Prendiamo l’attacco del terzo racconto “Andante crociera”. “Con un paio di amici argentini vivevamo a Gulpen, una cittadina del sud dell’Olanda, nella regione Limburg. Un giorno, non so per quale motivo – forse perché si trovava sulle rotte del Grande Nord, o perché avevamo nostalgia delle montagne – comprammo tre biglietti per la Norvegia. Destinazione Stavanger. Il traghetto salpò al tramonto da Amsterdam, infilò il Nordzeekanaal e costeggiò la cittadina di JImuiden, con le sue case di mattoni e i bunker della seconda guerra, il porto affollato di pescherecci e gru, con la spiaggia e i quartieri di Zeewijk” O il secondo paragrafo del quinto racconto dal titolo “Un taxi a Utrecht”: “Utrecht è al centro dell’Olanda, ripeteva il professore indicandola sulla carta geografica. Utrecht, ragazzi, sta con precisione millimetrica al centro dell’Olanda e ha il campanile più alto dell’Olanda.” Poi c’è il secondo racconto dal titolo “Carlos Paz”, dove ci sono capitoletti intitolati “La Germania”, “La Spagna” oltre a “Il Piemonte”.
“Carlos Paz e altre mitologie private” di Marino Magliani fa venire voglia di pensare che dovrebbero sempre essere gli autori italiani a scrivere storie ambientate all’estero. A parte qualche eccezione come La neve nera di Oslo di Luigi di Ruscio o Norvegia di Angelo Ferracuti, e Tabucchi e Magris, i paesi stranieri ci arrivano, come sappiamo, grazie alle traduzioni. Ma se ci si riflette, un libro straniero presenta una sorta di doppio esotismo che lo rende sempre un po’ oscuro: sono stranieri, infatti, sia la storia che l’autore. Pertanto, non solo risultano stranianti le ambientazioni e i personaggi della storia, ma straniante risulta anche il modo di condurre la narrazione, la scelta di privilegiare alcuni fatti anziché altri, lo sguardo. Diventa difficile sentire una storia come realmente nostra, familiare, vicina. E invece le storie migliori sono forse quelle dove elemento familiare e fattore straniante si incontrano e confrontano trovando un punto d’intesa. Un equilibrio.
Questo accade di continuo, ad esempio, nel
giornalismo. A nessuno verrebbe in mente di doppiare i cronisti della Cnn o
della Fox News affidandosi a loro per le notizie dall’estero. Né di tradurre il
New York Times o il Guardian o, quantomeno, gli estratti più significativi da
inserire nel Corriere della Sera, nella Repubblica o nella Stampa. S’inviano
cronisti italiani in terra straniera e il loro compito è selezionare i fatti e
raccontarli ovviamente filtrandoli anche in base alle loro sensibilità di
compatrioti. Con la letteratura, la faccenda va diversamente. Eppure, vengono
in mente autori che qualcosa del genere hanno tentato: Hemingway, Chatwin,
Kapuściński. Autori di grande livello.
Altro punto di forza di questa raccolta è l’attualità. L’io narrativo di
Magliani è sradicato. Scappa di casa da molto piccolo. Finisce in un collegio
piemontese, lui che proviene da un paesino ligure che si chiama Dolcedo. E poi
comincia, da buon emarginato, a viaggiare, viaggiare. Gira l’Europa. Fin quando
non approda in Olanda, e lì si ferma. Quale meta più adatta per un viaggiatore?
L’Olanda di Erasmo da Rotterdam. L’Olanda che fondò New Amsterdam negli Stati
Uniti d’America. Mentre Magliani emigra, ne succedono, come da copione, di
tutte.
Molto intenso e vero è il racconto “La pozzanghera”. Si tratta della lettera di
un padre al figlio. Ecco l’incipit: “Caro Ramoncito, non credere che il motivo
per cui mi rivolgo a te sia dettato dal fatto che sei l’unico ad avere
gratificato il mio sacrificio. Pensavo bastasse mandare dei dollari a casa per
fare studiare i figli, evidentemente non è così. Vedi con che tono inizio, sono
fin da subito il padre che distribuisce le colpe”. La lettera parla di un padre
che, pur di mantenere la famiglia, si presta ai lavori più degradanti e
pericolosi. Leggiamo. “Eravamo in nove, tutti peruchos, tutti dell’altipiano,
nove fantasmi senza passaporto. Io andavo ai telefoni pubblici, e da lì
chiamavo l’alimentari di Juanito Bocella che era l’unico della calle ad avere
il telefono. Tua madre mi diceva che i soldi erano arrivati. 350 dollari che la
Compagnia vi mandava senza fiatare. Un olandese in regola sarebbe costato loro
sei volte tanto, e avrebbe lavorato la metà di uno di noi”.
