Esistono tante definizioni dell’arte, così come esistono tante definizioni su cosa sia la poesia: quella della vogherese Monica Ferrera, mamma di 4 figli, nasce dall’entusiasmo delle piccole cose, che alla fine sono quelle che contano.
Ne ha scritte diverse di poesie, Monica, e alla fine ha deciso di raggruppare le migliori nel libro “Anima mia” dove già solo il titolo spiega le forti sensazioni che spingono l’autrice a descrivere quello che la circonda (ed in particolar modo la natura) attraverso parole poetiche intrise di emozioni.
Una verve artistica riconosciuta con molti premi dal 2002 ad oggi, da quando cioé la vogherese ha deciso di mettere nero su bianco tutte quelle le emozioni e le esperienze che ha vissuto in prima persona diventando una scrittrice molto apprezzata.
Monica Ferrera però non è solo un’artista della poesia ma anche un’abile pittrice e fra i tanti premi di uno sterminato curriculum che non pubblichiamo per non tediare il lettore, ci piace però segnalare il premio speciale della critica per le sue poesie al Concorso Letterario “AmoRoma 2018” che la dice lunga su quanto sia poliedrica la vogherese quando crea.
Per comprendere meglio però il motivo per cui il libro di Monica merita di essere letto abbiamo deciso di pubblicare, di seguito,
Lo stupore e la meraviglia di Monica Ferrera
di Alberto Pattini
Il filosofo Benedetto Croce ci ricorda che “Non l’idea, ma il sentimento, è quel che conferisce all’arte l’aerea leggerezza del simbolo” e Friedrich Nietzsche “Tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male”.
Le liriche dell’autrice Monica Ferrera rappresentano un inno alla bellezza della natura e trasmettono intensamente la meraviglia e lo stupore di un connubio intimo ed innamorato con essa.
Il suo linguaggio è semplice, capibile, perché la poesia non è per gli eletti, serve portarla al suo ruolo iniziale, un linguaggio che non sia prosa, ma che non sia incomprensibile.
Monica sa parlare col cuore, in autonomia creativa, senza sottostare a regole o canoni, ma procedendo con spontaneità, là dove la porta la fantasia. Insomma, chi ama, sa leggere nel profondo del cuore di una donna come della natura!
Nei versi che scorrono sotto i nostri occhi ci sono l’emozioni istintive di chi si sente parte del creato, di chi vive e respira la natura, di chi ne ama i suoni, i colori, i profumi, persino le asprezze.
La poesia serve a darci una scossa, a rendere visibili i moti dell’anima e a comprendere l’emozioni che altrimenti ci passano accanto con un battito d’ali di una multicolore farfalla. La poesia è il pennello della commozione che dipinge il sorriso, serve a fermare l’attimo delle sensazioni e dei sentimenti, a migliorare le condizioni dell’esistenza e a farsì che le orme del nostro passaggio restino indelebili.
La poesia è quell’arte che ci prende, ci avvolge, ci fa sognare per farci sentire felici e non più soli, ci fa volare come folli vagabondi tra le nuvole in cieli infiniti per vivere completamente l’arcobaleno dell’emozioni. Se stessimo solo a guardare dal basso il movimento delle nuvole come detta la ragione, la nostra anima smetterebbe di vibrare e la farfalla che è in noi morirebbe.
Riuscire a cogliere la bellezza in tutto ciò che ci circonda è il motivo che permea i versi di Monica Ferrera
come nella lirica “Aurora”: “Sofisticata visione / Eterni colori delle meraviglie / Un’intenso senso d’appartenenza / Sapore d’incredulità, visione perfetta, della natura / Misteriosa. Incredula. Naturale / Onde magnetiche come le nostre / che attirano il meglio di sé…” o in “Guardare il mare” : “Ed io mortale, ammirare solo qui / davanti, seduta, inchino lo sguardo / innanzi a te e in silenzio, ascolto con amore e tanta devozione il tuo cantare / ferma e innamorata di te, sto qui a guardare il mare”.
Al poeta è concesso ammirare, accarezzare un piccolo fiore umile fra le foglie intrise di rugiada. La poesia è un monito per noi uomini spesso presi da vane ed inutili distrazioni, intenti a rincorrere sciocche illusioni, incapaci di assaporare la bellezza della natura che ci trasmette ciò che la società moderna non può più donarci: il sentimento.
La nostra società si vergogna dei sentimenti e le giovani generazioni sembrano non conoscere lo stupore e il piacere del silenzio.
La poetica della meraviglia ha profonde radici storiche nei secoli della poesia e gli “antenati” di Ferrera sono quindi molti, e di tutto rispetto.
