I Guappecartò nascono a Perugia, nel 2004, come musicisti di strada. Vengono notati – durante una performance – dalla celebre attrice Madeleine Fischer, che se ne innamora artisticamente e chiede loro di comporre una colonna sonora per il suo film “Uroboro”, pubblicato lo stesso anno. Grazie a questo incontro, i giovani musicisti giungono a Parigi col desiderio di poter suonare e condividere musica oltre i confini italiani. Dai margini dei sobborghi parigini, i Guappecartò cominciano così a farsi notare dal pubblico e dalla Critica.
Nel 2009 viene pubblicato l’album di debutto “L’amour c’est pas grave”, registrato tra Milano e la capitale francese. Il quintetto pubblica poi l’omonimo album “Guappecartò” nel 2012, al quale segue nel 2015 “Amay” che è stato registratoinsieme alla cantautrice Neripè. In quest’album è inoltre presente una collaborazione con Mauro Pagani,al violino, nel brano “Un Fiore Nascosto” [https://youtu.be/P8l-0tUuxEk]. Lo stesso anno esce “Rockamboles”, album prodotto da Stefano Piro e ad oggi alla quinta ristampa. Il disco, tra gli altri, è colonna sonora del film “Gatta Cenerentola” (vincitore di due David di Donatello e Ciak d’Oro), del documentario “Soyalism” e dello spettacolo teatrale “Ensemble” di Fabio Marra.
Dal loro esordio, i Guappecartò si sono esibiti in più di millecinquecento concerti in tutta Europa. Presenti ad innumerevoli eventi di prestigio, tra cui alla 74a Mostra del Cinema di Venezia e al Festival d’Avignone; vantano altresì esibizioni in importanti location francesi e italiane come il Palazzo Tokyo, il palazzo dell’Istituto Grenoble di Napoli – che è sede del Consolato francese e la Philarmonie de Paris. Noi di Oggi Cronaca li abbiamo intervistati più che volentieri, a seguire, per la nostra rubrica Oggi Musica.
Il vostro esemble strumentale porta il nome di Guappercartò… Come nasce il quintetto e perché proprio “guappo di cartone”, che si dà delle arie? Il gruppo nasce nel 2004 a Perugia, dove alcuni di noi si trovavano per motivi di studio e suonavano insieme come musicisti di strada. Fu l’attrice Madeleine Fischer a notarci e a proporci di lavorare alla colonna sonora del suo film “Uroboro” e fu sempre lei, in seguito, a farci rendere conto che eravamo un vero gruppo e che dunque avremmo dovuto fare della musica la nostra esistenza. Madeleine è la nostra Madre Artistica. Per quanto invece riguarda il “guappo di cartone” a Napoli è colui che cerca maldestramente di imitare il modo di fare del signorotto del quartiere, il “guappo” appunto, suscitando l’ilarità e lo scherno degli altri ma talvolta risultando anche simpatico …E, in fondo, è quello che spesso capita più o meno a tutti nella e con la vita dacché l’idea che si ha di sé viene sistematicamente messa in discussione dal confronto con il mondo, riscoprendosi pertanto maldestri “guappi di cartone” alle prese con il mestiere di vivere. Il nostro è un nome chiaramente autoironico, tuttavia che implica la scoperta di se stessi e il riequilibrio del rapporto tra essere ed apparire, tra forma e sostanza.
E a proposito di nomi e descrizioni, come vi descrivereste in quanto artisti e come persone? Siamo tutti molto diversi sia come persone, sia come artisti e questo lo si può constatare dall’eterogeneità delle nostre composizioni. Tutti, però, abbiamo un approccio estremamente sincero verso l’espressione artistica e musicale, mentre nella quotidianità è un po’ più complicato esserlo…
Giovedì 26 novembre, ad un anno esatto dal sold out al Cafè de la Danse di Parigi, avete pubblicato il live video di “Sorgen” – registrato nel prestigioso teatro francese [https://youtu.be/OA2iIR0YBZQ]. Qual è l’emozione più forte, indelebile, che serbate ancora nella memoria di quel giorno tanto da aver deciso di riviverne il ricordo e condividerne per l’appunto il live video? Parigi è una città speciale per noi; ci ha accolto e ci ha dato la prospettiva concreta di una vita di musica, ed era quindi giusto presentare lì l’album. A Parigi, poi, abbiamo un pubblico numeroso ed è un pubblico meraviglioso, di persone di ogni età, attente, abituate a vedere di tutto ma mai assuefatte alle emozioni. In più, tante persone sono venute apposta dall’Italia, qualcuno pure da altre nazioni, per assistere al concerto… una grossa responsabilità. L’emozione più forte è stata avere in sala Mirjam Sambol, la figlia di Vlado, e sapere che stava rivivendo suo padre con noi e tramite noi (che, non per niente, è il concetto di fondo dell’album “Sambol – Amore Migrante”).
