Ormai è diventata una consuetudine il racconto che ogni anno, a Natale, Oggi Cronaca omaggia ai lettori. Per questo 2020ctribolato, incredibile e orrendo, che ha radicalmente cambiato le nostre abitudini e la nostra vita abbiamo scelto un racconto molto, molto particolare: una storia d’amore nata in un contesto di guerriglia, a dimostrazione che, a volte , da situazioni orrende (come la pandemia ad esempio) può nascere qualcosa di buono.

Il racconto dal titolo “Paolo&Laura” è stato pubblicato nel libro “Storie” nel maggio scorso, realizzato da chi scrive.


E’ un racconto che si ispira ad una storia realmente esistente fra due persone e, come tutti i racconti del libro, una parte narra fatti realmente accaduti e si ispira a persone esistenti e un’altra, invece, è inventata (o romanzata come preferite) per non far riconoscere a tutti chi siano i veri protagonisti.. I nomi a volte sono inventati altri sono quelli reali per cui non potrete mai sapere se siano quelli reali o meno, ma come ripeto spesso, ciò che conta sono i fatti, non i protagonisti e io, da giornalista amo raccontare i fatti.

Ovviamente i protagonisti che leggono la storia, loro si riconoscono, ma in questo caso sono convinto che i due “poliziotti” non sappiano neppure che mi sono ispirato a loro per scrivere questa storia che a mio avviso è una delle più belle del libro e sono orgoglioso di farvene omaggio perché apre alla speranza in un momento duro e difficile come questo in cui siamo costretti a vivere.

Un ultima cosa prima di lasciarvi alla lettura: il libro “Storie” racconta la vita del protagonista, Ricky che si svolge anche nel futuro e questo racconto che inizia col G8 di Genova nel 2001, finisce, nel futuro nel 2026.

Buona lettura e a tutti voi lettori, ovviamente va il mio grande augurio di Buon Natale.

Angelo Bottiroli – Direttore di Oggi Cronaca

PAOLO & LAURA

I sassi arrivavano da tutte le parti: una pioggia così forte e intensa da lasciare Paolo, che pur se la aspettava, completamente sconvolto.

Riusciva ad evitarne alcuni spostando la testa, altri li parava con lo scudo ma quelli che arrivavano sul casco li sentiva distintamente e, anche se non facevano tanto male, provocavano un rumore tale da penetrargli il cervello.

All’improvviso un boato alla sua destra scosse l’aria: l’esplosione lo fece trasalire e vide le fiamme alzarsi maestose da un’auto parcheggiata: la molotov era andata a segno.

“Non indietreggiate, andate avanti!” Gridava il caposquadra al suo fianco ma non era facile: i fumogeni lanciati dai No global offuscavano la strada e la visuale.

Riuscì a schivare una bottiglietta di Coca Cola diretta alla sua faccia per un millesimo di secondo: sembrava un proiettile tanto forte era la violenza con cui era stata scagliata e, insieme ai colleghi, avanzò pian piano lungo il viale.

Lo sparuto gruppo di poliziotti in tuta antisommossa armati di manganelli andavano avanti compatti ma di fronte avevano una schiera di agguerriti manifestanti che lanciavano qualsiasi cosa.

“Si spacciano per difensori dell’ambiente, a difesa dei diritti dell’uomo e del mondo – pensava Paolo – ma difendere l’ambiente significa distruggere così una città?”

Quei pochi secondi di distrazione stavano per essergli fatali: “Attento” gridò una voce femminile alle sue spalle spostandolo di forza mentre un oggetto contundente stava per colpirlo.

Non ebbe il tempo di capire chi fosse ad averlo salvato: centinaia di Black bloc si erano scagliati contro il gruppo di poliziotti che, al comando dell’Ispettore, esplosero alcuni colpi di pistola in aria.

Era il 20 luglio 2001 ed eravamo a Genova, a pochi passi dalla stazione Brignole ma sembrava di essere in trincea.

