Site icon Oggi Cronaca

Marco Candida intervista Magda Guia Cervesato autrice del bel romanzo “VV – La Vita Vestita” (Readaction 2022)


Quella che segue è un’intervista speciale, diversa da quelle che siete abituati a leggere su altri giornali o blog dove il protagonista risponde a domande preconfezionate inviategli precedentemente via email con risposte ponderate. Questa è un’intervista giornalistica “vecchio stile” come si faceva una volta, dove il giornalista incontra realmente la protagonista (in questo caso Magda Guia Cervesato) si arma di registratore e inizia a fare domande. La particolarità di questa intervista risiede nel fatto che la protagonista risponde di getto, senza pensare troppo o modificare le sue risposte. E’ la belle del giornalismo “antico” che Filippo Sacchieri (che ringraziamo per averci inviato l’intervista e per la preziosa collaborazione) ha saputo interpretare alla perfezione.

**********************************


Magda tiene i capelli sciolti, biondo stoppia, lunghi fin oltre le spalle, ondulati sulle punte. Due frange le si adagiano sulla fronte, come morbide tendine. Le sopracciglia sono lunghe e cespugliose, chiare e scure. Rendono lo sguardo ombroso, tenebroso. Gli occhi brillano verdeazzurri, miscellanea d’opale e cianite. Il naso è perfetto nella sua normalità: non alla francese, né alla greca, ma non aquilino o a patata. La bocca quando si apre mostra le estremità delle labbra rialzate, appuntite: ed è quello il segreto, forse, di un sorriso tagliente, un po’ cattivello, ma estremamente intrigante. Magda è donna tutta angoli e spigoli. Gli zigomi richiamano anche e clavicole, quanto alle stecchette delle braccia difficile resistere alla tentazione di chiudervi due dita intorno. Ma sono molte le tentazioni, se avvicini Magda. Una donna angoli, spigoli, bacchette, stecchette. Una donna ossea e membranosa. Ma anche spumosa, schiumante, per i seni e i capelli. Magda è uno scoglio sopra il quale s’infranga un’onda di mare: l’onda si sfrangia in schiuma e spuma incorniciando per un istante lo scoglio. Magda è quel preciso istante. Indossa una maglietta che lascia scoperto l’ombelico e un lembo di pelle. La pelle è aurea: in lei il callo bronzeo, di cui, peraltro, si fa cenno nel suo romanzo, bisognerebbe ridefinirlo aureo. Sembra una fata celtica o una strega verde in scarpe da ginnastica, blue jeans e maglietta, Magda. Accendo il registratore.

Che cosa spinge un autore a scrivere un memoriale o un romanzo autobiografico, anche se non sono esattamente la stess…

No. Il memoir è un’altra cosa.

Non sono esattamente la stessa cosa, però…

Nel memoir l’autrice sono io. Sono io nel 2009, mercoledì è successo questo, giovedì quello. Nel romanzo autobiografico no. Metti in un imbuto tanti elementi per arrivare alla costruzione del romanzo. Che tu ci metta elementi di fantasia o autobiografici, alla fine, la coesione del tutto dà forma a un romanzo. Personalmente, sono della linea: scrivi quello che conosci; e quindi, gli elementi autobiografici li uso. Alla domanda cosa mi ha spinto dieci anni fa a scrivere un memoriale senza tenere mai prima diari, la risposta è: mi è successo un evento inedito e improvviso, con tanti gravami di tutti i tipi, sociali, politici, clinici, terapeutici. Si è trattato di una testimonianza. Un servizio offerto agli altri. Per me (per elaborare il vissuto) e per chi ha avuto la mia stessa esperienza.

Riformulo. Hai scritto un memoir nel 2011 TSO.

Sì, ogni dieci anni, esco. Questo nuovo è del 2021.

E poi, un romanzo autobiografico. In un diario ci metti dentro tutto quello che ti succede nel corso della giornata. Nel diario metti dentro tutto. Nel memoir, invece, si selezionano scene. Poi arrivi al romanzo autobiografico: c’è una selezione di scene, e in più finzione. La domanda è: perché non hai fatto un memoir anche questa volta?

