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Nessun funerale a Tortona per il clochard morto dal freddo che ha rifiutato ogni aiuto. La storia di Fanica

I buonisti e i falsi buonisti che pensavano di “lavarsi la coscienza” insultando il nostro giornale sui social perché abbiamo semplicemente scritto la verità su quanto accaduto a Fanica Barani, il vagabondo di 48 anni, morto dal freddo una settimana fa, possono continuare a vivere col loro rimorso, perché avevamo ragione.

Fanica Barani non si è certamente ucciso, però non ha fatto nulla per impedire che il freddo della notte lo facesse morire, rifiutando, a quanto pare, tutti gli aiuti che i tortonesi gli avevano offerto.


Questo emerge a una settimana di distanza dalla sua morte e conferma quanto abbiamo scritto noi, e cioé che Tortona, é una delle poche città in cui la solidarietà è massima ed è uguale per tutti senza distinzione di pelle o nazionalità e non era mai accaduto che un vagabondo morisse di freddo, perché le possibilità di essere soccorsi sono tante e i volontari che aiutano veramente gli altri non polemizzano certo sui social, anzi.

Chi lo ha polemizzato e insultato sui social, evidentemente ha la coscienza sporca, e ce l’ha perché si sente colpevole – come la maggior parte delle persone – di essere egoista e pensare solo a sé stesso. Ed è per questo motivo che quando accadono gravi episodi come quello della morte di un senzatetto come Fanica, gli egoisti spargono merda addosso agli altri, accusando il mondo di essere ciò che sono loro (cioé egoisti) perché hanno lasciato morire un pover uomo dal freddo senza fare nulla.

In realtà non è così, perché tante persone hanno cercato di aiutare il clochard e chi è abituato a fare del bene, pur nel dolore di una morte improvvisa come quella di Fanica (Stefano in italiano), non ha nulla da rimproverarsi; così come non ha nulla da rimproverarsi Oggi Cronaca per quello che abbiamo scritto e per quello che scriviamo ogni giorno sulla società di oggi, perché è solo e soltanto la verità.

I falsi buonisti che insorgono (e siamo il termine falsi buonisti anche se non è corretto perché solo così i lettori identificano quelle persone subdole e ipocrite che guardano solo all’apparenza e al loro tornaconto personale e non agli altri) possono andare a quel paese e smettere di leggere il nostro giornale scegliendo alti quotidiani che non sbattono loro in faccia la realtà come facciamo noi ma li fanno sentire a posto con la loro coscienza.

LA STORIA DI FANICA

Ad una settimana di distanza emerge che il clochard non era solo: aveva una sorella in oltrepo’ pavese, sposata con un italiano, poi un fratello in Romania e un’altro in Irlanda, ma soprattutto tante persone hanno cercato di aiutarlo.

Come conferma il sindaco di Tortona Federico Chiodi “si trattava di una persona nota ai servizi sociali che da tempo tentavano in ogni modo di convincerlo a farsi aiutare, senza successo; aveva smesso di frequentare sia il dormitorio che la mensa dei frati cappuccini”.

Ma non c’è solo questo.

Come è noto, il presidio della Polizia ferroviaria di Tortona è stato chiuso da tempo, ma la notte in cui è deceduto Fanica, secondo quanto è stato riferito da alcuni agenti della stessa Polizia Ferroviaria di Alessandria che erano in servizio alla stazione di Tortona, hanno offerto al rumeno di trascorrere la notte all’interno della sala d’aspetto: l’avrebbero lasciata aperta apposta per lui. Fanica inspiegabilmente, ha rifiutato preferendo dormire su una panchina piuttosto che all’interno della sala d’aspetto, dove però non avrebbe potuto coricarsi se non solo per terra perché la sala d’aspetto è composta costituita solo da sedie in metallo a singolo posto, ma avrebbe potuto salvarsi.

In aggiunta a questo importante particolare, alcuni volontari del Dormitorio pubblico di Tortona che si trova davanti alla stazione a dieci metri di distanza dal luogo in cui è morto Fanica, hanno confermato che quella sera c’erano ancora due posti liberi sui 13 disponibili e più volte avevano invitato l’uomo ad entrare per trascorrere la notte.

Non c’è alcuna conferma che Fanica avesse con sé un cane e per questo gli era stato impedito l’accesso al Dormitorio anzi, nessuno lo aveva mai visto con un cane al seguito.

Prima di arrivare a Tortona il clochard aveva vissuto alla frazione San Michele di Alessandria: perché si sia trasferito a Tortona, non lo sappiamo, quel che è certo però, è che viveva a Tortona sulla panchina dei giardini che vedete in alto, almeno dalla scorsa primavera quando è stato segnalato ai servizi sociali del Comune e anche al nostro giornale, unico che aveva portato all’attenzione pubblica questa grave situazione di indigenza.

Anche allora siamo stati coperti di insulti perché la gente non ha ancora capito che le nostre segnalazioni non sono fatte per allontanare i barboni, ma semplicemente per fa sì che chi di dovere si accorga di loro e li aiuti.

Fanica però non ha voluto farsi aiutare. Non sappiamo perché: di lui sappiamo solo che era il primo di 4 fratelli e che la morte del padre avvenuta in Romania due anni fa, deve averlo veramente scosso.

Il funerale di Fanica non verrà fatto a Tortona: la sorella e i due fratelli  si sono consultati e hanno preso la decisione di rimpatriare la salma in Romania e fare lì i funerali. Don Ivo Piccinini, parroco della frazione San Michele di Alessandria, si era offerto di celebrarli lui e seppellire lì, a sue spese, la salma del clochard.

La sorella però ha riferito che Fanica era ortodosso per cui è stato contattato il sacerdote della parrocchia ortodossa di Tortona che avrebbe celebrato il rito funebre, ma alla fine fratelli e sorella hanno deciso per il rimpatrio. Domani durante la messa domenicale nella parrocchia della frazione San Michele di Alessandria, Don Ivo ricorderà la figura del clochard.

Sulla base di tutte queste informazioni raccolte e sul fatto che, a quanto pare, in tanti avrebbero cercato di aiutarlo, ipotizziamo che diventare clochard e vivere in quella maniera, sia stata libera scelta di Fanica.

Il motivo non lo sappiamo ma è facile credere che – in qualche modo – sia stato schifato da questa società egoista e abbia scelto di vivere per conto suo e fuori dagli schemi.

Ci piace pensare che questo fosse il suo modo per ribellarsi ad una società dove chi ha successo non è per merito proprio ma per conoscenze, parenti e amici e che forse abbia deciso a farlo fino all’estremo, rifiutando ogni aiuto anche se sincero e disinteressato, pur sapendo i rischi che correva.

O forse, semplicemente, non aveva trovato più nulla per cui valesse veramente la pena di preservare la sua vita e aveva smesso di combattere una società dove i più ricchi vincono sempre e dove i veri valori della vita sono ogni giorno più offuscati, nascosti dall’egoismo, dal Dio denaro e da chi vuole continuamente apparire.

Così lui, forse, ha cercato di nascondersi e, rifiutando ogni aiuto, aveva deciso di lasciare al destino la scelta di come e quando “portarselo via”.

Chi scrive ha fede in Dio ed è convinto che adesso, Stefano, soffrirà sicuramente di meno.

Angelo Bottiroli

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