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Dentro l’ospedale di Tortona don Pietro Sacchi sta vicino ai malati di Covid portando amore. La sua testimonianza


Questa missione da “cappellano” nell’ospedale cittadino è stata possibile grazie agli interventi del Vescovo diocesano, Mons. Vittorio Viola, e del Superiore Provinciale, Don Aurelio Fusi, entrambi in contatto con le autorità comunali e ospedaliere di Tortona.

La notizia è stata data dal sito ww.donorione.org la cui riproduzione di foto e testi è riservata tranne per chi – come Oggi Cronaca – è in possesso dell’autorizzazione.


Don Sacchi, ha raccontato come è andato il primo giorno di questa nuova esperienza: «Ho fatto il primo giro nei reparti. Sono subito partito dalla rianimazione, dopo è stato il turno della Medicina e della Chirurgia, che in realtà ormai ospitano anch’esse pazienti Covid. La vera differenza si nota nelle 12 stanze dedicate alla rianimazione, con gli intubati: lì posso solo benedire. Nelle altre stanze mi reco con il formulario delle confessioni: uso la 3° formula, il 3° capitolo è quello che prevede Papa Francesco per le confessioni comunitarie».

«Oggi – racconta ancora don Sacchi – è stato il mio secondo giorno. Abbiamo iniziato un bellissimo progetto con i tablet, per fare in modo che qualche paziente, soprattutto quello più anziani che da oltre 15 giorni che non potevano sentire i parenti, potessero finalmente fare loro una videochiamata. A pranzo sono stato con i medici e gli infermieri, perché in questo contesto siamo a tutti gli effetti una famiglia e stando insieme ci carichiamo a vicenda. Loro mi hanno istruito, mi hanno fatto un corso su come vestirmi e svestirmi. Mi hanno spiegato che la cosa più importante e delicata è la svestizione, perché bisogna stare attenti a come si va fuori.  Qui indossiamo una tuta che ha un doppio strato, un doppio calzare, degli occhiali di plastica, una cuffia verde e un cappuccio sopra la cuffia. Io ho indosso anche una bellissima croce di legno che era una copia della croce di Tonino Bello, che mi diedero dopo una missione a Carapelle, ed è l’unico elemento che mi contraddistingue, per capire che non sono un sanitario ma sono un sacerdote»

«Dopo il pranzo – aggiunge – faccio l’esposizione del Santissimo. La cappella è prevalentemente vuota, ma ogni tanto qualche medico, qualche infermiere, qualche malato si affaccia alla balconata della cappella che è su due piani. Poi alle 15 celebro la Messa, e due o tre persone partecipano sempre. Teniamo in questo modo viva la liturgia, alla fine dell’adorazione eucaristica benedico tutto l’ospedale. La gente mi incontra con grande gioia, i medici sono contenti, si fermano a parlare, e anche chi non chiede il sacramento, non chiede la confessione, vuole fare una chiacchierata e questo fa molto piacere anche a me. Io non ho contatti fisici, sto molto in sicurezza, seguo le istruzioni che mi hanno dato e anche quando uso il tablet ho a disposizione tutti i mezzi per non far entrare in contatto le mani. Nonostante tutto, è una bella esperienza, pregate per me perché ne ho bisogno. Io, non ometto di pregare per voi»

Alla testimonianza ha voluto rispondere anche il Direttore generale dell’Opera Don Orione, Padre Tarcisio Vieira: «Il 10 marzo ho scritto alla Famiglia: “Facciamo rivivere in noi quello spirito di Don Orione pronto ad accorrere per portare soccorso a chi era colpito da grandi calamità, quella sua disponibilità per imprese grandiose. Ricordiamo che, durante la Prima guerra mondiale, forse in occasione del terribile flagello dell’influenza chiamata ‘spagnola’, essendo venuto a mancare il cappellano di un ospedale per l’isolamento degli ammalati (lazzaretto), Don Orione scrisse al responsabile di quell’ospedale: “Prego Vostra Signoria un favore: permettermi di assumere la cura spirituale del Lazzaretto (…). Occorrendo, io passerò là la notte e il giorno” (Scritti 68, 36). Forse non ci sarà permesso un tale sacrificio e generosità. Ma, “Sentiamo il grido angoscioso di tanti nostri fratelli che soffrono, sentiamo il grido delle anime che anelano a Cristo. E che la carità, o fratelli, ci edifichi e unifichi in Cristo, quella carità che non s’arresta, che non vede barriere, che è onnipossente e trionfatrice di tutte le cose”. A te, caro Don Pietro, è stato permesso un tale sacrificio… Grazie a nome di tutta la Famiglia Orionina!».

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