Durante quest’anno avete presentato al pubblico italiano, in oltre venti club e teatri, il vostro ultimo album dal titolo “Sambol – Amore Migrante” registrando ad ogni data il tutto esaurito e ricevendo lunghe standing ovation. Pensate vi sia un motivo in particolare, e quale eventualmente, di tale indiscusso apprezzamento? Probabilmente il pubblico percepisce la nostra urgenza di comunicare e di esprimerci tramite la musica …e, forse, ciò combacia con la sua stessa urgenza. Quando facciamo un concerto ci sentiamo tutt’uno col pubblico, è come se andassimo tutti nella stessa direzione e con i medesimi obiettivi.
Avete voglia di raccontarci di “Sambol – Amore Migrante” attraverso ogni tassello che ne fa parte e ciò che ha contribuito in maniera fondamentale a darlo alla luce? “Sambol – Amore Migrante” vede la sua genesi quando Mirjam Sambol ci ha chiesto di far rivivere le composizioni di Vlado, dandoci libertà assoluta. Mirjam ha una grande sensibilità artistica e, avendoci visto e ascoltato, sapeva che non avremmo mai proposto una semplice esecuzione degli spartiti del padre. L’album è stato un vero processo di interiorizzazione e rielaborazione di Vladimir e della sua vita. Insieme al nostro produttore Stefano Piro, un membro del gruppo a tutti gli effetti, abbiamo fatto le prime prove proprio a casa di Mirjam dove vivevamo insieme, cenavamo insieme e lei ci mostrava foto, ci raccontava con trasporto aneddoti e momenti del quotidiano del genitore. Abbiamo conosciuto altresì la moglie di Vlado, Jone, pianista eccellente che ci ha suonato i brani del marito e spiegato come sono venuti alla luce. Siamo diventati una famiglia in quei giorni e ci siamo resi conto che, nonostante la differenza di epoche, in realtà eravamo straordinariamente vicini a questo compositore. Il modo migliore che avevamo per rispettare la sua opera era perciò quella di farla nostra. Vivere Vlado è stato cioè il vero metodo di lavoro per quest’album.
Con quale intenzione ed aspettativa nascono e sono state da voi presentate (proprio nell’album strumentale “Sambol – Amore Migrante”) le nove rivisitazioni delle opere di Vladimir Sambol, compositore degli anni ’30 nato a Fiume ed emigrato in Svezia dopo la Seconda Guerra Mondiale? Il concetto che volevamo e vogliamo trasmettere con quest’album è che l’Amore, inteso come forza vitale primaria, non muore mai ma viaggia, “migra” appunto e può raggiungere luoghi e persone lontane, mantenendo inalterata la sua carica. Nel disco c’è l’amore di una figlia per il padre, amore che è arrivato a noi e noi, tramite la musica, speriamo di farlo viaggiare ancora cosicché tocchi più persone possibile. Un <<Amore Migrante>>, che Vlado portò con sé e con i suoi strumenti quando lasciò Fiume.