Perché volevo più libertà. Nel memoriale devi attenerti ai dati di fatto: attinenti alla realtà individuale, ai dati di fatto all’interno della tua personale memoria, ma ci vuole comunque fedeltà. Nel romanzo sei fuori da queste gabbie, e più libero. Più libertà d’espressione, rispetto alle gabbie della diaristica. Sono possibili letture omiletiche, nel linguaggio letterario, romanzesco, poi, e sono possibili varie altre letture. E: volevo cimentarmi con la forma romanzo.

Allora, se ti sei cimentata nella forma romanzo, ti chiedo quali modelli hai seguito; e quali hai accuratamente evitato?

No, non ho seguito scientemente modelli particolari. Inconsciamente ho forse seguito i modelli che amo di più.

Per esempio…?

Dovrebbe dirmelo il lettore. Quale modello gli risuona di più. Non so rispondere con nomi precisi. Mi piace la scrittura di Giuseppe Berto, assolutamente non normie, e la scrittura normie alla moda oggi non mi piace; e gli americani Anni 70: Richard Yates, Carver. Mi sono seduta. In tre settimane ho scritto il romanzo. Tre settimane, più altre due di editing. Per un altro romanzo non pubblicato ci ho messo otto anni. Perché, stavolta, la storia l’avevo dentro, da tanto tempo. E’ bastato qualcuno mi dicesse “Perché non la scrivi?”; e io fumm!, l’ho fatto, l’ho scritta. Forma e montaggio sono andati a posto da sé. Senza neppure tanto mestiere da parte mia. Venuto da sé.

Continuiamo su un piano prettamente letterario, ancorché sia presente il lato esoterico…

Sì, ci sono tre piani, in questo romanzo. Il lato mondano-privato. Il lato mondano-pubblico. E i due piani si intersecano. L’idea iniziale che avevo, il polpo sulla testa, è il sovrapporsi del dramma privato e del dramma pubblico nella vita di un cittadino italiano nell’Anno Domini 2021. C’è un doppio passo nell’osservare una speciazione seguita al dramma collettivo del 2021. Una devastazione sociale. Piena di conseguenze nella vita di ciascuno. Chi ha perso i cari. Chi ha subite divisioni. Il terzo elemento che tiene insieme tutto è il lato spirituale che la protagonista sviluppa nel corso del romanzo prima per sopravvivere al dramma che sta vivendo a livello collettivo e individuale, poi come ricerca di senso, e infine diviene a poco a poco l’unico modo per stare, secondo la mia weltanschauung, al mondo: e questo terzo elemento, secondo personaggio del romanzo, dopo Grazia, è proprio lo Spirito.

Lo Spirito Santo.

Spirito Santo che fa parlare, inspira, il narratore onnisciente, il quale è per me non il narratore onnisciente della narratologia, ma Narratore Onnisciente con le iniziali maiuscole, che osserva i terresti dall’alto, in modo distaccato, e può dire e vedere cose che dal basso, in chi è coinvolto, non si possono dire e vedere: più ti allontani vedi, più ti avvicini e più non vedi un cazzo.    

Questo è un romanzo, se vuoi, Magda, di incidenti. Grazia, la protagonista, cade dalle scale. Ha un litigio con la figlia e il giorno appresso cade. Poi, qualche mese dopo, parte per un viaggio, a Cremona, e ha un altro incidente. Una storta, alla caviglia della stessa gamba lussata nel primo incidente. Ci sono due incidenti in un romanzo di centoventi pagine. Grazia non è il tipo divertente, da commediola. Appare una guerriera, ed è drammatica. Perciò, questi incidenti il lettore li prende dal lato serio. Io non sono esoterista, ma ti chiedo se esotericamente gli incidenti potrebbero essere espressione di un disagio.

Domanda cui è difficilissimo rispondere. Ci ho pensato. Nulla succede a caso. Grazia nel romanzo fa un meta-pensiero di questo genere, ma per rispondere dovrei aprire un capitolo esoterico di centocinquanta ore…

Sì, ma ti spiego. Per me, molto banalmente, leggendo, mi si presenta questo quadro: un personaggio in una situazione molto difficile, piena di conflitti, a casa sua: e ha un incidente, cade dalle scale. Un incidente, come mi dici, potenzialmente letale. Poi, fugge via da quella situazione, ma le succede un altro incidente. E allora, la mia domanda.

Ogni incidente non esce mai dal nulla.

E poi c’è il discorso degli scontri, delle liti.

Sì, e poi ci sono gli scontri. C’è l’urlo. L’urlo di Munch. Le urla. Le urla sono per gli altri la più grande colpa di Grazia. E certamente, è un segno di non armonia.

