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Oggi Musica: creatività geniale ed ironica quella di Marta Pistocchi. Di Giulia Quaranta Provenzano

Marta Pistocchi è una poliedrica e originale attrice comica e violinista diplomata all’Accademia Internazionale della Musica di Milano e al Conservatorio di Piacenza. Milanese doc dal cuore zingaro – così si descrive la creativa quarantenne – confessa di sentirsi, più che un’artista, un’artigiana che impara mestieri e li mette a servizio di chi vuole fruirne.

Da sempre mossa da un forte interesse per la musica popolare dell’Est europeo, balcanica e rom, tale passione ha portato Marta a stringere progettualità con diversi musicisti professionisti del genere come col fisarmonicista Jovica Jovic. In seguito, appassionandosi anche allo swing e allo jazz  manouche, la Pistocchi ha fondato e suonato in differenti formazioni.


È poi nel 2010 che la lombarda diventa parte dell’Orchestra di Via Padova, orchestra  multietnica di Milano, collaborando con numerosissimi artisti quali tra gli altri Paolo Rossi, La Crus, Banda Osiris, Jerry Calà, Andrea Mirò, Alberto Fortis. Nel 2011 invece, dopo una lunga formazione altresì come clown, la talentuosa donna realizza “Grand Cabaret de Madame Pistache” che, nel 2012, è arrivato in finale al concorso nazionale promosso dalla Federazione Nazionale Arti in Strada nella categoria “one man show”.

Nel 2017 Marta Pistocchi pubblica il disco strumentale “Sviolinate”, un album interamente composto da violino e loop station, ed entra nella compagnia del circo contemporaneo Circo Zoè – ma ancora, dalla stagione 2016-2017, ella è polistrumentista e rumorista di scena per la storica compagnia marionettistica Gianni e Cosetta Colla, per lo spettacolo “Le avventure di Pinocchio”. 

E a proposito di esibizioni, noi l’abbiamo intervistata per la nostra rubrica Oggi Musica in occasione del 3 ottobre. Data, questa, del debutto milanese della geniale Marta Pistocchi con un ennesimo spettacolo comico musicale intitolato “Toponomastica” al Centro Culturale Rosetum, all’interno del Festival del Giullare – titolo omonimo a quello del suo album d’esordio, che l’11 ottobre è stato presentato alla libreria-bistrot Anarres sempre nel capoluogo della sua regione natale.  

Con il disco “Toponomastica”, prodotto da Topo Records e Adesiva Discografica ed arrangiato dalla stessa Marta Pistocchi insieme a Mattia Mistrangelo e Massimo Marcer, l’artista racconta – in 12 tracce – l’amore per la Milano popolare, nascosta e resistente. Per una Milano lontana cioè dai luoghi comuni che la descrivono abitualmente. Per mezzo di sonorità acustiche che si rifanno alle influenze musicali della cantautrice (balkan, swing, tango e world music su tutti), con testi ironici e pungenti, “Toponomastica” celebra la meravigliosa varietà urbana vista dal basso, attraverso le piccole cose che la compongono e che sfuggono all’osservatore frettoloso.

<<Il titolo “Toponomastica” – ci spiega Marta – è nato durante la creazione dello spettacolo, dalla mente geniale della regista Rita Pelusio. È un gioco di parole tra il suo vero significato, scienza di dar nomi ai luoghi geografici, e la parola TOPO. Sono infatti i topi gli attenti osservatori metaforici di questa città e il loro sguardo è diverso, laterale, attento ai più minuscoli particolari. È una prospettiva degli ultimi, degli emarginati, ma altresì di quelli che scorgono nei paesaggi cittadini una possibilità infinita, un laboratorio di socialità che può unire assai più che dividere>>.

Questa la tracklist di “Toponomastica”: “Luogo Comune”, il brano d’apertura del disco che mette subito le cose in chiaro ossia che si parla di Milano benché sia un pretesto per affrontare temi universali (Milano raccontata col filtro dei luoghi comuni che le sono stati cuciti addosso, luoghi comuni che sicuramente sono posti in cui non abita il pensiero critico, mentre l’invito della cantante è di andare oltre i pregiudizi e distaccarsi dal pensiero di massa); “Bacinbici”, un gioioso e divertente inno all’amore e alla mobilità sostenibile – la vita di coppia raccontata colla metafora della bicicletta, tra salite, discese, buche e rotaie, e con un finale a sorpresa che celebra la consapevolezza in amore come in sella (all’interno una citazione dal testo dello spettacolo teatrale); “La mia bella”, a suggerire l’interrogativo sul se Milano fosse una donna, sviluppando una canzone d’amore per una lei dai mille difetti ma che custodisce bellezza e fascino e di cui ci si innamora per un’infinità di motivi (l’ironia del testo, che elenca i molteplici problemi fisici dell’amata, si pone in netto contrasto con l’atmosfera sognante dell’arrangiamento musicale, per una romantica dichiarazione ai limiti del surreale).