“Siamo in guerra – pensava Paolo – perché nessuna persona civile con un po’ di buon senso farebbe questo ad una città bellissima come Genova”.

Si distrasse per la seconda volta e fu ancora la stessa voce femminile a salvarlo mettendo lo scudo in plexiglas davanti a lui.

“Sei il secondo che salvo – fece la poliziotta – ma cos’avete oggi? State attenti, cazzo!”

Non ci fu tempo per replicare: i Black bloc, dopo un primo attimo di sbigottimento, in seguito ai colpi di pistola esplosi in aria dagli agenti, iniziarono ad attaccare avvicinandosi minacciosi: i poliziotti serrarono i ranghi e si misero quasi a “testuggine” cioè  nella stessa posizione adottata dai soldati romani nelle tecniche di combattimento di duemila anni fa. Erano in numero molto inferiore ai manifestanti e iniziavano ad avere paura.

Un agente non deve temere nulla ma lì c’erano padri di famiglia, giovani, donne, e gente comune che avevano scelto quel lavoro non solo per la necessità di avere uno stipendio ma perché credevano in certi ideali come la Giustizia e il Buon senso degli uomini, tutti valori che quel pomeriggio sembravano spariti.

I poliziotti si stavano preparando ad un violento scontro fisico con centinaia di contestatori, quando per fortuna, arrivarono i rinforzi: dalle strade laterali comparvero gli idranti e centinaia di colleghi li affiancarono, mettendo in fuga i rivoltosi.

Si concluse senza feriti quello scontro tra polizia e manifestanti ma fu solo un caso, perché le tristi cronache a cui tutti abbiamo assistito sono note e raccontano di un G8, quello di Genova, finito nel sangue con un morto e tantissimi feriti tra poliziotti, dimostranti e civili.

Una pagina nera della storia italiana che in tanti vorrebbero dimenticare ma non lui, Paolo, perché quel G8 segnò per sempre la sua vita.

Paolo era un giovane di 25 anni, alto capelli neri e corti, sbarbato, con un fisico asciutto. Era il secondo di tre fratelli, di una famiglia genovese tutt’altro che ricca. Abitava nel sobborgo di Bolzaneto, alle spalle della Genova più bella e conosciuta. Lì, dove era nato, c’erano soltanto case e fabbriche e il mare non si vedeva. I viadotti dell’autostrada incombevano pressati dai palazzi e ogni fine settimana si popolavano di tantissime auto in coda di milanesi diretti alla Riviera di Levante alla ricerca di una giornata lontano dallo smog della loro città. I tubi di scappamento delle auto portavano l’inquinamento a breve distaza dalla sua abitazione ma per fortuna, qui, la brezza marina spazzava via tutto.

A Paolo non piaceva il suo quartiere e fin da ragazzo, appena ne aveva l’occasione, prendeva l’autobus che andava in centro, in piazza De Ferrari, davanti alla caratteristica fontana e da lì iniziava a girovagare per la città.

Amava Genova, con i suoi carruggi, i suoi scorci caratteristici e il mare: quante volte era stato alla Foce a godersi il sole che lo scaldava anche durante l’inverno e quante volte aveva passeggiato nei vicini giardini o, ancora, si era spinto fino a Nervi, fuori dal traffico caotico urbano, per ammirare l’assoluta bellezza del mare e la splendida passeggiata a picco sulla scogliera.

Ciò che non gli piaceva di Genova era il degrado che si vedeva in alcuni quartieri di periferia e anche in centro. Doveva fare qualcosa per migliorare la città che tanto amava e per questo decise di entrare in Polizia. Era convinto che con una divisa sarebbe stato più facile migliorare le cose e fu anche per questo che rimase sconvolto dagli avvenimenti del G8 che trasformarono Genova in un campo di battaglia.  

Quei giorni di guerriglia urbana rimasero scolpiti per sempre nella sua mente: mai più avrebbe potuto dimenticarsi dei No global e della distruzione che quel vertice aveva provocato.

Il G8 di Genova, per Paolo, però, non fu solo questo perché lui visse anche una storia dentro la storia.     