Ponendo un ulteriore focus, purtroppo, su violenza, conflitti e lotta di interessi, la Terra è ancora oggi dilaniata da brutalità di varia natura… A vostro avviso, qual è il seme infestante che, in ogni secolo, conduce ai peggiori scontri e mortificazioni? Probabilmente la competitività, gli obiettivi che c’è stato detto di, dover, raggiungere costantemente tanto da divenire una finalità da perseguire a tutti i costi e in maniera incontrollata. La competizione implica che ci sia chi vince e chi perde …il mondo, però, non è un campo sportivo (dove, per fortuna, il gareggiare è controllato e regolamentato) e in ballo c’è la vita degli esseri umani, quindi, è molto pericoloso applicare questo concetto [la competizione!] ai rapporti fra persone e popoli. Se, tuttavia, si sostituisse il termine “competitività” con il termine “cooperazione” vinceremmo tutti. Noi lo sperimentiamo ogni giorno nella nostra piccola società Guappecartò ove la cooperazione tra tante persone, da anni, ci permette di raggiungere obiettivi importanti e difficili.
Il disco “Sambol – Amore Migrante”, registrato presso le Officine Meccaniche di Milano e missato da Laurent Dupuy, ha origine dall’incontro con la figlia di Sambol, Mirjam Sambol Aicardi, che rimane impressionata dai vostri live e vi invita così a ripercorrere il repertorio del padre. Nel fare ciò cosa vi è passato nella testa e cosa nel cuore, quali sconvolgimenti e quali nuove edificazioni nella vostra interiorità? La prima grande emozione è stata osservare Mirjam, questa figlia che con amore, tenacia e caparbietà ha saputo coinvolgerci nella sua “missione” di ridare nuova vita alle opere del padre e al padre stesso – un gesto veramente di grande valore. A mano a mano che procedevamo con il lavoro si faceva spazio in noi la consapevolezza che la musica, come l’Amore, non muore mai bensì trascende anche il suo stesso creatore e viaggia nello spazio e nel tempo, proprio come il nostro DNA, che viene da lontano e lontano potrà andare… E, in fin dei conti, questo è il motore principale che ci spinge a creare musica ossia la speranza di poter continuare a vivere con lei pure dopo la vita stessa.
Quale più intima considerazione ed idea vi siete riusciti a fare del padre di Mirjam Sambol Aicardi attraverso testimonianze a lui tanto vicine, tramite un percorso davvero, in un certo qual senso comune nell’abbraccio della Musica, dacché l’Arte vi ha unito al di là di ogni distanza esperienziale, temporale e geografica che sia? Dai racconti di Mirjam e di Jone emerge la figura di un uomo che non avrebbe mai voluto lasciare la sua terra e che, all’opposto, ha dovuto farlo per ragioni che andavano al di là del suo controllo. Dopo qualche anno in Svezia ha provato ad emigrare negli Stati Uniti, ma gli è stato negato il visto per ragioni indipendenti dalla sua responsabilità (era originario di un paese comunista). In Svezia non sempre è riuscito a vivere di sola musica. Ha affrontato lavori molto duri, in fabbrica …insomma, una vita piena di momenti difficili eppure tutti i racconti su di lui, le foto e la sua musica sono testimoni di un uomo pieno di speranze, sogni, spesso sorridente, autoironico e divertente. È questo il potere della Musica, che riesce a dare senso ad ogni esperienza e a trasformarla in ulteriore. A noi è particolarmente piaciuta l’idea di un album che celebrasse non un artista già universalmente riconosciuto e apprezzato, piuttosto un “Anonymus Fiumanus” (brano dell’album), come a volte lo definiva scherzosamente sua moglie.
Dall’album “Sambol – Amore Migrante” sono stati estratti i singoli “Vlado” [https://youtu.be/Kw1AtOlLucE], ispirato alla composizione Sei stata la mia vita recuperata dall’archivio del compositore croato e dai voi reinterpretata secondo il vostro stile e “Balkanika” [https://youtu.be/W96BFWd1lLs], che racconta con un sound malinconico il viaggio che Vladimir Sambol ha dovuto compiere per scappare da Fiume, devastata dalla guerra. Qual è, ad oggi, il vostro motore propulsore? Ché di certo di fronte al dolore, per tentare di uscirne più o meno indenne, tutti noi dobbiamo avere delle priorità, degli affetti, dei desideri da voler ancora vedere realizzati; quando viene meno uno scopo e la speranza si muore (almeno dentro), no?!… La musica ci ha sempre salvato, tenendo insieme i vari frammenti della nostra interiorità e donando senso alle nostre esperienze e questo, di per sé, già basterebbe. Se in più, comunque, la nostra musica riuscisse a fare lo stesso con altri sarebbe bellissimo… La nostra speranza – magari soltanto utopica – è che le società in generale lascino più spazio, e soprattutto più tempo, agli individui da poter dedicare all’espressione della propria interiorità perché in questa risiede l’“essenza” umana.
