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Il piacere di leggere: “L’arte di correre” di Murakami Haruki. Recensione di Francesca Patton

Il pluripremiato autore giapponese si racconta in un libro capace di fondere la scrittura


con la corsa per far trapelare la sua visione della realtà

Questo è un libro che Murakami Haruki ha impiegato più di dieci anni a scrivere. Lo racconta con  tono pacato e modesto nella postfazione riferendosi al suo editore Oka Midori. Spiega Murakami: “Fino a oggi ho pubblicato un certo numero di diari di viaggio e di saggi, ma non ho quasi mai scritto apertamente su un aspetto specifico della mia personalità, quindi ho dovuto fare molta attenzione a trovare il taglio giusto”.

L’aspetto in questione è la corsa, da qui il titolo del libro: “L’arte di correre”. Eppure, a ben vedere, la corsa nella vita dell’autore si forgia con le parole, o meglio con l’arte di scrivere, al punto tale che se il titolo del libro fosse stato “L’arte di scrivere” credo sarebbe andato bene ugualmente. Certo, qualche piccolo cambiamento andava fatto, ma fondamentalmente dalla lettura di questo saggio, particolare nel suo stile e genere, si evince che per Murakami correre è intrinsecamente legato alla scrittura.

Ci sono volte in cui mentre corre ripassa mentalmente dei discorsi, altre in cui sofferma lo sguardo sul mondo esterno, altre in cui rigorosamente passa in rassegna se stesso e il trascorrere del tempo. Correre per Murakami, in qualche modo, è vita, o meglio una forza vitale che gli consente di continuare a vivere serenamente e in salute.

“Fondamentalmente – sostiene Murakami – concordo con l’affermazione che scrivere sia un’attività malsana. Quando decidiamo di scrivere un libro, cioè di creare una storia dal nulla servendoci di parole e frasi, necessariamente estraiamo e portiamo alla luce un elemento tossico che fa parte del nucleo emotivo dell’essere umano”. Perciò, da scrittore professionista, egli cerca di “costruirsi un sistema immunitario specifico che possa neutralizzare quel pericoloso elemento tossico”. E Murakami tale energia capace di contrastare la tossicità di un vero atto creativo la trova nella corsa.

Sono pagine bellissime quelle in cui le riflessioni dell’autore passano dalla corsa, dal tempo meteorologico e dall’ambiente esterno alla scrittura, alla creatività e alla sua stessa natura umana.

Con assoluta riservatezza egli riesce a far emergere parte della sua personalità, parte del suo rigore, parte della sua visione del mondo. Si acquisisce l’immagine di uno scrittore e di un maratoneta più che consapevole di se stesso, delle sue qualità e dei suoi difetti, di qualcuno che si allena costantemente con le parole e con i piedi per ottenere risultati sempre migliori.

Strano pensare come usi mani e piedi in perfetta sincronia! Leggerlo fa venire voglia di abbracciare totalmente quello stato mentale e fisico che lo contraddistingue.

Racconta Murakami che verso i trent’anni ha sentito la voglia di scrivere e ha scritto. Poco dopo, decide di chiudere un bar che si era aperto e di concedersi un paio d’anni per tentare la carriera letteraria. Lo fa con determinazione e con la consapevolezza che nella peggiore delle ipotesi avrebbe aperto un altro bar. Osa Murakami e vince. Osa anche nella corsa, ma non contro un avversario diverso da se stesso, bensì contro il se stesso del giorno precedente. Costantemente si migliora, costantemente si allena. Subisce anche alti e bassi. Ogni tanto l’amore per la corsa lo abbandona, ma poi lo riscopre e torna ad allenarsi con maggiore vigore.

Non c’è una filosofia particolare di fondo, ma la sua personalissima visione della vita e del tempo. Sì, perché anche il tempo viene preso in considerazione dall’autore. Man mano che gli anni passano non può più sperare di ottenere i risultati di prima e accetta con grande serenità lo scorrere del tempo sul suo corpo, rimanendo in forma e osando ancora e ancora.

Diverse le imprese sportive che racconta, dalla preparazione fisica e atletica ai risultati, a volte soddisfacenti, altre volte estremamente deludenti. Eppure, è meraviglioso come egli riesca, anche a fronte di un insuccesso tornare a svolgere l’anno successivo quella stessa gara o passare a una gara ancora più difficile.

Leggendo, poi, parte della sua biografia e gli innumerevoli premi letterari ricevuti, viene da chiedersi se tutta quella modestia sia reale oppure no.

Ma poi ci si imbatte in ricordi come questi: “Quando avevo forse sedici anni, ho aspettato che i miei non fossero in casa, poi mi sono messo nudo davanti allo specchio e mi sono esaminato da testa a piedi. Dopodiché ho fatto la lista di tutte le parti del mio corpo che erano – o mi parevano – esteticamente al di sotto della media” e si comprende che l’essere estremamente obiettivo e alla ricerca della perfezione sia qualcosa che gli appartiene da una vita. Mi augurerei di vedergli presto attribuire il Premio Nobel per la letteratura.

Questo libro mi ha donato la voglia di osare, anche se poi, una volta riposato il testo sul comodino, riguardato con occhi sognanti la copertina, e cercato un modo per contattare l’autore via web, sono tornata a scontrarmi con la nostra realtà, fatta di occasioni che a volte arrivano e altre no, fatta di un mondo non sempre onesto e in cui non  è poi così facile trovare le energie per continuare a osare. Una consapevolezza, però, la lettura di “L’arte di correre” di Murakami la lascia ed è la possibilità di perseverare nella ricerca della perfetta armonia nel qui e ora. E per fare ciò, non serve alcuna particolare occasione.

Francesca Patton

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