Qualche giorno dopo gli scontri e al termine del vertice, infatti, anche se tutto stava tornando lentamente alla normalità, Paolo non riusciva a dimenticare nulla: si ricordava di tutte le azioni che aveva dovuto compiere per garantire l’ordine pubblico e si rammentò di quando era vicino alla stazione Brignole, il secondo giorno di quel fine settimana assurdo e della collega poliziotta che lo aveva salvato per ben due volte.

Decise che doveva ringraziala. Era per merito suo, infatti, se era rimasto illeso.

Raccontò l’accaduto al suo superiore ma lui rispose che era quasi impossibile venire a conoscenza dell’identità della collega che si era prodigata per lui.

A Genova, in quei giorni, arrivarono forze di polizia da ogni parte d’Italia e i compiti a cui ogni poliziotto era assegnato, come Paolo ben sapeva, erano tantissimi per cui non sempre era possibile risalire con esattezza a quale servizio un poliziotto era stato destinato.

Quello, tuttavia, era uno dei primi scontri tra agenti e manifestanti, quindi, magari, avrebbe trovato qualche traccia…

“Prova – gli disse il superiore – se ci riesci, buon per te.”

Questa approvazione verbale per Paolo fu più che sufficiente e così nei giorni a seguire girò diversi uffici, contattando parecchi colleghi e alla fine riuscì ad avere un nome, Laura, e una città: Alessandria.

Si ritenne fortunato perché Alessandria era un piccolo capoluogo di provincia con appena 90 mila abitanti: quante poliziotte potevano esserci che si chiamassero Laura?

Era certo di trovarla.

Appena possibile prese il treno e in meno di un’ora arrivò a destinazione.

Alessandria è una città come tante altre, con pochi monumenti importanti, in cui tutto si svolge attorno alla piazza principale, chiamata “Della Libertà” dove si trova un grande e ampio parcheggio e dove si affacciano i palazzi delle principali istituzioni: il Municipio, la Provincia, la Prefettura, le Poste e ai, tempi anche il Distretto Militare e la sede della Banca d’Italia, oltre a numerosi istituti di credito.

A tre minuti a piedi dalla piazza Libertà si trovano la biblioteca, il Duomo, la sede dei carabinieri e il conservatorio. Ai tempi anche la Questura aveva sede poco distante, in via Ghilini, e lì Paolo, si recò a cercare la collega.

Aveva avuto ragione: in servizio ad Alessandria le poliziotte erano davvero poche e soltanto una si chiamava Laura, solo che non lavorava alla sede centrale ma presso la scuola di Polizia, al quartiere Cristo, a sud della città e quasi in periferia.

Paolo prese un taxi e si fece portare lì.

Dopo lunghe peripezie riuscì a trovarla. Laura sembrava una persona normale: alta circa un metro settanta, capelli castano chiaro che le cadevano sulle spalle, occhi chiari, corporatura leggermente robusta ma non troppo, dovuta, ovviamente, alla continua ginnastica che gli agenti sono costretti a fare se vogliono mantenersi in forma.

Si capiva che era poliziotta anche dai muscoli: le braccia erano forti e possenti perché doveva essere in grado di immobilizzare anche un uomo corpulento nel caso in cui sarebbe stato necessario.

Paolo, le andò incontro: “Ciao, scusa se ti disturbo, sei Laura vero? Io sono un collega di Genova e avrei bisogno di parlarti per una cosa privata.”

Lei aggrottò le ciglia e rimase un po’ stupita: “E’ importante?” disse

“Abbastanza – rispose Paolo – ma ti porto via solo cinque minuti.”

“Okay dammi un quarto d’ora che finisco il turno, mi cambio e arrivo.”

Uscì dalla scuola di Polizia di Alessandria venti minuti dopo e a vederla così, in abiti borghesi e non più in divisa, non sembrava affatto una poliziotta: lo sguardo duro era sparito e andò verso Paolo sorridendo.

