Esperienza e tecnologia, perché tutto si gioca in uno spazio che va dai 2 ai 5 millimetri. Senza dimenticare l’altro fattore decisivo: il tempo. Iniziare un viaggio nel cuore non è facile perché è un universo complesso, in cui tutto è importante. Ma bisogna decidere dove cominciare e allora la scelta è quelle delle coronaropatie, le patologie che causano l’infarto. La prima cura del cuore è assicurare che il sangue arrivi al muscolo senza ostacoli di alcun genere. Però quando i depositi nelle arterie aumentano, causando restringimenti e indurimento delle arterie, il rischio sale vertiginosamente. E bisogna agire in fretta. Ecco perché si parla di patologie “tempo dipendenti”. «Più rapidamente si interviene, maggiori sono le possibilità di tornare a fare una vita normale, riducendo al massimo i rischi di complicazioni e di morte». Gianfranco Pistis guida la Cardiologia dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria, una struttura che affronta quotidianamente casistiche dalla complessità ben maggiori di altre realtà. Il viaggio nel cuore inizia da qui, parlando di coronaropatie, tecnologia ed esperienza. Oltre mille angioplastiche, più di duemiladuecento coronarografie: è la media di un anno di attività (la pandemia ha inciso, anche pesantemente, non solo sull’attività interna, ma molto anche sulle persone che per paura, nei mesi in particolare del primo lockdown, non si sono più rivolti né ai medici, né tanto meno all’ospedale con pesanti conseguenze invalidanti, se non peggio) in cui quella ordinaria e quella di emergenza si intrecciano quasi senza soluzione di continuità.
La tecnologia oggi quanto conta? «Moltissimo, è la prima risposta. Ma non basta. Noi siamo l’unico centro a effettuare le angioplastiche, utilizziamo materiali di avanguardia e tecniche innovative, però vi sono altre due condizioni indispensabili. La prima è la competenza professionale. E la seconda è il tempo. Però non quello che si impiega all’interno dell’ospedale nell’approcciare al paziente, valutarlo e quindi intervenire, bensì quello che impiega il paziente ad arrivare da noi. Con le patologie cardiache a volte è meglio eccedere in prudenza e quindi in presenza di sintomi potenzialmente sospetti è opportuno recarsi ospedale oppure chiamare il 118. Indicativamente l’arco di tempo ottimale per intervenire è di tre ore, definiamo accettabile quello entro le sei ore. Se si superano, il rischio è di danni permanenti, un lungo periodo di recupero e una qualità di vita recuperata solo parzialmente. Oltre a un esito nefasto nel peggiore dei casi».
Come sono le cambiate le angioplastiche? «Molto. Non nella tecnica, si tratta sempre di introdurre un palloncino per allargare l’arteria e inserire una rete, lo stent, bensì nei materiali. Oggi il palloncino, ma in particolare lo stent contiene sostanze farmacologiche che inibiscono la proliferazione intimale che si verificava con quelli di metallo. Dopo un po’ di tempo dall’applicazione, le cellule iniziano a ricoprire la struttura, determinando una progressiva compressione dell’arteria. Le nuove occlusioni si verificano fino al venti per cento dei casi trattati. Oggi con gli stent di ultima generazione siamo sotto il cinque per cento».
Recentemente la tecnologia ha fatto un altro passo in avanti. «Infatti, è avvenuto con l’intervento di “aterectomia coronarica con sistema orbitale”. Utilizzando una fresa che compie una rotazione di trecentosessanta gradi si riapre in maniera sicura ed efficace la coronaria che presenta lesioni severamente calcifiche, non trattabili con l’angioplastica convenzionale. Spesso le placche aterosclerotiche degenerano negli anni trasformandosi in blocchi di calcio che impediscono il corretto passaggio del sangue». L’intervento che ha visto usare per la prima volta questa tecnologia in Italia è stato eseguito da Gioel Gabrio Secco e Maurizio Reale dello staff di Cardiologia. Senza dimenticare che si utilizza uno strumento ad altissima precisione in uno spazio che oscilla fra i due e i cinque millimetri.
«Qui – prosegue Pistis – abbiamo la struttura di Unità Coronarica, il reparto di degenza la struttura di Emodinamica. E poi il centro di aritmologia e l’area interventistica dotata di una sala operatoria di ultima generazione dove si effettuano impianti di pacemaker, defibrillatori e dispositivi per la resincronizzazione cardiaca, estrazioni di device ed elettrocateteri, ablazioni di tachiaritmie atriali e ventricolari, chiusura percutanea di auricola sinistra. Grazie alla collaborazione con l’ospedale infantile sono attivi un ambulatorio e un laboratorio interventistico dedicati a pazienti pediatrici».
Attività clinica, ma anche ricerca. «Sì, stiamo lavorando molto anche su questo fronte. Il periodo pandemico ci ha condizionati, ma ha anche permesso, per esempio di svolgere uno studio retrospettivo, cui abbiamo lavorato Gioel Gabrio Secco e io, che ha evidenziato come nel periodo marzo – aprile 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019 vi sia stato un calo del quaranta per cento delle procedure di emodinamica (la cardiologia interventistica, nda), mentre nell’autunno e inverno 2020 – 2021 la diminuzione è stata nettamente inferiore. Siamo di fronte a un dato positivo: significa che le persone hanno avuto meno paura di venire di venire in ospedale e hanno compreso che il tempo è tutto».
Il viaggio nel cuore proseguirà con il centro cardiologico.