Grazia urla nella scena con la figlia più piccola G. Poi arriva la figlia più grande, J. Grande ritorno da Londra. E urla anche con lei…

Le urla le metto molto volentieri. Le urla sono un segno di disarmonia totale tra le persone e la doppia lama è l’elemento di disperazione per non riuscire a esprimere sé stessi in modo pacato, armonico, sensato e razionale. L’urlo animalesco. L’urlo di Munch. L’urlo dell’anima. Emesso per l’impossibilità di affermare la propria verità, il proprio pensiero. L’urlo è l’ultima stazione: dopodiché c’è solo il buttarsi oltre la balaustra, riprendendo l’immagine ritratta nell’Urlo di Munch. L’urlo allontana. Non c’è happy-ending, infatti, nel romanzo: chi si allontana non torna. Si può comunicare, nelle situazioni di stress e tensione, situazioni-limite, senza urla? L’urlo è l’ambiente della disperazione personale. Il romanzo pone anche questa questione.

Vuoi una birra?

No, va bene un po’ d’acqua. Va bene. Birra.  

(più tardi)

Dunque, ricapitolando, in questa storia ci sono due incidenti importanti e ci sono scontri che sfociano in urla e discussioni. Grazia urla. Oh, intendiamoci, ci sono anche momenti belli. C’è un matrimonio. Grazia si sposa a Cremona con L. Un matrimonio di solito si mette alla fine. Tu l’hai messo a metà…

Ma finisce male anche quello. Nessuna cosa deve finire bene per forza…

Sì, ma perché il romanzo focalizza un momento di frattura dal mondo da parte di Grazia…

Più radicale di una frattura. C’è un capovolgimento. Il matrimonio lo metto in mezzo perché è solo un elemento della vita. Non è un inizio e non è una conclusione. Anche quello mi serve per rimestare nel torbido del fatto che anche le cose belle finiscono, ma possono durare per sempre se uno guarda a ciò che è stato bello e non alla fine ossia alla dolorosa elaborazione che conduce alla fine del rapporto. Il matrimonio finisce, e non è un dramma, è normale finisca. Anche se non è semplice elaborare il lutto della normalità. Forse non lo è mai.

Questa storia è un percorso accidentato che peraltro nemmeno conduce, come abbiamo detto, a un bel panorama, a un lieto fine…

No, la consolazione non c’è… Non spicciola.

… e tu mi dici anche che il narratore onnisciente è ispirato dallo Spirito Santo…

Prendo spunto dalla definizione di “narratore onnisciente” in narratologia e la metto un’ottava sopra. E gli do lo spin di un significato superiore.

Siccome hai comunque parlato di Spirito Santo, concludo che la protagonista si chiama Grazia non a caso. La domanda è: poiché quello di Grazia è un percorso accidentato, e la protagonista cade e poi cerca di rialzarsi, poi barcolla ancora, si alza di nuovo, più forte, “Grazia” va inteso nel senso di indulgenza verso sé stessi, perdono dei propri errori; o “Grazia” perché vive in uno stato di grazia e tutte le sue disavventure le vengono perdonate?

Non le vengono perdonate, nel libro…

Nel libro non le vengono perdonate, però noi lettori proviamo simpatia ed empatia per Grazia, una donna, come la definisci nel libro, qualunque…

Grazia nella concezione mia non è indulgenza verso sé stessi, ma un elemento per arrivare ad autocomprensione. Non ci si può perdonare senza passare attraverso un percorso di autocomprensione. Il perdono è una grazia. Difatti il libro finisce: “Arriverà il giorno in cui Grazia troverà la forza di ringraziare i suoi nemici”. I suoi uomini-entità, come li definisco, nel romanzo. La grazia è un dono: la puoi cogliere o non cogliere. Grazia va inteso nel romanzo, e forse non solo, come autocomprensione di sé stessi.

Che cos’è un matrimonio con rito akasico?

Il piano akasico è uno dei piani del sovrasensibile. Lo schema del settenario e del toroide, dell’evoluzione umana materiale e sovrasensibile,  in antroposofia è piano akasico. Lo sposo akasiko, peraltro, contiene una nota umoristica.

C’è ironia nel romanzo…

Sì, spero si noti, Certo. Un umorismo strano, autotafazziano, da cogliere nel fraseggio, non nella battuta. Un umorismo implicito nel linguaggio.

