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Se n’è andato Quino, il papà di Mafalda. Di Giulia Quaranta Provenzano

È venuto a mancare all’età di 88 anni compiuti il 17 luglio, il papà della buffa Mafalda. Il fumettista argentino Joaquín Salvador Lavado Tejón,conosciuto da tutti come Quino, aveva disegnato ed immortalato a profusione tal buffa donnina che immancabilmente regalava perle di saggezza e che ora chiude gli occhi insieme a lui pur permanendo, loro, per sempre nei nostri ricordi.

Addio a due straordinari volti ironici ed irreverenti, conosciuti in ogni parte del mondo e tradotti in 35 lingue. Amore nato da infante, quello di Quino per le matite e i fumetti, che purtroppo è stato stroncato da un ictus ma che rimarrà emblema senza tempo di determinazione tipica delle menti brillanti, per quanto e soprattutto elegantemente schiette. Quino infatti, come è già stato raccontato, accettò e sopportò di andare alle elementari soltanto perché condizione necessaria per saper leggere e scrivere, tuttavia con la madre si accordò che avrebbe allora di contro potuto disegnare ogni giorno l’intero tavolo di pioppo della cucina (a patto di spazzolarlo, dopo, per bene).


Ed è così che nel 1963 nacque appunto Mafalda, creata per una pubblicità di lavatrici benché non piacque al committente. Fu lo scrittore Miguel Brasco che lo presentò ad Agens Publicidad, che stava cercando un disegnatore per dar vita ad un fumetto che fosse “una via di mezzo tra Blondie e Peanuts” al fine di reclamizzare il lancio di una linea di elettrodomestici chiamati Mansfield, il cui logo conteneva una M e una A – ed è perciò che il nome di alcuni personaggi doveva cominciare con la M. Agens non fece però più la campagna, non di meno a Quino rimasero alcune vignette che utilizzò per proprio conto dopo alcuni mesi.

Ecco quindi che Joaquín, sebbene per un poco la mise in un cassetto, non la dimenticò. Mafalda rispuntò ovvero il 29 settembre del 1964 sulla rivista “Primera Plana” di Buenos Aires e poi nel marzo 1965 sul quotidiano “El Mundo”. Infine superò qualsiasi confine, giungendo su giornali internazionali laddove Quino si confermò eccezionale ovunque con le sue strisce mute, che irridevano costumi e vizi della società contemporanea. A codeste si dedicò successivamente, in maniera esclusiva ed abbandonando la figlia prediletta per personaggi occasionali, a partire dal 25 giugno 1975 poiché ammise di essere stanco di continuare a ripetere che gli Stati funzionano dappertutto male, che ci sono le guerre e la miseria giacché ciò non cambiò dall’esordio di Mafalda, procurandogli tristezza infinita a motivare la sopraddetta decisione.      

…Mafalda che, nonostante l’incontrovertibile, gli regalò la celebrità. Lei che, spesso arrabbiata o assai indispettita, rifiutava il dato così com’è. Bambina di sei anni, con genitori qualunquisti, odiava la minestra e ascoltava i Beatles. Con i suoi amici Felipe, Manolito, Susanita e Libertà si occupò in ispècie di avvenimenti quali la guerra del Vietnam, la povertà e la fame ad inginocchiare troppi sulla Terra, il razzismo e dibatté perfino della questione femminista. Costante del suo credo il non stimare gli adulti e di conseguenza rivendicò senza sosta il proprio diritto a rimanere infante, esplicita e priva di filtro alcuno. Non a caso Quino nel 1976, quando ci fu il golpe in Argentina, si trasferì in Italia – tornando nel Paese d’origine nel 1979, prima per brevi periodi, poi con maggiore frequenza in quanto affermò che se Mafalda fosse vissuta durante gli anni della dittatura militare sarebbe forse stata una desaparecida in più e non sarebbe sopravissuta per il semplice fatto che aveva un cervello critico. Molta gente è scomparsa solo per questa ragione e tra le innumerevoli persone sparite moltissimi i giornalisti.    

Fama quella del grande artista che di certo è merito, in larghissima parte, del suo straordinario temperamento fuori da ogni aprioristico schema. Soltanto per ricordare in ultimo un ulteriore episodio a palesarne la misura, egli confessò di aver frequentato la scuola di Belle Arti per due anni, per ritirarsi ebbene presto, perché <<M’insegnavano a ritrarre modelli bellissimi: gessi, anfore, anatre impagliate, una chitarra… Ma io fin da piccolo volevo fare il cartoonist e mi sono rotto le palle. Ho smesso. È una cosa che rimpiango un po’, insieme alla mia mancanza di disciplina. Difatti ho dovuto imparare da solo cose che lì avrei acquisito con meno fatica, come la prospettiva. Se non la conosci bene diventa un casino disegnare determinate immagini, come per esempio un campo sportivo>>.

Giulia Quaranta Provenzano

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