A seguire“Serie”, brano dal testo fortemente ironico, che descrive il disagio di una minoranza che si sente diversa ed incompresa ovvero di coloro che non guardano le serie tv – battute comiche, assurdità e giochi di parole sopra un orecchiabile ritornello e riff strumentale che, come una serie tv, resta subito in testa e diventa tormentone; a ritmo di cumbia, trombe e tromboni in atmosfera mariachi, e un inserto rap “Saritada Sarita Colonia che è una santa popolare peruviana, non riconosciuta da alcuna chiesa ufficiale, morta in giovane età nella Lima degli anni ’40 ed è così che la sua storia, tra leggenda urbana e mito romantico, la trasforma nella protettrice degli ultimi, degli emarginati, dei carcerati, dei poveri (un murales di Sef e Hadok la ritrae in via Padova, la via che per la maggiore racconta la varietà multietnica di Milano, ed è a questo piccolo altare di arte urbana che la canzone è dedicata); “Filoblues” dai versi fortemente simbolici ad alludere alla similitudine del 90/91 con un giro di blues, che arriva alla fine e riparte dacché persino in tal modo gira, in tondo, la 90/91 vale a dire il filobus che percorre l’intera circonvallazione esterna di Milano, confine simbolico tra la città vetrina e la realtà delle periferie (la 90 racconta uno spaccato della società fatta di pendolari e gente di passaggio, milanesi doc e di nuovissima generazione, punto d’incontro dell’umanità metropolitana più disparata. La paura fa 90, o la 90 fa paura?! E mentre il tabellone degli orari “ricalcola” il tempo d’attesa, il filoblues, come la città, non si ferma mai).

Ed ancora “L’albero”, brano dedicato alla quercia centenaria di piazza XXIV Maggio, emblema di resistenza civile in una città che troppo spesso dimentica il proprio legame con la natura (violino e trombone protagonisti di un arrangiamento che esplode festoso quale un albero in primavera, e che si scontra con la realtà della metropoli, trasformandosi improvvisamente in una marcia solenne e tornando ad essere incalzante come sa dimostrarsi la vita in ogni sua forma); “Mai contenti”, canto liberamente ispirato all’omonimo libro per l’infanzia di Bruno Munari che descrive, per immagini, il sentimento di eterna insoddisfazione che universalmente accompagna l’esistenza umana (gli animali del volume vengono trasformati dall’autrice in personaggi umani, dalle molteplici attitudini e caratteristiche, e disposti in un cerchio ideale in cui ognuno vorrebbe essere qualcun altro. Brano poetico e dal testo articolato, in cui la struttura armonica, il ritmo di 3/4 e l’orchestrazione evocano la sonorità di un carillon, una piccola giostra che gira su se stessa); “Finché campo”, canzone molto ironica che racconta la relazione d’amore che ciascuno di noi vive… col proprio telefono cellulare tant’è che “Finché campo ci sarà” è il nuovo e più attuale “finché morte non ci separi”, perché forse i nostri devices sono davvero coloro che ci conoscono meglio di tutti e dai quali non vorremmo mai separarci; “Diario di Pi”, uno swing veloce dal sapore un po’ vintage per un brano divertente che narra la giornata tipica di un piccione del centro di Milano e persino assoli, cori armonizzati ed un finale inatteso con citazione musicale retrò.

Infine l’intimistica “Io sono”, una sorta di autobiografia poetica di Marta Pistocchi che si racconta, si svela e si dichiara parte di una stessa, universale umanità; “Minga bun” ovvero “Mi sun minga bun a fa’ i danè” (in milanese: non sono brava a fare i soldi), una sardonica affermazione in prima persona che nasce da una riflessione personale sulla complicata relazione esistente tra mainstream e canzone d’autore mentre in coda all’album la ghost track “Toponomastica”, un estratto composto e suonato al pianoforte da Rita Pelusio (anche voce del pezzo), nato per gioco durante le prove dello spettacolo teatrale e cantato da Marta Pistocchi, Alessandro Sicardi, Domenico Ferri.

Giulia Quaranta Provenzano

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