Grazie è una donna guerriera. Di sicuro…

Sì, per riprendere l’inizio, sul genere di romanzo: questo è un romanzo di formazione iniziatica. Il terzo elemento è appunto lo Spirito con cui Grazia impara a prendere la sua vita. Per mandare in soffitta l’urlo, e le modalità di disperazione.

Essendo iniziatico, bisogna procedere per sofferenze, crisi, tappe piene di dolore.

Senza crisi non c’è ascensione. Come nei romanzi di formazione classici.

“Formazione iniziatica” può essere usato, in effetti, per tutti o quasi tutti i romanzi di formazione. Esplicitarlo così spiega bene che cos’è il romanzo di formazione.

“Formazione Iniziatica” innalza di un’ottava la definizione di romanzo di formazione. Tutti i romanzi di formazione sono romanzi di formazione iniziatica. Non è più il tempo del Padre e del Figlio: ma è tempo dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è l’asset, mettendola giù in modo pop, del Nuovo Millennio. Padre e Figlio hanno fatto il loro tempo. E’ il momento di smetterla di parlare tra iniziati. Non c’è nulla di esoterico nell’esoterismo: sono leggi di natura. Siamo figli delle stelle. Basta massoneria. Bisogna portare alla luce la verità. La verità è una e va urlata dai tetti. Lo Spirito Santo è il femminino. Bisogna integrare, nella nostra società, femminino e mascolino. Scelgo di parlare chiaro. Ogni percorso è un’iniziazione. Consapevole o meno. Fuori dalle logge, dalle tradizioni precostituite, l’iniziazione è un modo diverso di affrontare l’esistenza indipendente dalla materia: non siamo polvere stellare, siamo parte di un tutto.

Lo Spirito Santo non esclude l’esoterismo?

No, per niente. Basta mediazioni. All’interno della Chiesa ci sono tutti i segreti (basti guardare alle opere d’arte) che la chiesa pietrina stessa vuol tenere per sé: per non far trovare in sé stessi la scintilla della divinità. Per non lasciare ci si avveda del taglia-e-cuci del Vangelo che ha escluso le divinità femminili. Scoperta la divinità in sé stessi non c’è più bisogno di pietra, sovrastruttura. Basta l’essenza.

Pensi la letteratura strumento d’indagine del mondo o di se stessi?

Che differenza c’è?

Beh, il mondo è quello fuori da te, mentre…

Peccato che nel romanzo la premessa del narratore è che non ci sia confine tra mondo e se stessi. Per me questa domanda è priva di senso. Proprio quello che con questo libro volevo superare. Riassumendo, non ci sono confini tra cose e persone (anche la scienza lo dice): è un’evidenza fisico-matematica e coscienziale. Anche se respinta, per ora, dal mainstream. Le esperienze di grandi donne e uomini tutte convergono nella presa di coscienza che siamo materia stellare e cosmica; e finché ci ostineremo a considerare tutto questo aulico o poetico non ci avvicineremo di un grammo alla nostra essenza. Per grandi uomini e grandi donne intendo coloro appartenenti al mondo iniziatico: dal mondo sumero a oggi. Tutto è uno. Fine.

Un’altra domanda che comunque pone un dualismo. La letteratura è specchio o finestra?

La letteratura che ha superato l’esame del tempo: quella è letteratura. Ha valenza universale. La letteratura è specchio e finestra. Entrambe le cose: et… et. Non aut… aut. Non mi piace ragionare meccanicamente. Entrambe le cose. Et… et. Per chi scrive è uno specchio. Anche per chi legge è specchio. Ma è anche finestra su vari specchi.

Cosa pensi degli esoteristi?

Né bene né male. C’è un po’ di tutto. C’è il coglione e c’è il serio.

Se vuoi aggiungere qualcosa… Dove si svolge la vicenda?

L’unica città nominata è Cremona. L’ambientazione è comunque il Nord Italia. Nell’Anno Domini 2021. L’anno 2021 è l’anno della Rivelazione. Abbiamo iniziato a capire che ciò che ci è capitato non era uno scherzetto passeggero, ma l’incipit di un nuovo corso. L’anno 2021 il mondo ha capito. La realtà è un castello di carte menzognero. Il 2021 è l’anno dell’Apocalisse. Dopo si tratterà solo di assistere al Suo dispiegarsi.

Marco Candida

Exit mobile version