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Le recensioni di Marco Candida: Favole del morire, di Giulio Mozzi Laurana Editore

Favole del morire di Giulio Mozzi è il libro più uniforme e compatto che abbia letto negli ultimi tempi. Potrà apparire una bêtise o al limite una boutade dato che dentro ci sono versi, testi teatrali e prosa; ma non lo è.

Diremmo mai che Shakespeare è un impostore? No, però diciamo che Shakespeare è un grande poeta. E diciamo anche che Shakespeare è un grande drammaturgo. Quindi Shakespeare è un grande drammaturgo, ma è anche un grande poeta. La cosa, ci diciamo, non fa alcun problema. E, invece, qualche problema, forse, lo fa. Quando diciamo che Shakespeare sta accanto a Omero e a Dante e poi a Goethe, lo diciamo riferendoci alla grandezza e alla bellezza della sua opera. Partendo dalla forma teatrale Shakespeare ha fatto poesia. Proviamo, però, a rovesciare la prospettiva. Shakespeare era già un poeta.  E si è servito della forma teatrale. Perciò Shakespeare non era e non è mai stato un drammaturgo. Era un poeta. Shakespeare era un impostore.


Favole del morire presenta versi e prose e testi teatrali. Se si presta attenzione la sequenza è un testo in versi e uno in prosa. Anche nella raccolta “Fantasmi e fughe” qua e là ci sono versi. Anche ne “Il Male Naturale”. Ma qui la regolarità è tale da permettere di far luce sui misteri del modus operandi di Giulio Mozzi. L’autore che gioca a nascondino col lettore arriverà sempre a un punto in cui cercherà di farsi trovare. E’ matematico. E’ Agatha Christie. E’ Hitchcock. E infatti lo stesso Mozzi in Favole del morire versifica Sherlock Holmes. Sarà un caso o un desiderio inconscio di farsi scoprire? Attenzione, perché, fuor di questa oziosa metafora, parliamo di sentimenti brucianti. “Farsi scoprire” in arte significa “farsi capire”. Significa “farsi apprezzare” oppure “chiudere”. Mozzi non è un prosatore. E’ un versificatore. Ecco qui. Per questa recondita ragione quando leggiamo qualcosa di Giulio Mozzi rimaniamo sempre un po’ straniti, meravigliati, sbalorditi. Il Male Naturale, Fiction, La Felicità Terrena. Tutti versi. Messi in prosa. Ma sono versi.

Come si fa a mettere versi in prosa? Si mettono punti. Si mettono virgole. Si mettono punti e virgola. Già, la punteggiatura. Quella cosa “inutile” di cui il Giulio Mozzi nella sua veste di insegnante di retorica e narrazione troppo spesso parla. O il Giulio Mozzi amante della manualistica. Quel Giulio Mozzi che si trova come in una casa delle bambole quando, nella sua altra veste di consulente editoriale, si muove in una casa editrice di manualistica. Sì, perché cosa sono i manuali se non testi fatti di prosa e di versi? Sembrerà un’altra oscenità, ma molti manuali, i più chiari, i meglio fatti sono simili a La Vita Nova di Dante. Sì, perché il “verso”, come ripete a noia il Mozzi insegnante citando Pasolini, significa “andare a capo”. Una poesia è un testo dove si va a capo un po’ prima di un testo di prosa. Questa la differenza. Allora se la differenza sta qui, quantomeno il resto può tranquillamente essere una somiglianza. Perché allora non scrivere un testo che “va a capo dopo” fatto di endecasillabi o dodecasillabi? Perché non mantenere il passo, l’andatura di un testo “dove si va a capo dopo” anche in un testo “dove si va a capo prima”?

Basta andare a capo prima oppure basta andare a capo dopo.

Ecco perché Favole del morire è un testo uniforme e compatto.

Ci sono testi in prosa e testi in versi, ma la sola differenza è che si va capo prima e si va a capo dopo. Punteggiatura. Esteriorità. Straniscono perché il lettore è abituato a un’esteriorità differente. Ma, se ci si accorge del trucco, possiamo accenderci tranquillamente la pipa, rilassarci sulla poltrona e dire: “Elementare, Watson”.

In un momento di crisi della poesia, la quale sembra totalmente scomparsa, Mozzi ha compreso che l’unica via è la mimetizzazione. Scrive poesia sottoforma di prosa. Si fa chiamare con molti nomi – scrittore, narratore, insegnante. Ma Giulio Mozzi è Alessio Paša. Giulio Mozzi è William Shakespeare. Giulio Mozzi è la storia della grande letteratura. 

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Ma non c’è solo la forma. La forma è ciò che permette di ottenere un certo effetto sul lettore. Un effetto straniante o un effetto rassicurante. Ci sono anche i contenuti. I contenuti fanno la differenza. I contenuti permettono di stabilire se siamo difronte a un’artista o a un giocoliere. Anche qui Favole del morire ci fornisce chiavi interpretative. Qual è il mondo di Mozzi? Mozzi si occupa di spazi circoscritti. Giardini. Muri. Pavimenti – Sotto i cieli d’Italia. Stanze. Uffici postali. Forme architettoniche definite – come in Sotto i cieli d’Italia. In effetti siamo continuamente delimitati e incubati dentro uno spazio. Questa spazialità definisce i nostri comportamenti e le nostre storie. Se prendessimo Raskolnikov o il Conte di Montecristo e li mettessimo in una foresta o in mezzo al deserto, certamente i loro comportamenti cambierebbero. Mozzi ancora una volta è attento all’esteriorità. O almeno, questo aspetto è presentissimo. Importa poco l’indelicatezza di attribuirgli un’intenzionalità. La spazialità determina i nostri comportamenti. La forma determina la percezione. La percezione agisce sul processo decisionale. Fare e come fare.

La stanza degli animali è una stanza di fantasmi, ossessioni. Anche qui i fantasmi diventano oggetti, hanno un corpo, una forma visibile, palpabile. Senza questa delimitazione, questo luogo, non ci sarebbe dramma, storia. E’ la stanza il motore di tutto. Di tutte le possibili interpretazioni. La delimitazione. Il luogo. Credo che se si capisce questo, di Mozzi, il resto viene di conseguenza. Anche in Tre invocazioni. C’è l’albero. C’è la casa. C’è la chiesa. Luoghi ancora una volta. Luoghi magici. Che determinano. In effetti i nostri comportamenti, oggigiorno, mutano incessantemente in relazione ai luoghi.

Il libro è breve e rivela molto dell’autore Mozzi. La forma, come detto. Non solo per l’alternanza che permette un raffronto e permette di accorgersi delle somiglianze. Ma anche perché i testi di prosa sono brevissimi. Sono appunto poesie in forma di prosa e viceversa – e Emilio delle tigri se n’è andato è una marcia. E poi per i contenuti. Chi ama Mozzi deve possedere questo scrigno di chiavi interpretative. Assolutamente.

Marco Candida

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