“Ho proprio bisogno di un buon caffè – disse rivolta al collega – sediamoci al bar di fronte così mi dici tutto.”

“E’ una cosa personale – spiegò Paolo – tu sei stata in servizio durante il G8 di Genova, vero?”

“Certo – disse lei un po’ preoccupata – è qualcosa che riguarda quel giovane morto? Io, però, non so nulla …”

“No, no, non preoccuparti – rispose Paolo – è un’altra cosa. Ti ricordi mica se il venerdì pomeriggio in quel G8 eri di pattuglia nei pressi della stazione Brignole?”

“Guarda, abbiamo fatto tante di quelle cose, in quei giorni, che proprio non ricordo…”

“Ma sì, dai, non dov’è morto il giovane ma in un’altra zona, anche se poco distante: un piccolo gruppo di poliziotti presi d’assalto dai No global che sono stati salvati dai colleghi con gli idranti. Ci siamo messi a testuggine per difenderci dall’assalto che poi, per fortuna, non è avvenuto…”

“Sì, sì, adesso mi ricordo” rispose Laura facendo mente locale.

“E ti ricordi – aggiunse Paolo – di quel poliziotto che stava per essere colpito da un oggetto e tu lo hai salvato?”

Laura rimase a pensare qualche minuto… “Quale dei due storditi? Quello che ho spostato con una spinta o quello che ho difeso con lo scudo?”

“Entrambi – rispose Paolo – ero sempre io.”

“Oh – fece stupita Laura  – mi spiace di averti dato dello stordito ma…”

“No, no, hai perfettamente ragione – la interruppe Paolo – il fatto è che mi ero distratto, pensavo a come era ridotta a mia bella Genova, la città che amo, con l’Acquario, piazza De Ferrari, il museo di palazzo reale, Villa Durazzo Pallavicini… e mi sono estraniato per un secondo, se non c’eri tu chissà come sarebbe andata a finire ….”

Rotto il ghiaccio Laura si mise a ridere: “Scusami, ma proprio non ce la faccio – disse rivolta al collega – pensavo fossero due persone, invece era soltanto una, l’unico poliziotto che in mezzo alla guerriglia urbana invece di pensare alla propria incolumità si preoccupa di com’è ridotta la città e rischia di finire ammazzato… Non posso fare a meno di trovarlo buffo.”

Laura aveva un anno meno di Paolo, ma ciò che l’aveva spinta ad arruolarsi in Polizia erano motivazioni profondamente diverse da quelle del giovane che aveva di fronte: lei era originaria di Torino e suo padre era un colonnello dei Carabinieri. Fin da piccola era stata abituata a vivere nel rigore, cambiando spesso città perché il genitore, che aveva grandi abilità, beneficiava di continui avanzamenti di carriera e veniva trasferito in sedi sempre diverse.

Lei, a differenza di Paolo, non poteva affezionarsi a un luogo o avere amici duraturi perché casa e scuola cambiavano in continuazione. Aveva sviluppato un forte senso di attaccamento ai valori militari e alla Patria e dopo le scuole dell’obbligo era stato naturale, per lei, entrare in un corpo militare e aveva scelto la Polizia, l’unico in cui era possibile farlo perché aveva la sezione femminile fin dal 1959.

Si era arruolata e l’avevano trasferita ad Alessandria dove aveva preso in affitto un piccolo alloggio in centro e soltanto nel week end rientrava a casa, a Torino, a trovare i genitori. Era figlia unica e loro non vedevano l’ora di stare un po’ con lei.

Si capiva che era una ragazza giudiziosa, piena di forti principi morali e che faceva della sua professione la scelta più importante della vita.

