L’Italia è stato il primo paese europeo ad essere travolto dalla pandemia, ma rischia di essere l’ultimo ad intervenire a sostegno delle imprese e a tutela degli assets strategici nazionali con conseguenze drammatiche sul post – coronavirus.
Ad un mese di distanza dall’adozione del primo provvedimento per contrastare gli effetti della pandemia, si attendono con urgenza misure a sostegno delle imprese e a tutela degli assets strategici nazionali.
In primis, urgono aiuti di stato di entità ed estensione almeno pari a quelli adottati da altri paesi europei e, con altrettanta celerità, considerati anche gli allarmanti richiami del Copasir, deve essere estesa la disciplina in materia di golden powers per evitare le prevedibili (e previste) speculazioni su imprese di interesse strategico nazionale.
Gli aiuti di Stato
Nelle ultime due settimane si sono moltiplicate le notifiche alla Commissione europea di richieste di approvazione di regimi a sostegno delle imprese e le relative decisioni di autorizzazione in tempo quasi reale.
I governi dei principali Stati europei hanno previsto diverse forme di aiuto: dalle sovvenzioni dirette alle garanzie sui prestiti e/o alla previsione di tassi di interesse agevolati fino agli anticipi rimborsabili.
Gli importi stanziati offrono un quadro particolarmente eloquente della serietà degli interventi. La Francia ha previsto 700 milioni di euro sotto forma di garanzia sui prestiti, cui si aggiunge un’ulteriore misura che intende mobilitare fino a 300 miliardi, e sovvenzioni dirette per 1,2 miliardi. La Germania ha previsto 45 miliardi di sovvenzioni dirette e tre diversi regimi di garanzia sui prestiti per tutte le imprese. La Spagna ha stanziato 20 miliardi, il Portogallo 3, il Regno Unito ha introdotto due diverse misure, 654 milioni di sovvenzioni dirette per le piccole medio imprese ed un regime di garanzia sui prestiti, mentre l’Irlanda ha stanziato 200 milioni di euro sotto forma di anticipi rimborsabili.
Se anche più lontani dal nostro modello economico, non possono trascurarsi gli interventi dei Paesi nordici che, almeno ad oggi sono senz’altro i meno afflitti dall’emergenza sanitaria. L’Estonia ha già previsto aiuti per 1,55 miliardi suddivisi tra misure di garanzia, prestiti per capitale di esercizio e prestiti per investimenti; la Lettonia ha introdotto garanzie sui prestiti per 250 milioni e così la Danimarca per un valore complessivo di circa 140 milioni di euro. Proprio la Danimarca, peraltro, prima che la Commissione introducesse un temporary framework per l’erogazione di aiuti di stato nel contesto della pandemia, e prima ancora che il contagio avesse serie ripercussioni economiche sul Paese, ha chiesto alla Commissione, ed ottenuto in 24 ore, l’autorizzazione per aiuti di importo pari a 12 milioni di euro destinati alle imprese costrette a cancellare eventi.
L’esempio danese conferma, oltre alla nota virtuosità dei governanti, che gli strumenti c’erano e ci sono: è sufficiente attivarli.
Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, infatti, prevede che sono compatibili con il mercato comune gli aiuti “destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali” (art. 107, paragrafo 2, lett. b)). La Francia, ad esempio, ha fatto ricorso a questa previsione per consentire alle compagnie aeree titolari di licenza per operare in Francia il differimento del pagamento delle tasse aeronautiche dovute da marzo a dicembre 2020. Ma non solo. Un’altra disposizione, ai sensi della quale le misure sopra descritte sono state approvate stabilisce che sono compatibili con il mercato interno gli aiuti destinati a “porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro” (art. 107, par. 3, lett. b)).
L’Italia, ad oggi, ha previsto sovvenzioni dirette solo per 50 milioni di euro e solo per le imprese che operano, o decidano di operare, nel settore della produzione di dispositivi medici e di protezione individuale. Per le piccole medio imprese attive in tutti i settori, invece, è di pochi giorni fa un l’introduzione di un regime di garanzie sui prestiti del valore di 1,73 miliardi con un assunzione del rischio da parte dello Stato pari al 33%.
