Per i pubblici esercizi gli ultimi 14 mesi sono stati i peggiori dal Dopoguerra ad oggi: per trovare un anno peggiore del 2020 bisogna risalire fino al 1944. La categoria, una delle poche a non aver tratto benefici neppure dal passaggio della nostra regione da zona rossa ad arancione, perché per bar e ristoranti nulla cambia dal rosso all’arancione, poiché i clienti restano sempre fuori e l’unico modo per vendere sono l’asporto e la consegna a domicilio, aveva chiesto con forza al Governo una data per ripartire: lo scorso 13 aprile a Roma si è svolta una grande manifestazione nazionale organizzata, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza ma ferma, decisa e a tratti disperata, da Fipe-Confcommercio (alla quale anche la provincia di Alessandria è stata rappresentata). Dopo la manifestazione, una data, ai pubblici esercizi è stata data: il 26 aprile, con la reintroduzione delle zone gialle in quelle regioni in cui i numeri dei contagi e l’andamento dell’epidemia lo consentono.
“Una data per fare cosa? – si chiedono il presidente ed il direttore di Confcommercio Alessandria, Vittorio Ferrari ed Alice Pedrazzi – Le regole delle zone gialle saranno modificate, rispetto a quelle precedentemente in vigore, ed i pubblici esercizi non potranno accogliere al loro interno i clienti, ma servirli solo nei dehors…questo nuovo provvedimento non fa altro che aumentare confusione, incertezze e creare discriminazioni tra le attività: chi ha un dehors è avvantaggiato rispetto a chi non ce l’ha. Chi ha attività in luoghi dove il clima è più favorevole può lavorare meglio di chi ha la propria attività in città più fredde. E poi come le imprese possono fare programmazione e acquistare le materie prime? Guardando le previsioni del tempo? E’ questo rispettoso di una categoria imprenditoriale che da sempre costituisce uno dei settori economici e sociali fondamentali del nostro Paese, caratterizzando fortemente lo “stile di vita italiano” che ha reso il nostro Paese famoso nel mondo?”
“Abbiamo chiesto di ripartire ma, alle attuali condizioni del Decreto Legge sulle riaperture, oltre la metà dei Pubblici Esercizi Italiani non può di fatto farlo. Sono scelte che vanno spiegate e vanno spiegate bene, perché appaiono punitive rispetto a quelle adottate in momenti più critici dal punto di vista sanitario.
Siamo stati i primi a proporre gradualità e regole certe, che tuttavia devono avere un supporto di carattere scientifico. Pur applicando rigorosi protocolli di sicurezza e garantendo il solo servizio al tavolo, oggi si ritiene che il problema sia l’utilizzo degli spazi interni.
Noi siamo esausti di pagare colpe non nostre, come la lentezza della campagna di vaccinazione e l’impossibilità di controllare il territorio punendo comportamenti scorretti.
Se il 15 maggio il Governo ha preso l’impegno di vaccinare tutti gli over 70 di questo Paese, riteniamo giusto che prenda anche l’impegno a riaprire le attività all’interno a pranzo e a cena applicando i rigorosi protocolli già approvati”.
Così il presidente nazionale di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, Lino Enrico Stoppani.
“Il coprifuoco alle 22:00 addirittura fino al 31 luglio – prosegue Stoppani – è scientificamente e socialmente incomprensibile e incoerente con le finalità che si propone: comprime orari e favorisce comportamenti disordinati e opposti.
Siamo esasperati dal ritardo nel comunicare nel dettaglio le misure compensative più volte annunciate.
Il settore dei Pubblici Esercizi, elemento fondante dell’identità ed attrattività dell’Italia – conclude il presidente – sta morendo. Abbiamo già pagato con oltre 22.000 imprese chiuse nel 2020, la perdita di 250.000 posti di lavoro e ingentissimi danni economici. Oltre al disagio sociale e agli effetti a catena che questo comporta, si sta disperdendo un patrimonio di conoscenze e competenze, di grande valore per il Paese”.