Pubblichiamo di seguito una lettera in Redazione di Giulia Quaranta Provenzano.

Anche se di solito non diamo spazio a scritti di questo genere, la nostra collaboratrice Giulia ci teneva a condividere coi lettori le sue parole, per cui, considerato anche il fatto che domani è Ferragosto, abbiamo deciso di fare un’eccezione.


Naturalmente, come tutte le lettere in Redazione, i pensieri e i concetti esposti sono rigorosamente personali e, come tutte le lettere in redazione, possono anche non rispecchiare la linea editoriale e i pensieri della Redazione e del giornale.

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Non ho mai voluto scrivere di Amore. Ricordo che quando ero alle medie, frequentavo un laboratorio pomeridiano di giornalismo eppure l’insegnante era verso la scrittura creativa, intimistica, che dirottava la finalità di quelle ore con me. Cercava sempre di farmi deporre la gelida armatura intellettuale dello scrivere in modo grammaticalmente ineccepibile, e portarmi ad abbandonare quell’asettica inappuntabilità e quel riserbo che mi contraddistingue da tempo per ciò che concerne il non/darmi emozionalmente, nell’imo, agli altri. Ciò l’ho capito, invero, soltanto adesso.

Ricordo anche che spesso a casa prendevo il dizionario, persino quello dei sinonimi e mi mettevo a leggerlo nemmeno fosse un romanzo – che in realtà un giorno lo suggerì (per provocazione, per vedere se ne ero capace?), quale compito per la sottoscritta, a mia madre. Poi però io passavo altresì ai grandi classici e ai libri più sconosciuti, eppure incredibilmente affascinanti; e ho perso il conto di quante schede di lettura ho preparato per il sopraddetto professore di italiano che ripeteva di continuo <<Mentre i suoi compagni di classe non hanno ancora finito il tema, Giulia ne ha già terminato almeno due …e pure belli lunghi>>. Non so cosa avrei dato perché, alla consegna delle corrette verifiche, non mi chiamasse ogni volta per leggere la mia, in piedi, di fronte a tutti i coetanei. Mi mettevo immancabilmente il protocollo davanti alla faccia, come uno scudo, una barricata a schermo di quanto e ciò che ero ed ancora in parte sono, ma non voglio accettare ché forse ho troppa paura di espormi alle delusioni a scalfire quell’immagine di perfezione che ho cercato di costruirmi nel tempo a “rivincita” di quelle già incassate.

Giunta a liceo, la docente di filosofia volle a sua volta che partecipassi ad un laboratorio sulla mia (già dalla prima adolescenza) “bestia nera”, l’Amore appunto. Non dimenticherò mai come scrissi, probabilmente per puro atto di ribellione sentendomi inadeguata ed impossibile da essere accettata per i miei difetti, la più becera e grottesca delle falsità: “L’amore non esiste”. Leggendomi tuttavia, di certo, non passò inosservato ad alcuno come mi tradii nell’implicita ma non di meno dichiarata, quantunque ancora per lo più latente, presa di coscienza che <<(…) bisogna mettere i piedi a bagno per scoprire se l’acqua è fredda, o calda>>. L’inibizione dell’azione è il mio più feroce nemico, la mia prigione autoimposta. Rifletto tanto, eccessivamente, e dopo non mi decido a mettere in atto ciò che sento poiché così fragile che mi aggrappo ad ogni minima impalcatura edificata per non farmi crollare, al vento dell’emozione …Quando crollare sarebbe, all’opposto, la mia salvezza.

Grazie ad un Uomo prezioso, che oggi non nominerò in quanto con ogni probabilità sarebbe un continuare ad interferire nei giorni di chi ha un’emozionalità che non può e deve essere distratta da quella di una semplice comparsa che “si è imbucata” nella sua meravigliosa stanza dei giocattoli, ora mi è chiaro qualcosa senza cui nessuna dis-umana catena sarà mai spezzata e cioè che quando si sta cadendo a pezzi non bisogna ostinarsi a rimettere insieme le parti.

<<Piangi!>> così mi ha ripetuto a iosa questi. Nell’istante presente meglio ne comprendo il motivo. Avrei dovuto e dovrei imparare a lasciarmi andare, a sottrarre, a non trascinarmi in mezzo ai giorni quale enigma bensì a trascendere, ad evolvermi inverando ogni battito del cuore con coraggio. Avrei dovuto e dovrei smettere di mentire in primis a me stessa per non soffrire, ché la verità è che il dolore è connaturato alla crescita e al liberarsi dalle situazioni che stanno strette e trattengono. L’Amore è laddove c’è comprensione e autenticità, dove si è attori che (si) mettono in moto e si spogliano del superfluo facendo respirare l’essenziale, il divenire ed in ispecie l’essere nel divenire.

Adesso chissà, dunque, posso affermare che Amore è molto simile alla luce e al suo coraggio, alla speranza e alla nudità d’anime che non si adornano di avidità e timore giacché accogliere non equivale a null’altro che a fingere misericordia e carità nell’eleggersi superiore giudice. Ecco quindi che se ho affermato che l’affetto che provo per Lui ne vivifica ogni dì l’amato ricordo non ho esagerato: il “mio” Uomo dell’arcobaleno infatti non ha mai provato a cambiarmi, piuttosto mi ha accompagnata lungo la via della consapevolezza, del divenire, a rompere l’oscurità come il sole dopo il temporale, come il sole all’alba.

Giulia Quaranta Provenzano