Ecco l’attualità della raccolta. Anche in queste poche righe abbiamo un padre
pronto a tutto pur di mantenere la famiglia – e questo può riguardare ciascuno
di noi; e racconta la vita del migrante – e questo concerne, come siamo in
grado di cogliere facilmente, problematiche della più stretta attualità.
Il talento narrativo di Magliani è innegabile. D’altra parte, il talento è
moneta che oggigiorno va perdendo valore. La bellezza di un’immagine. La
limpidezza di una descrizione. Diciamo che vengono al primo posto, ma forse
ormai sono state declassate al terzo se non al quarto. Eppure, è magnifico
costatare la bravura dell’autore, lo sguardo che sa farsi sottilissimo
cogliendo particolari che valgono pagine di descrizioni. “Sabbia”,
il primo racconto della raccolta, è, in questo senso, un florilegio. Ma anche
“Le carte” offre una piccola immagine che sembra da niente, ma rimane lì,
inspiegabilmente, evocando ed evocando. “Il mazzo chiuso da un doppio giro di
elastico stava accanto alla macchinetta del caffè, il vapore lo danneggiava e
le carte, spesse e plastificate, seccavano. […] Quando chiusero l’osteria del
rettilineo e andammo a giocare nell’altro bar sul ponte, le carte stavano sulla
mensolina di marmo della finestra e prendevano l’umidità degli spifferi. Le
carte devono stare in un posto asciutto, diceva il vecchio.”
Mitologie private, dice il titolo della raccolta. E, sì, la raccolta di
racconti su di questo certamente verte: i fantasmi dell’autore. Ossessioni
vere. Basti sapere che almeno in otto o nove racconti l’autore si rimette a
raccontare la sua storia da quando è bambino a Dolcedo, fino ai giorni di
collegio in Piemonte e ai soggiorni nei vari paesi europei.
Pagina 103 dal racconto “Notti di Sorba”. “Un giorno da Dolcedo scappai.
Dovevamo andare in mensa e io non mi presentai. Camminai e corsi per delle ore
e alla fine mi ritrovarono seduto su un muretto”. Pagina 186 dal racconto
“Corsica Ferry”. “Quando l’ho capito, e ho avuto paura, sono scappato di casa.
Il primo tentativo risale al 1969. Terza elementare. La scuola era a Dolcedo,
il paese dove sono nato. Finite le lezioni si andava in mensa. Un giorno,
approfittando di un momento di disattenzione della maestra, sono uscito dalla
fila. Quando se ne sono accorti ero lontano. Mi hanno trovato in un paesino che
si chiama Isolalunga, mezzo affamato.Non seppi spiegare perché ero scappato.
Potevo dire semplicemente la verità: ho avuto paura e sono scappato”. Pagina 27
dal racconto “Carlos Paz”. “Un giorno da un ripetente sentii dire che in
Piemonte, oltre ai campi di granturco e le pianure, c’era un collegio, un posto
da fiaba dove ti promuovevano alla grande e a perdita d’occhio anziché colline
d’ulivi erano cortili di asfalto con le linee dei campetti di calcio e
pallavolo […] Questo posto stupendo si trovava a Mondovì e da quel giorno
tormentai tanto mia madre che la convinsi a mandarmici […] Misi piede in
Piemonte verso la fine di settembre. Dopo Ponti di Nava c’era il cartello: Piemonte,
e il frate accostò al ciglio della strada […] Il collegio non mi piacque fin da
subito…”. Pagina 42 dal racconto “Andante crociera”. “Un giorno sentirai dire
che c’è un posto dove i bambini crescono assieme e giocano a calcio e
pallacanestro, d’inverno vanno a sciare, e allora chiederai a tua madre e tuo
padre di poterci andare. Partirai per il collegio l’ottobre 1968 all’età di
otto anni, ma te ne pentirai subito, ci starai da cani…”.
Leggiamo ancora. “Lei sta per sognare che nascerà a Dolcedo – [qui a parlare è
un angelo, ndr] – in un piccolo ospedale, domani che è il 29 di luglio dell’anno
1960, ma in Comune, che sono dei bradipi, specie quello in divisa, segneranno
il 30. La regione si chiamerà Liguria, cosa vuole sognare di più… l’aspetta una
bella luce di mare”. Già, che cosa si può voler sognare di più della luce del
mare…?
Queste parole sono tratte dal racconto surreale, ma meravigliosamente e
misteriosamente riuscito, “Andante crociera”, col quale abbiamo iniziato questo
breve compte-rendu e col quale lo concludiamo.
Carlos Paz e altre mitologie private, di Marino Magliani (Amos Edizioni; 2016).
Marco Candida