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All’ Azienda Ospedaliera di Alessandria una nuova opportunità per i pazienti ematologici


«Oggi le CAR-T ad Alessandria sono una realtà» dichiara Marco Ladetto, direttore della struttura a direzione universitaria di Ematologia dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria. «Siamo di fronte ad una terapia innovativa e rivoluzionaria: mettiamo in mano alle cellule del nostro sistema immunitario un’arma molto potente, un colpo mortale al tumore».

Le CAR-T sono una terapia che si basa sull’utilizzo di cellule del sistema immunitario, in particolare i linfociti T, del paziente che vengono armate mediante un sistema di trasferimento genico di un recettore che consente di riconoscere e uccidere le cellule di determinati tumori. In qualche modo, quindi, rende il sistema immunitario, che era stato sopraffatto dal tumore, nuovamente capace, con questo intervento genetico, di riconoscere, colpire e uccidere le cellule tumorali.


L’approvazione di questa terapia è molto recente: avvenuta prima negli USA, poi in Europa, la Regione Piemonte nel febbraio 2020 ha identificato i due centri che hanno le caratteristiche per effettuare le CAR-T per il paziente adulto, ovvero Città della Salute di Torino e AO AL. Spiega Ladetto: «Da quel momento abbiamo interagito con le case farmaceutiche per poter avere la qualifica e siamo riusciti a ottenerla in fretta nonostante il Covid, primo centro piemontese a ottenerla per entrambe le CAR-T commerciali oggi disponibili. Abbiamo trattato un numero significativo di pazienti, 7, e un altro affronterà il percorso a breve. Ricordo che i 7 pazienti trattati sono un numero significativo se contestualizzato rispetto al fabbisogno piemontese, che è di 40 CAR-T l’anno e in prospettiva Alessandria dovrà arrivare a farne almeno 20-25 all’anno. I pazienti che abbiamo trattato fino ad oggi arrivano da Alessandria, Novara, Cuneo, Biella e Torino, quindi da tutte le principali Ematologie del Piemonte».

Il trattamento a cui viene sottoposto il paziente è molto complesso, anche perché si tratta di terapie che si utilizzano quando le altre terapie hanno già fallito, come illustra Ladetto: «Le CAR-T hanno applicazione soprattutto per il linfoma diffuso a grandi cellule B recidivato o refrattario, quindi che ha fallito terapie più semplici, e in alcune forme di leucemie acute linfoblastiche. Le CAR-T si stanno però studiando in moltissime altre malattie come altri tipi di linfomi, il mieloma multiplo e le leucemie acute, molta speranza anche che diventino efficaci per i tumori non ematologici (solidi). Riscontriamo un esito positivo nel 40% dei casi, ricordando che siamo di fronte a pazienti che altrimenti non avrebbero avuto alcun tipo di cura per la gravità della malattia».

«Il paziente – continua ancora Ladetto – deve eseguire una specifica chemioterapia prima del trattamento, poi infonde le CAR-T e dopo 15 giorni se le complicanze più gravi sono o risolte o non avvenute, il paziente può poi essere dimesso anche se deve stare per un certo periodo vicino al Centro. È un processo piuttosto complesso che vede coinvolto numerose strutture aziendali: dal recupero delle cellule dal paziente mediante un processo di aferesi e preparazione dei linfociti eseguito dai colleghi della Medicina Trasfusionale, che allo scopo hanno dovuto effettuare anche loro un complesso training formativo con le case produttrici. Segue l’invio delle cellule del paziente presso i siti delle case farmaceutiche che producono le CAR-T che sono collocate in Paesi esteri dell’Europa come in Francia, Olanda, Germania e Svizzera, dove i linfociti del paziente vengono processati e fatti proliferare e viene inserito il gene che consente il riconoscimento delle cellule tumorali. Poi le cellule vengono congelate e rinviate all’ospedale. In Ematologia riceviamo il paziente: dopo aver fatto una chemioterapia di preparazione, infondiamo le CAR-T che svolgono un’efficace azione antitumorale. Sono però potenzialmente pericolose, con tossicità di rilievo quindi il paziente deve essere seguito in un ambiente protetto e con molta attenzione da un team estremamente formato nella gestione delle complicanze che coinvolge gli ematologi, gli infermieri con competenza ematologica e numerosi specialisti come il rianimatore, il neurologo e il cardiologo. Tutto questo è stato costruito in un percorso di qualifica con le case farmaceutiche che ha richiesto molti mesi di lavoro, addestramento e conoscenza reciproca».

Si tratta di un nuovo modo di fare terapia, non più chemioterapia né farmaci biologici mirati ma terapia cellulare. Oggi si usano le cellule del paziente, si sta lavorando molto sull’idea di creare delle CAR-T allogeniche, create a partire da un donatore, un soggetto giovane e sano, mediante manipolazioni genetiche ancora più raffinate. Conclude Ladetto: «Tra gli scenari futuri, oltre allo sviluppo della terapia stessa, abbiamo l’obiettivo di offrire questa terapia innovativa a tutti i pazienti piemontesi e per questo stiamo interagendo costantemente con Torino e abbiamo creato un forte network; sappiamo che potrebbero arrivare a breve nuove indicazioni che significa trattare ancora più pazienti; ci stiamo inoltre impegnando per intraprendere degli studi sperimentali con CAR-T in patologie non ancora indicate. È importantissimo che non siano solo pratica clinica ma anche occasione di ricerca: siamo in una rete di uno studio, ci sono già state pubblicazioni in merito».

«Le CAR-T – sottolinea Valter Alpe, direttore Generale Azienda Ospedaliera di Alessandria – costituiscono una importante nuova opportunità per i pazienti ematologici ed una rilevante occasione per la crescita del nostro ospedale dal punto di vista assistenziale e scientifico. Tuttavia – aggiunge – la capacità dell’Azienda di crescere su tale ambito, profondamente innovativo ma soprattutto spesso decisivo per il buon esito dell’evolversi della patologia, non può far sottacere la necessità in primis di una rivisitazione della quantificazione delle risorse complessive destinabili e poi nella ripartizione dei finanziamenti tra Regioni. Ciò potrà consentire una migliore pianificazione delle attività unitamente alla capacità di rendere lo sviluppo di tale modalità di cura sempre più in linea con una sanità pronta ad applicare al meglio quello che la straordinaria evoluzione della ricerca è in grado di offrire».

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