmite. Questo excursus sintetico di comparazione dimostra due punti fondamentali fra di loro complementari.

Le tre case e i due mulini ad acqua: un apax

Un microdettaglio estremamente significativo e prezioso lo troviamo nell’intorbidarsi delle acque in corrispondenza delle ruote dei mulini. Un segno disegnistico le anima e un tono più scuro del colore concorre a rendere l’idea della differente dinamica idrica data dall’incresparsi turbolento delle acque contro il moto delle ruote dei mulini. Questo finissimo particolare, insieme alla presenza dei mulini ad acqua alzati verticalmente offre un nuovo solido indizio per l’attribuzione dell’opera a Leonardo, unico pittore di fine Quattrocento esperto di dinamiche idriche e di meccanismi idraulici che poteva scendere in un’analisi rappresentativa così realistica, fisicizzante e dettagliata.

La tipica Vergine di Leonardo

Il volto di Maria è caratterizzato da un perfetto ovale geometrico, enfatizzato dai capelli lisci e dalla netta scriminatura dell’acconciatura, simile alle tipiche acconciature dei ritratti di Leonardo, come in Cecilia Gallerani e nella Belle Ferroniere. Gli occhi, dai rilevanti globi oculari, appaiono notevolmente socchiusi, ridotti a due fessure, come nel San Giovanni del Cenacolo, a cui và assimilata anche la postura del capo inclinata a sinistra, propria anche della Madonna Dreyfus e della
Vergine delle rocce. I capelli appaiono rossicci accesi e circonfusi da una luce irrorante che li anima proveniente dal fondo dell’opera, come per i capelli di Gesù e di Giovanni nel Cenacolo. Un colore che Leonardo accosta a Maria anche nella
Madonna Litta, nella Madonna dei fusi, nella Madonna Dreyfus, e nella Vergine delle rocce.

Un Gesù bambino leonardiano-belliniano

La linea della bocca tende leggermente ad inarcarsi verso il basso in una struttura che troviamo, insieme alle guance paffute nella loro parte inferiore, in tutte le altre opere di Leonardo di soggetto sacro: nella Madonna del garofano, nella Madonna Dreyfus, nella Madonna Benois, nella Madonna dei fusi, nella Vergine delle rocce, sia al Louvre che alla Nation Gallery, in Sant’Anna, Maria, Gesù e l’agnellino. Abbiamo riscontri di questa segnatura anche nei disegni leonardiani di bambini, insieme al contegno serio e concentrato, quasi severo: le braccia sono animate da una delicata ma viva gestualità che muove verso Giuseppe, come ad anticipare il suo abbraccio e a rafforzare narrativamente il
movimento fisico e spirituale dell’insieme.

Giuseppe, ovvero la celebre caricatura leonardiana

Illuminante nella sua efficacia e precisione risulta il confronto con il disegno di Leonardo del panneggio in due
disegni di Studio di panneggio per la figura di S.Anna, (Windsor RL 12526r e RL 12527r).

Solo Leonardo poteva permettersi di riprodurre fedelmente un suo disegno applicandolo creativamente alla pittura e con la libertà mentale e la disinvoltura di utilizzarlo per un soggetto così venerabile come San Giuseppe.

Trifoglio ed edera: la preziosità dei dettagli

Il trifoglio davanti alla botticella: un altro aspetto specificamente e puramente leonardiano nella resa di questo dettaglio erboso che viene strutturato a raggera, partendo da un punto centrale unitario ed espandendosi a forma di palma o a
ruota di pavone. Aspetto armonico tipico di più disegni di Leonardo sulle piante come ad esempio nel disegno di albero (Biblioteca vaticana, Codice Urbinate, 1270, f 346r)

La cesta ellittica: un altro apax

Spiritualmente questa cesta cristica rappresenta un’innovazione straordinaria. Si tratta di un’allusione anticipata del sepolcro, anticipato dal colore nero e dall’archetipo del “luogo che accoglie”. L’alfa e l’omega di Cristo si rispecchiano. Non solo: la committenza della tavola è la Confraternita del Santissimo Sacramento di Tortona e infatti il valore eucaristico del dipinto appare intensissimo proprio nell’importanza centrale e nuova della cesta che appare quale greppia e quale altare, tabernacolo e recipiente di accoglimento-supporto del corpo di Cristo, come il calice eucaristico.

L’asino e il bue: anatomia e grazia

Le testa dell’asino presenta affinità con numerosi disegni di Leonardo relativi alle teste di cavallo. In particolare si una nota una corrispondenza fra l’asino di Tortona e numerosi disegni di Leonardo sui cavalli in rapporto a due elementi morfologici: lo spessore del sopracciglio e la rilevanza dell’incavo delle narici. Oltre a ciò appare specificamente leonardiana anche l’attenzione data all’anatomia e alla psicologia dell’animale, quasi giungendo a ricostruire una fisiognomica animale dal valore affettivo e simbolico.

La botticella: gioiello compositivo

Questa scelta iconografica creativa corrisponde ad uno dei tratti caratterizzanti l’opera di Leonardo: la condensazione semantica o anticipazione narrativa. Come nel Cenacolo Leonardo anticipa l’episodio del coltello di Pietro che avverrà nel Getsemani così nella Tavola di Tortona si anticipa il tema della fuga in Egitto, sinergico rispetto al san Giuseppe
vestito da cavaliere/pellegrino.

La dicitura del committente

Persino nel cartiglio del committente che ha ordinato la tavola, la tortonese “Confraternita del Santissimo Corpo di Cristo”, troviamo due elementi che possono rinviare a Leonardo: le lettere greche con cui si indica il nome di “Cristo”: cioè: XP
(corrispondente alle prime due lettere greche del nome) e la resa grafica della stessa lettera: “X”. Si tratta di due fattori rarissimi e quasi anomali, che possono avere un precedente solo nella Madonna greca di Bellini (Pinacoteca di Brera) che riprende vezzosamente le diciture greche delle icone bizantine. L’uso del greco, con un effetto antichizzante e solennizzante, non deve stupire nel suo possibile rinvio a Leonardo, in quanto l’artista cresce in una Firenze dove non si era spento ancora l’eco del revival grecista e neobizantino suscitato dal Concilio di Firenze che si conclude
trionfalmente il 6 luglio 1439 dando slancio al sorgere dell’umanesimo e del rinascimento.