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Allarme inquinamento, Alessandria al secondo posto secondo Mal’Aria

Il problema delle emissioni delle polveri sottili è una costante ad Alessandria che ha “conquistato”, in base al rapporto Mal’Aria stilato da Legambiente, un poco edificante secondo posto nella classica delle città più inquinate d’Italia per sforamenti di PM10: 53 allo scorso 15 settembre, 18 in più del limite di 35 previsto e 2 in meno rispetto a Torino, che detiene la maglia nera.

A favorire lo smog nelle città è l’azione combinata dei cambiamenti climatici, del traffico e della ridotta disponibilità di spazi verdi che concorrono a combattere le polveri sottili e gli inquinanti gassosi.


“Di fronte all’evidente cambiamento del clima in atto – afferma il Presidente Coldiretti Alessandria Mauro Bianco – non si può continuare a rincorrere le emergenze, ma bisogna intervenire in modo strutturale favorendo nelle città la diffusione del verde pubblico e privato. Dobbiamo tenere ben presente che negli ultimi venti anni è sparita quasi una pianta da frutto su quattro, un gravissimo danno produttivo e ambientale per il ruolo che svolgono nella mitigazione del clima anche ripulendo l’aria dall’anidride carbonica e dalle sostanze inquinanti come le polveri PM10”.

Determinante quindi il ruolo positivo della frutticoltura nella tutela dell’ambiente, proprio per la capacità di catturare Co2, il quale potrebbe ulteriormente crescere grazie all’adozione di tecniche colturali finalizzate alla lotta all’inquinamento.

“Una svolta importante sarebbe mettere più frutta italiana nelle bibite per far tornare conveniente piantare alberi sarebbe la vera svolta green che aiuta l’ambiente, la salute e l’economia e l’occupazione Made in Italy invece di continuare a tollerare la presenza nelle bevande analcoliche di appena il 12% di frutta senza neanche l’obbligo di indicarne la provenienza, con un inganno per i consumatori ed un danno per i produttori”, ha aggiunto il Direttore Coldiretti Alessandria Roberto Rampazzo. Le emissioni inquinanti, se non verranno ridotte entro la fine del secolo, potrebbero causare un calo del 20% della produzione di grano, del 40% di quella della soia e addirittura del 50% di quella del mais. Ma i cambiamenti climatici hanno un impatto negativo anche sullo stesso valore dei terreni che potrebbero subire una perdita tra il 34 e il 60% nei prossimi decenni rispetto alle quotazioni attuali proprio a causa dell’innalzamento delle temperature, che minaccia anche i redditi agricoli e rischia di far aumentare la domanda di acqua per l’irrigazione dal 4 al 18%.

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