Fu per questo che Paolo che sembrava molto più spensierato di lei, ebbe qualche timore a farle una domanda ma poi decise che se non ci avesse provato si sarebbe pentito per tutta la vita e così si buttò: “Senti – disse abbassando la voce anche se nei pressi non c’era gente – lo so che ci hanno detto di non parlarne con nessuno ma tra colleghi non credo sia un delitto, anzi, penso possa aiutarci a migliorare la nostra professione e il nostro approccio per il futuro. Cosa ne pensi del G8 di Genova? Non mi riferisco ai gravi fatti accaduti e alle implicazioni che inevitabilmente ci saranno, di quelli sai che non possiamo parlare, ma di ciò che hai provato, nel tuo animo, nel vedere tutta quella violenza da entrambe le parti e se ha lasciato strascichi dentro di te. Per me è importante parlarne con qualcuno.”

Laura lo guardò profondamente: sapeva quanto fosse determinante per un poliziotto poter condividere tutto l’orrore di quei giorni con una persona in grado di comprendere lo stato animo che ogni agente si portava dentro. Lei lo aveva fatto con suo padre ed era stata una liberazione perché le aveva permesso di continuare a svolgere il suo lavoro senza remore e certa di aver fatto il proprio dovere. Quindi, capiva perfettamente cosa provasse il giovane che aveva di fronte e per questo acconsentì.

“Possiamo anche parlare di queste cose se vuoi – rispose Laura – ma non qui, vieni facciamo due passi verso il centro.”

Più che di ‘due passi’ si trattava di quasi 4 Km a piedi lungo corso Carlo Marx e poi sul cavalcavia di Viale Brigata Ravenna per finire nella centralissima corso Roma, fino in piazzetta della Lega e in via Vochieri dove abitava la ragazza: ci avrebbero messo un po’ di tempo ma Laura sapeva che era necessario, perché lei, a parlare con suo padre di questo, ci era stata per ore.

Per tutto il tragitto fu quasi sempre e solo Paolo a interloquire: esternava le sue paure e le sue sensazioni, il suo orrore per tutto ciò che era accaduto e cercava conforto tra le parole della collega.

A Laura sembrava di rivedere lei, pochi giorni prima, di fronte a suo padre, quando diceva più o meno le stesse cose che adesso, invece, stava sentendo da Paolo e capiva perfettamente lo stato d’animo del giovane.

Al termine della lunga passeggiata Paolo la ringraziò: “Però – aggiunse – non ho finito, avrei ancora molte cose da dirti…”

Chiese se avessero potuto rivedersi. La ragazza accettò e si scambiarono i numeri di telefono.

Nei giorni successivi le loro conversazioni sul G8 lasciarono ben presto spazio ad altri argomenti.                    

Iniziarono a parlare entrambi di sé stessi e della loro vita: Laura gli disse che aveva fatto domanda per diventare istruttrice cinofila, non solo per i cani antidroga ma per quelli che salvano le persone durante terremoti e valanghe, e scoprì che anche lui amava tantissimo i cani e gli animali in genere. Entrambi, poi, iniziarono a parlare delle loro aspirazioni anche extra professionali e della voglia comune di mettere su famiglia e avere dei figli.

Oggi, ad oltre 25 anni di distanza da quel fatidico 2001, Paolo e Laura sono felicemente sposati e hanno avuto un bambino.

Lui si è trasferito ad Alessandria e insieme vivono in un alloggio nel cuore della città.

Entrambi sono rimasti nella polizia: lei è diventata istruttrice cinofila, come desiderava, e spesso viene chiamata con il suo cane nei luoghi in cui si verificano calamità naturali o crolli e, in quelle occasioni, grazie all’animale e al suo fiuto, riesce a salvare vite umane dalle macerie.

Lui invece è diventato ispettore.

Entrambi svolgono l’attività di agenti in città diverse ma si ritrovano al termine del turno di lavoro nella casa che hanno costruito e insieme al figlio che rappresenta tutta la loro vita.

Il giorno del loro ventesimo anniversario di matrimonio, lei riuscì a prendere un permesso ma a lui non fu possibile, così, quando al mattino presto si alzò dal letto per andare a lavorare decise di lasciarle un biglietto sul comodino: “Oggi – c’era scritto – sono vent’anni che stiamo insieme, ma è come se ti amassi da sempre e non smetterò di amarti fino a quando il mio cuore non cesserà di battere.”