Non vi è chi non veda che occorre di più e “Whatever it takes”. Le misure devono essere draghoniane (i.e. alla Draghi e non alla Dracone) in tutti i campi a cominciare dagli aiuti per ripartire.
I golden powers
I golden powers sono i poteri speciali di intervento del Governo, quali il veto o l’apposizione di misure e condizioni, su operazioni di soggetti non europei con effetti sugli assetti societari nei settori nazionali c.d. strategici.
Quasi tutti gli Stati membri dispongono di una legislazione analoga a quella italiana che consente un controllo strategico sui foreign investments, intendendo per foreign i soggetti extra UE, e tutti si stanno adoperando in due direzioni: estendere il concetto di foreign anche ai paesi europei ed allargare il novero degli assets da considerare strategici.
La Spagna lo ha già fatto. Ieri è stato approvato un regio decreto-legge che estende l’applicazione della disciplina alle acquisizioni che eccedono il 10% del capitale sociale di entità spagnole che operano in settori strategici, anche da parte di investitori residenti nell’Unione Europea e nello Spazio Economico Europeo.
In Italia, sono trascorse settimane da quando il Copasir ha lanciato l’allarme, mentre la prima traccia scritta di un intervento di revisione della disciplina in materia di golden powers si legge solo negli emendamenti presentati al decreto Cura Italia e pubblicati martedì.
Con gli emendamenti in questione si propongono due interventi assolutamente opportuni. Innanzitutto, autorizzare Cassa Depositi e Prestiti ad acquistare titoli, obbligazioni e capitale sociale, anche in deroga ai limiti statutari, delle imprese operanti in settori di rilevanza strategica e delle aziende il cui marchio sia stato definito ”marchio storico”, nonché di quelle di alto valore per le filiere produttive italiane, al fine di preservarne la produzione in Italia.
In secondo luogo, si propone di estendere la disciplina golden powers ai settori del credito e delle assicurazioni, oltre a quelli già considerati strategici della difesa e sicurezza nazionale, inclusi quelli ad alta intensità tecnologica, dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni.
Che nel decreto Cura Italia o in altro provvedimento ad hoc, è ora di intervenire su questa disciplina, come ha invitato a fare anche la Commissione europea lo scorso 26 marzo.
Per effetto della pandemia nuovi settori sono diventati strategici: in primis banche e assicurazioni, ma anche aziende farmaceutiche e di tecnologia ospedaliera e, considerando il prezzo del grano superiore a quello del petrolio, potrebbero essere considerate tali anche le imprese operanti nel settore agroalimentare. Non solo. Almeno durante l’emergenza, le acquisizioni, di soggetti europei e non, di questi assets strategici devono essere sospese. Nel contesto attuale, infatti, le tradizionali regole economiche non trovano applicazione e le speculazioni sono tutt’altro che una possibilità teorica.
Osservazioni conclusive
È chiaro che non esistono aiuti alle imprese o ricette economiche scevre da vizi e imperfezioni. È altrettanto evidente che gli equilibri geopolitici mondiali nel prossimo futuro non sono prevedibili.
Tuttavia, non agire e non farlo in fretta può avere conseguenze disastrose e, come Voltaire, uno dei padri dell’illuminismo ci ha insegnato, a volte il meglio è nemico del bene.
È doveroso, in continuità con quanto stanno facendo altri Paesi europei, erogare aiuti seri alle imprese e alle famiglie, per evitare che il post – pandemia sia peggiore della pandemia e i sopravvissuti al virus muoiano di fame.
È altrettanto doveroso, seppure in via eccezionale e temporanea, proteggere seriamente le imprese strategiche nazionali, evitando che mentre l’Italia è impegnata nella conta dei caduti, altri siano impegnati a defraudarne le spoglie.
Quando potremo uscire di casa, dovremo ripartire e dovremo avremo qualcosa da cui farlo, possibilmente nostro.
Francesca Zambuco