Quali gli interrogati che (se) vi siete posti ripercorrendo la Storia, anche e in ispècie tramite “Sambol – Amore Migrante”? Vi sono vicende, in alcuni momenti storici, che influenzano in modo profondo la vita dei singoli individui, cambiandone la traiettoria com’è successo a Vlado… Di fronte a ciò, noi ci siamo chiesti se abbia senso impostare la propria vita sulla base di idee che forse risultano utopiche (quali, ad esempio, la “cooperazione” di cui si parlava prima), vista la fragilità della nostra condizione …La nostra risposta è <<Sì, ha senso>>. La Storia, difatti, mostra che l’uomo ha spesso bisogno di grandi utopie per dar vita a dei minuscoli passi avanti che, tuttavia, sommati nel tempo possono fare la differenza. Inoltre, seguire un’utopia è già un po’ viverla…
A vostro parere qual è lo stato dell’Arte in generale, ed ovviamente altresì della musica, in Italia e all’estero? Comprese le maggiori diversità del fare musica degli artisti e del recepirla del pubblico e la differente o meno considerazione degli artisti nelle varie Nazioni in cui avete avuto modo di esibirvi. L’Arte è sempre stata un’attività complicata da portare avanti e non proprio “sicura” per chi la pratica. Infatti, nel corso della storia, essa si è spesso avvalsa di “investitori” di vario tipo (la Chiesa, le Corti oppure, in tempi più recenti, l’industria cinematografica e discografica che è ora in gran crisi). Tramite la nostra esperienza, abbiamo osservato come oggi alcuni Stati si pongono più di altri quali investitori in campo artistico, ad esempio la Francia. Laddove ciò accade cambia il modo di fare arte, se non altro perché l’artista viene messo nelle condizioni di potervisi dedicare a tempo pieno e con continuità. Cambia inoltre anche l’approccio del pubblico, almeno di quello “generalista”. In una società che dà importanza all’arte tanto da investirvi risorse, l’arte ha più possibilità di essere considerata da tutti un’attività importante e di conseguenza si innesca un circolo virtuoso.
Come descrivereste l’Arte e cosa pensate non possa mancare a un cantante come altresì ad un musicista, ballerino, coreografo, pittore, scultore, fotografo, regista, attore, poeta, romanziere ecc. ecc. ossia ad una persona meritevole dell’appellativo di Artista con la A maiuscola? Chi è quindi un Artista? Un Artista, con ogni probabilità, è una persona che si prende la briga di intraprendere periodicamente dei viaggi nell’animo umano e spesso persino nei suoi angoli più bui. Al termine di questi viaggi impegnativi e talvolta addirittura pericolosi, un po’ come avvicinarsi ad un buco nero, se è fortunato, può raccontare agli altri cosa ha visto e può farlo a modo suo …E proprio per questo, a nostro parere, l’Arte genera forti emozioni nel pubblico – visto che nei luoghi più profondi di ogni essere umano ritroviamo gli stessi contenuti, un’origine comune, una sorta di inconscio collettivo.
Secondo voi, nella musica e nell’Arte tutta, è ancora possibile inventare qualcosa di nuovo oppure è già stato detto e fatto il possibile? A nostro avviso, poiché l’Arte si basa su infinite combinazioni possibili, è altrettanto sempre possibile trovare nuove strade da percorrere con essa.
Quali i vostri prossimi progetti artistici e personali, a breve e a più lungo termine? Sicuramente vorremo, e speriamo, che sia possibile al più presto riprendere il Sambol Tour che è stato interrotto per la pandemia. Poi ci fermeremo ad analizzare tutto il materiale che abbiamo accumulato in questi mesi di stop forzato, e cercheremo di capire quale direzione dare al nostro prossimo album.
Giulia Quaranta Provenzano