Spesso mi capita di perdermi ad osservare la gente che incontro per strada, perfetti sconosciuti dei quali non so proprio nulla e immancabilmente, ogni volta, la domanda che mi pongo è sempre la medesima: “Saranno persone felici?”.
La verità è che non riesco a concepire felicità possibile per alcuno in quanto tutto mi sembra così passeggero in questa nostra fisicità costretta e transeunte… E allora ho iniziato a chiedermi da tempo il perché di tale mia anima inquieta.
Viviamo un presente che appare caratterizzato dalla più ampia opzionalità, vasto catalogo di opportunità, inimmaginabile in qualsiasi altra epoca passata, eppure penso di non essere l’unica molto distante dalla vera libertà. Certo possiamo credere in un Dio piuttosto che in un altro, o non credere affatto, possiamo vestirci e pettinarci in tantissimi modi diversi ma ciò nonostante non esercitiamo davvero alcuna autentica facoltà di scelta, quella decisionalità dettata soltanto dall’emozione a regalare un’impagabile serenità. Ciò è, con ogni probabilità, il motivo per cui (oggi che il consumismo è filtro del favore) uno stabile appagamento mi pare una chimera.
Quanti si dicono liberi, non di meno quotidianamente si tirano giù dal letto al suono della sveglia? Gli orologi a scandire i ritmi della giornata. E quanti vestono panni stretti a snaturare solo per tentare di rispondere alle aspettative ed esigenze di mariti, mogli, compagni, compagne, madri, padri, figli?
Di continuo ci si sente come obbligati ed esposti al dover esaudire le attese di colleghi, superiori, conoscenti, amici e una miriade di altri individui per essere accettati e non venir esclusi pur però ritrovandosi estranei a se stessi.
Ecco dunque che infelicità e mancata libertà troppo spesso, purtroppo, vanno a braccetto, schiavi di un’esistenza che non si è scelta bensì che è piuttosto dominata da situazioni lontane dalle coordinate d’un io che soldi e prestigio comprano a basso costo. Si baratta cioè il cuore con il suo opposto: la mente che, appunto, mente.
Cosa significa, a questo punto, essere artefici del proprio destino? Godere degli attimi e gestire il proprio tempo senza essere vincolati in un luogo o da scadenze? Avere abbastanza denaro da non dover neppure più lavorare per necessità? O invece esiste un’ulteriore libertà, quella che nasce dentro il singolo e che non c’è femmina o maschio che non possa realizzare?
La libertà alla quale alludo e che è rara da vivere, almeno per la sottoscritta, è interiore. Il tiranno più crudele è la prima persona, le catene più strette sono quelle dei vizi e delle abitudini, sono negli oggetti materiali e nelle odiate apparenze autoindotte per tentare disperatamente di far parte di un qualcosa che, chissà per quale ragione, di frequente si immagina senza rischi.
Schiavi del giudizio altrui, per la maggiore del proprio soprattutto sovente si seguono regole che non basteranno mai poiché la felicità e la libertà sono una scelta, una scelta che si attualizza anche ed in ispecie attraverso i piccoli gesti (di ribellione, al tacito imposto) fuori dall’appiattente e fredda omologazione – anche se questo significa ricevere occhiatacce e frecciatine.
Fondamentale non accontentarsi quindi di percorrere schemi preconfezionati, ché giusto e sbagliato dipendono ossia assai spesso dalla prospettiva dalla quale ci si erge, a superbi giudici d’altrui.
Giulia Quaranta Provenzano