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Riflessioni di Pasquetta, con la giovane scrittrice ligure Giulia Quaranta Provenzano


Questa mattina, come ogni dì, il mio sonno è cessato senza bisogno di sveglia. Al canto del gallo, immersa nel cinguettare gioioso di deliziosi uccellini, ho aperto gli occhi nell’immediata e sonora consapevolezza di essere una privilegiata …Perché sì, molte cose le vorrei e sento un obbligo morale e di dignità verso me stessa nel doverle cambiare e recidere ma, nonostante l’invidia e la cattiveria di coloro che ancora vogliono avere ed essere sempre di più degli altri, io (come del resto tutti) serbo un mondo da poter coltivare soltanto mio e ho la fortuna di poterlo curare in mezzo alla natura ad ispirarmi, rigenerarmi, pacificarmi con i suoi colori, i suoi profumi, la sua meravigliosa vista. Già, la Natura riesce ogni volta a tranquillizzarmi, a riconnettermi col lato migliore di quel potenziale da non sprecare ma da far germogliare e fiorire esso stesso in mimesi con lei la quale, silenziosa, pur tanto suggerisce. Osservo poi il cielo, le più varie sfumature d’azzurro che – pur non amandolo vestire – mi piace parecchio col suo trasmettere un profondo senso di, creativa, pacatezza e meditazione a precederne appunto l’espressione. Ed anche il verde, un colore che non mi stanca mai di far sperare nel buono, perfetto equilibrio ed armonia che ritrovo nella prosperità, nella compassione, nella fertilità del regno vegetale di cui non potrei mai fare a meno.

Cos’è la vita? – mi domando. E non ho né trovo una risposta, almeno non alcuna definitiva. So soltanto che per la sottoscritta non c’è nulla come un bel libro, un piccolo fiore, un delicato filo d’erba, un maestoso albero con la folta chioma ed i disparati rami, da poter fotografare e di cui ringraziare, a somigliar a persona per ritrovarmi e rivivermi, vedermi in modo differente dall’abituale ed addentrarmi altresì così in un’idea d’esistenza che diversamente non avrei il coraggio di abitare intrappolata tanto, troppo e spesso in pagine bianche, senza appigli o talmente buie che il versato inchiostro di seppia ha reso voragine, cemento a tumulare un’addormentata sepolta sovente in forza d’inerzia, incoscienza e codardia. 


Ieri era Pasqua. Un vento sibilino fischiava da nord a sud, da ovest ad est e pur, nel sole, richiamava l’abbondanza lontano dall’inverno e il suo intrinseco gelo, le sue ristrettezze del passato e i dolori presenti ad invitare all’opposto l’arrivo d’un tempo migliore, di rinascita, rinnovamento e resurrezione in maggiore consapevolezza – mi auguro! – e ritrovata o iniziaticamente, da esperire, generosità e bontà, altruismo, umiltà, serenità e rispetto. Sulla tavola colombe, uova, dolci ricchi e carichi di simboli e significati dimenticati e desueti dei quali però godere e di cui si è goduto nella pienezza delle forme, sovrabbondanza dei sapori, grandezza e gusto da donare a palati non di rado ingordi, avidi e membra pigre, riaffioranti e vivificate emozioni e sentimenti non più tanto custodi e promulgatori di valori e generazioni che al comune hanno sacrificato. Qual senso assume dunque tutto ciò, ogni privilegio e la sofferenza in tal oggi, soprattutto, di tragedia dilagante?

Penso ad un abbraccio fra Cultura e natura, ad un giocoso e sereno incontro delle parti lì nel cuore di ciascuno ove è abbastanza appartato ed intimo, e distante, libero dal traffico per riuscire a sorprendersi riposando un poco in giardini non di battibaleno bensì in tranquille carezze che spaventano l’utile e però non l’essenziale.

Sono giorni che miriadi di farfalle dalle ali arancioni, bianche e gialline fanno il girotondo tra i pensieri, come piume scintillanti e baci leggeri sulla pelle stanca e provata. Sono a loro grata perché mi ricordano che c’è ancora molto bellezza da vivere, posso ancora volteggiare nell’incontaminato ora al di là ed oltre stretti tunnel di confinante scoramento, arcigno precluso, escluso a priori e l’unica frenesia a compagna quella incolta e selvaggia dei bambini che non attecchisce invero distrattamente, piuttosto con la naturale gamba tesa di chi coglie opportunità che gli appartengono, potando, sradicando, rinvasando nel fischiettare scanzonato di scelte in piena e più equa spensieratezza, genialità d’impulso e autentico senso. 

Giulia Quaranta Provenzano

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