“Ci sono attività che probabilmente possono essere svolte con una certa sicurezza, soprattutto se si mettono in atto protocolli precisi e se vengono rispettate regole chiare. Altre attività che creano aggregazione, invece, come quando parliamo di una marea di tifosi che vanno allo stadio, vanno assolutamente evitate. In quel caso siamo di fronte a quello che può essere considerato un raduno di massa”. Risponde così il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, interpellato dall’agenzia Dire sulla possibilità di riaprire gli stadi, con capienze limitate, come suggerito di recente da qualche infettivologo. Il governo in questi giorni sta intanto discutendo su possibili riaperture, a partire dai ristoranti la sera, mentre il Comitato tecnico scientifico (Cts) ha dato il via libera al protocollo presentato dal ministro della Cultura, Dario Franceschini, redatto con le associazioni di settore, per la riapertura in sicurezza di cinema e teatri il prossimo 27 marzo.
“È il caso di valutare le riaperture volta per volta, prendendo decisioni sulla base di protocolli ben definiti- prosegue Rezza- evitando però sempre che queste riaperture possano generare una situazione di abbassamento del livello di guardia e favorire delle aggregazioni che sono particolarmente pericolose in termini di rischio di diffusione dell’infezione”. Ma tra le varie riaperture di cui si parla, a chi può andare il semaforo verde e a chi quello rosso? “È difficile dirlo, anche perché i semafori verdi e rossi sulle riaperture toccano alla politica in termini decisionali. Quello che noi possiamo fare è monitorizzare la situazione e, a seconda di quello che è il livello di rischio- conclude Rezza- favorire o meno queste decisioni”.
Servono vaccinazioni massa in zone ‘rosse locali’
“Agire prontamente su focolai intensi e varianti preoccupanti”
“Si può e si deve, all’interno di regioni che possono essere gialle o arancioni, agire più prontamente laddove ci sono dei focolai particolarmente intensi o laddove ci sono delle varianti che possono destare una maggiore preoccupazione. È in quei casi che bisogna implementare e mettere in atto le cosiddette ‘zone rosse locali’, cioè zone che vengono sostanzialmente circondate, dalle quali non si può facilmente uscire ed entrare e all’interno delle quali si prendono dei provvedimenti di distanziamento fisico fra le persone. Questo per far sì che il virus circoli di meno all’interno di quella zona rossa e che tenda a non fuoriuscire dalla zona stessa”. Così il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, interpellato dall’agenzia Dire in merito alla necessità di arginare le varianti con zone rosse all’interno di regioni.
“Naturalmente si tratta di casi eccezionali- spiega Rezza- di misure che vengono prese nel caso in cui ci siano delle varianti preoccupanti o dei focolai particolarmente intensi. Sempre in quel caso, oltre a contenere si può anche fare una vaccinazione di massa, per cercare di limitare ancora di più la circolazione del virus. Lo slogan deve essere ‘contieni e vaccina’”. Ma al momento le misure messe in campo, secondo lei, sono sufficienti o sarebbe necessario prevedere ulteriori restrizioni, magari uguali per tutto il Paese? “Nel Paese bisogna tenere una fascia piuttosto omogenea di mitigazione- risponde ancora Rezza alla Dire- cioè non si possono totalmente allentare quelle misure che servono a tenere bassa la velocità di circolazione virale, anche perché abbiamo un’incidenza ancora piuttosto elevata e un tasso di occupazione delle terapie intensive che, anche se è al di sotto della soglia critica del 30%, è pur sempre del 24%- conclude- e quindi siamo poco al di sotto”.
Più forniture vaccini, altrimenti non otteniamo obiettivi
“Ma in secondo trimestre previsto grande aumento dosi”
“Ci vogliono più vaccini. Ne abbiamo tre e il quarto probabilmente arriverà durante il mese di aprile, perché l’autorizzazione da parte dell’agenzia regolatoria è attesa per metà marzo, ed è quindi previsto che nel secondo trimestre dell’anno aumentino molto le dosi di vaccino. E questo è un punto cruciale, perché noi possiamo avere anche l’organizzazione migliore del mondo, ma se poi non c’è un numero sufficiente di vaccini disponibili non possiamo ottenere gli obiettivi”. Risponde così il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, interpellato dall’agenzia Dire in merito alla ‘road map’ dei vaccini da qui all’estate.
“L’obiettivo- spiega Rezza- è quello di coprire con la vaccinazione gran parte della popolazione a partire dai più fragili e dai più esposti, come è stato fatto, per arrivare alle categorie essenziali e quindi ad una vaccinazione universale. Solo così possiamo rallentare la velocità di circolazione del virus”. Per Rezza aumentare la fornitura dei vaccini è allora “particolarmente importante” e reperirli è un “nodo fondamentale”. In conclusione, è necessario “organizzarsi al massimo per vaccinare il più ampio numero di persone possibili e nel più breve tempo possibile”, conclude.
Idea è dose unica vaccino per guariti con o senza sintomi
“Due sono inutili, in primi sei mesi protezione alta”
“Queste persone avrebbero bisogno solo di un booster, quindi di un’unica dose, ed è inutile vaccinarle con due dosi come si fa invece per le persone che non abbiano avuto un’infezione confermata”. Risponde così il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, interpellato dall’agenzia Dire sull’ipotesi di somministrare una sola dose di vaccino a chi ha già contratto l’infezione ed è guarito da oltre sei mesi, di cui si parla già da tempo in Europa ma che potrebbe concretizzarsi anche in Italia. Restano però due passaggi chiave: da quando iniziare a contare i sei mesi? E poi, la dose unica va somministrata solo ai sintomatici o anche a chi non ha avuto sintomi? “Credo che l’idea sia quella di vaccinare quelle persone che abbiano avuto un’infezione con o senza sintomi, confermata all’epoca, e dopo almeno sei mesi- risponde Rezza alla Dire- Questo perché nei primi sei mesi probabilmente sono molto protette e dopo sei mesi potrebbero non essere protette più dall’infezione naturale”.
Obbligo vaccino per medici? Non necessario, domanda supera offerta
“Almeno finora, spero non si debba ricorrere a forme coercizione”
“Fino ad ora fortunatamente non c’è stato bisogno di una vaccinazione obbligatoria perché c’è una forte domanda di vaccini, anzi, la domanda di vaccini supera l’offerta. Si può considerare una vaccinazione obbligatoria solo nel momento in cui si è sicuri di poter offrire tanto vaccino quanto ce n’è bisogno”. Risponde così il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, interpellato dall’agenzia Dire in merito all’eventualità di assumere provvedimenti nei confronti dei medici o degli infermieri che rifiutano il vaccino. “Per gli operatori sanitari vaccinarsi non è solo un diritto- prosegue Rezza- ma anche un obbligo morale e allo stesso tempo deontologico, per proteggere sé stessi ma anche gli altri. Spero non si debba ricorrere a forme di coercizione”.
Agenzia Dire