Per tutta l’antichità e per molti secoli a venire, l’arte in tutta la sua produzione fu imitazione della natura.
Tra i filosofi antichi, il greco Platone ha il merito di essersi occupato, in modo approfondito, della bellezza e dell’amore e citiamo la sua emblematica frase “La bellezza è lo splendore dell’Essere, la bellezza esistente nel mondo è copia della bellezza ideale”. Per lui, bellezza, amore, felicità, sono strettamente collegati. L’amore si serve della bellezza, come di uno strumento, per sorpassare i limiti del finito e raggiungere l’eterno, cioè la felicità.
Aristotile, nella sua “Poetica”, ne evidenziò il rapporto, indicando come da questa attività l’uomo tragga insegnamento e diletto. Aristotile, a differenza di Platone, mise in risalto inoltre come la creazione dell’opera d’arte permetta la materializzazione dell’idea e quindi la sua manifestazione. Quest’idea però scaturisce esclusivamente dalla mente dell’artista e non può essere equiparata alla concezione platonica di bellezza assoluta.
La prima vera “poesia della natura” risale al poeta latino Decimo Magno Ausonio (310 – verso il 395) il più noto e importante poeta della cultura gallica della seconda metà del IV secolo.
Nel suo capolavoro il poemetto “Mosella” che in circa 500 esametri celebra il paesaggio che si gode lungo il corso del fiume della Mosella descrive paesaggi in versi di pregevole grazia creando una nuova sensibilità del paesaggio.
“Salve, o fiume cui dan lode i campi e gli abitanti, a cui i Belgi debbon le mura degne dell’impero; fiume con le colline coltivate di viti che danno il vino profumato; fiume tutto verdeggiante fra le rive erbose!” (vv. 23-26).
Questi pochi versi fanno già capire che il poemetto diviene il canto che dal cuore commosso del poeta si leva verso lo stupendo fiume, dentro il quale si riflettono, come in un miraggio, i colli e le fertoli campagne circostanti: “quando la glauca corrente rispecchia il colle e pare per l’acque frondeggino e che il fiume sia un campo piantato di tralci: il barcaiolo, ingannato, vi conta le verdi viti, mentre con la barca scorre sopra acque calme (vv. 189 sgg.).
Leggendo questi versi, che non annoiano mai, tale è la capacità dell’autore di variare le angolature da cui contempla l’unico soggetto, il fiume che scorre sereno in un’atmosfera piena di vita, di luci, di suoni, di profumi, ci si sente veramente trasportati in una dimensione diversa da ogni altra.
Altri poeti precursori sono stati Rutilio Namaziano che canta Roma umiliata dal sacco dei Visigoti, per citare i precursori, per arrivare alla Emily Dickinson in “L’estate è finita”, al Rilke in “Il risveglio del vento”, o a Giosuè Carducci in “San Martino”, per citare alcuni testi che sicuramente tutti abbiamo studiato a scuola, fino ad arrivare a Garcìa Lorca, che intitola una poesia proprio “Paesaggio”.
Ma il maggior poeta che ha aperto profondamente il suo cuore alla natura è stato Giovanni Pascoli, dal quale traspare tutto l’amore che una persona cresciuta in mezzo a paesaggi meravigliosi può avere per la natura.
Il poeta Giovanni Pascoli descrive che esiste dentro di noi un fanciullino che nell’infanzia si confonde con noi, ma, anche con il sopraggiungere della maturità, non cresce e continua a far sentire la sua voce ingenua, suggerendoci quelle emozioni e sensazioni che solo un fanciullo può avere.
Spesso, però, questa parte che non è cresciuta non viene più ascoltata dall’adulto.
Il poeta invece è colui che è capace di ascoltare e dare voce al fanciullino che è in lui e di provare di fronte alla natura le stesse sensazioni di stupore e di meraviglia proprie del bambino o dello stato primitivo dell’umanità.
Il fanciullino prova sensazioni che sfuggono alla ragione, ci spinge alle lacrime o al riso in momenti tragici o felici, ci salva con la sua ingenuità, è sogno, visione, astrazione.
Il nuovo si scopre, non si inventa, la poesia è nelle cose, anche nelle più piccole.
La poesia ha un compito civile e sociale: il poeta in quanto tale esprime il fanciullino ed ispira i buoni e civili costumi solo grazie al suo sguardo puro ed incantato. Ognuno di noi ha un fanciullino dentro basta non inibirlo. Lungi da me di paragonare l’autrice Monica Ferrera al sommo Pascoli, ma volevo evidenziare che la sua poetica esce dall’entusiasmo delle piccole cose, che alla fine sono quelle che contano.