Come leggo da un’agenzia del 12 luglio 2023 via internet: “Non è riuscita a superare l’ostacolo della Maturità la studentessa di Trento ammessa all’esame grazie ai giudici del Tar. Nonostante le cinque insufficienze in pagella, l’avevano ammessa a svolgere gli esami. Ma la commissione, dopo sei ore di scrutini, ha finito per concordare con il verdetto dei suoi insegnanti…. Uno dei docenti del liceo, Alessio Marinelli, che, avvalendosi del supporto di ben 110 colleghi, ha inviato al Ministero dell’Istruzione, lo scorso 10 luglio, una lettera dai toni decisamente aspri, afferma ‘Per noi insegnanti un’umiliazione, Vedo sempre più ragazzi rincorrere strade facili, aiutati dalle famiglie e dalla società a cercare escamotage per andare avanti, nella visione superficiale di un mondo nel quale devi dimostrare quanto sei furbo e non quanto vali”.

Non voglio di certo entrare nel caso specifico che, ovviamente, non conosco (né sul piano scolastico e umano né su quello giuridico); tuttavia prendo lo spunto da questo fatto di cronaca per alcune considerazioni. Io trovo sbagliato – senza fare generalizzazioni (anche perché chi scrive è un docente di lungo corso, con esperienze molteplici dalla scuola media, alle superiori – sia private che statali – all’università) – come certi docenti si considerino investiti di un “potere semi-divino” di giudicare. Sembra che il punto centrale della loro attività sia quello di dare voti e, soprattutto, assegnare patenti universali di “intelligenza” o “imbecillità”.  Il vero punto focale della nostra “missione” è insegnare, seminare, educare, incoraggiare ed accendere una scintilla di vera passione per la materia che insegniamo (o almeno farla rispettare e non odiare). Il resto conta poco… soltanto burocrazia e vanità! Quanto da me sostenuto viene confermato in due punti nelle suddette dichiarazioni tratte dal fatto di cronaca. Un ricorso al TAR non è una “umiliazione” per nessuno, è un fatto giuridico riconosciuto dal nostro stato di diritto, nel quale l’attività di chiunque può essere controllata. Secondo, è vero che conta di più “quanto vali” rispetto a “quanto sei furbo”, soltanto che una scuola basata più sulla prestazione, sul voto, sulla nozione, sul registro e sul timbro, e non sul percorso, sulla lenta maturazione, sull’educazione, sul metodo, sulla competenza, sulla passione, può spingere anche alla via “breve” (io poi in troppi corridoi scolastici ho ascoltato docenti a parlar solo di voti e incombenze procedurali piuttosto che di cultura). Inoltre, per basarsi sul “giudizio” bisognerebbe anche essere in grado di giudicare… e molti docenti non lo sono, prima di tutto per la mancanza della necessaria umiltà e consapevolezza sulla difficoltà in sé del “giudicare”.


Come mi confermava, ad esempio, una compagna di mia figlia l’altro giorno (per una loro prof.) alcuni docenti una volta assegnato un primo voto, rimangono poi sempre legati a quello! Non colgono nell’allievo il cambiamento e gli aspetti dinamici della sua personalità. Io, per sbagliare meno, penso di aver sempre davanti non dei compiti o esercizi ma delle persone (a volte in fasi di crescita delicata); per questo ritengo funzioni il paragone ideale tra il medico e il docente: entrambi non devono curare un “malanno”, un “problema”, ma il “malato”, la persona… nella sua integrità e complessità. Infine, come giurista, resto sempre fedele al principio “in dubio pro reo”: perché è meglio un colpevole(-ignorante) in più in giro, fra tanti, che un innocente(-intelligente) in più in carcere…

Pur contrario normalmente ai compiti per le vacanze, assegno io ora un compito ai prof.: leggere/rileggere “Una lettera ad una professoressa”. E don Milani diceva che talvolta la scuola è simile ad un ospedale che cura i sani e respinge i malati.

Roberto Carlo Delconte