“Eccessivo, narcisista, immaginifico, sessista, ambiguo, ipocrita, geniale, raffinato…” sono solo alcuni degli aggettivi con i quali, nel tempo, si è tentato di classificare, o bollare, Gabriele D’Annunzio, poeta-vate, militare interventista, uomo politico, esteta e protagonista riconosciuto della vita culturale e politica dell’Italia dei primi decenni del ‘900, un’Italia che rivendicava in modo conclamato, anche attraverso l’opera letteraria, una posizione di prestigio sulla scacchiera politica ed economica internazionale del tempo.
Agli eroi e ai vati si tributano gloria ed onori ed indossando queste vesti, “cucendosi” letteralmente addosso un’aura di eccezionalità, D’Annunzio, intrepido incursore, dandy annoiato, amante, dichiarato o presunto, di donne misteriose ed inarrivabili, come Eleonora Duse, Liane de Pougy o la luciferina Marchesa Casati, inimitabile alchimista del verso, ha ispirato un’intera generazione, alimentando miti, stereotipi e stili comportamentali.
Dopo una vita “estrema” ed una produzione artistica vastissima, il 1° marzo 1938, il Poeta-Comandante muore, colpito da un’emorragia cerebrale, al suo tavolo da lavoro nella stanza della Zambracca della Prioria. Quest’ultimo è il nome con cui D’Annunzio aveva ribattezzato, dopo l’abbandono di Fiume, la sua ultima dimora: la splendida villa di Cargnacco, già appartenuta allo storico dell’arte tedesco Henri Thode. Questo luogo, magico ed assolutamente incredibile, incastonato sulla riva bresciana del Lago di Garda, colmo di oggetti preziosi e di sovrapposizioni estetiche che sfociano nel kitsch e di oziosi e compiaciuti rimandi all’arte classica ed orientale, è stato visitato, giovedì 3 novembre, dagli studenti delle classi 5^ AA, 5^AR e 5^AS dell’I.I.S. Marconi di Tortona, in un percorso che ha illustrato, attraverso la sequenza degli interni e degli esterni, la tumultuosa esistenza e la filosofia di vita di questo controverso, ma comunque straordinario, artista.
Nelle stanze, con i vetri delle finestre oscurati (D’Annunzio soffriva di fotofobia, per i postumi di una ferita di guerra), la Veranda dell’Apollino, la Stanza della Leda, l’Officina, la Stanza della Musica, la Stanza del Lebbroso, la Sala della Cheli, la Stanza delle Reliquie etc., l’accumulo compulsivo ed ipnotico di più di diecimila oggetti singolari e preziosi: cimeli, libri e reliquie (una sorta di tesaurizzazione patologica, un horror vacui esistenziale certamente “soffocante” per il gusto moderno), dialoga con la ricerca del Bello e dell’Assoluto. Dopo essersi insediato nella villa, seguito dalla compagna di allora, Luisa Bàccara, il Vate si dedicò, nella parte finale della sua vita, alla creazione dell’ultimo più grande capolavoro, un’eredità architettonica, museale e celebrativa pensata e realizzata in collaborazione con l’amico e architetto Gian Carlo Maroni e lasciata allo Stato ed agli Italiani con un lascito che risale al 1923. A ciò fece seguito, grazie ai proventi del successo letterario, ma anche contraendo debiti importanti, l’acquisto e l’allestimento “titanico” dei terreni circostanti, che furono trasformati in giardini, viali, corsi d’acqua, boschetti, piazzette e sentieri disseminati di statue, busti, dipinti, colonne e bassorilievi in una visione ampia e scenografica, che rispetta tuttavia i tratti della natura e dell’ambiente circostante. Nel Parco trovano posto anche il Mausoleo dedicato agli Eroi (tra cui, non ultimo, il tortonese asso dell’aviazione Ernesto Cabruna e D’Annunzio stesso), monumenti bellici ed aree dedicate all’arte scenica e copiate dalla classicità, come il Teatro del Pariaggio.
In questo immenso ed eclettico spazio dedicato alla Vittoria dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, ma anche all’affermazione eroica individuale, gli studenti hanno ammirato cimeli storici di grandissimo valore: auto d’epoca, divise, stendardi, eliche di aerei, motori e componenti di navi, lo SVA del Volo su Vienna, il MAS della Beffa di Buccari, armamenti pesanti e, spettacolo stupefacente, l’impressionante prua dell’incrociatore Puglia, incastonata nelle rocce del promontorio della Fida e audacemente proteso verso le acque del lago.
Colui che fu detto Sommo Poeta, che fu nominato Principe di Montenevoso e Presidente della Reale Accademia d’Italia, che fu punto di riferimento storico e vero performer di una vita “inimitabile” e che, alla propria morte, costrinse il geloso e non molto amato Mussolini ad ammettere di provare “un senso di smarrimento e di vuoto”, riesce a spiegarci le illusioni e le ombre di un’intera epoca e, in qualche modo, è ancora in grado di stupirci e sedurci.
Beatrice POGGIO 5^AR – e Federico PONTA 5^AA