Qualcuno lo ha classificato fra i cinque posti più belli del mondo, il sito Virtual Tourist lo ha etichettato come l’ottava meraviglia del globo ma quello che è certo è che il parco delle torri del Paine è una meta irrinunciabile per chiunque ami l’escursionismo, i bei paesaggi, la natura. Le tre vette di granito che, verticali, arrivano fino a duemila metri di altezza, sono il simbolo del parco. Dichiarato Riserva della Biosfera dall’Unesco nel 1978, il parco ospita tantissime specie di animali, citiamo soltanto il condor andino, il nandù ed il guanaco. E’ un luogo la cui bellezza ti lascia letteralmente senza fiato ed una volta tornato a casa non fai altro che pensarci. “Ah, le torri del Paine”, “Ah, quella camminata fatta al parco delle torri del Paine”…Il problema è che tante volte, troppe volte, è flagellato da pioggia e da forti raffiche di vento. Noi, nella nostra due giorni al parco delle torri del Paine, siamo stati particolarmente fortunati, trovando una di quelle rare giornate che definire perfette è dire poco: caldo, sole, assenza di vento, il giorno in cui siamo andati al rifugio del lago Grey. Al lago Pehoè prendiamo un traghetto che in circa mezz’ora ci porta all’altro capo dove si trova anche il rifugio Paine Grande.
La camminata non si presenta affatto difficile, in leggera salita, costeggia il lago Grey e si possono ammirare vette imponenti e bellissimi fiori.E’ una emozione che solo il ghiacciaio del Perito Moreno, qualche giorno dopo, potrà eguagliare. Superata una selletta lo sguardo si apre su iceberg presenti nel lago. C’era tanta gente, alla partenza, tanta gente diretta nella nostra stessa direzione e tanta ne abbiamo incontrata che proveniva in senso inverso. Dopo una camminata di circa quattro ore, con poco dislivello, arriviamo al rifugio del lago Grey: si presenta subito accogliente, sembra di essere a casa. Io e mia sorella siamo in una camera da sei, oltre a noi ci sono un cinese, un neozelandese ed una coppia di giovanissimi americani. Il cinese ci parla entusiasticamente dell’Italia, meglio, delle Dolomiti che ha avuto occasione di visitare e di percorrere. Si dimostra un appassionato camminatore. I letti sono a castello, a due a due, i bagni in comune divisi fra quelli femminili e maschili. Alcuni passi dal rifugio e davanti a noi appare la vista immensa del ghiacciaio Grey, dritto davanti a noi a poche bracciate di mare. La dimensione dei suoi ghiacci è stupefacente. Attorno alla calotta principale, dalla classica forma frastagliata, ci sono sempre alcuni grandi iceberg che lentamente si allontanano dal massiccio per andare alla deriva. Ma è il rifugio a colpirmi, a restarmi nel cuore e nella mente: tantissimi giovani, persone di ogni nazionalità che in quel luogo eliminano ogni barriera.
Persone semplici e che fanno della semplicità la loro ragione di vita. La cena è squisita o forse è anche l’ambiente che la rende tale. Una sola cosa mi dispiace: non conosco l’inglese, costruisco a stento delle frasi abbastanza semplici data anche la mia limitatezza nei vocaboli. Dopo cena c’è chi canta, chi gioca a carte, chi studia gli itinerari per i giorni seguenti, chi si beve un boccale di birra. Certo che le previsioni per l’indomani non sono buone. Chiediamo alle persone che gestiscono il rifugio: ci dicono che le previsioni sono di una pioggerillina, non forte ma insistente, e di un vento che soffierà piuttosto forte. In linea con quanto letto prima di partire per il Cile, di viaggi alle torri del Paine di altre persone. Vado a letto un poco preoccupato. Dormo però benissimo e l’indomani arriva in un lampo. Guardo fuori dal rifugio: lo splendido sole del giorno precedente ha lasciato spazio ad un tempo assai nuvoloso. La speranza è che non piova, almeno che ci consenta di percorrere il tratto iniziale, quello più difficile, difficile in un contesto facile. Iniziamo il cammino di ritorno lungo lo stesso sentiero dell’andata. Ancora qualche fotografia. Lo spettacolo della natura, sebbene in condizioni metereologiche diverse, assai diverse, da quelle del giorno precedente, è sempre bellissimo. Il tempo che minaccia pioggia lo rende forse un poco malinconico ma lascia comunque senza fiato. “Comincia a piovere”, esclama mia sorella. Guardo il cielo preoccupato. Qualche goccia viene. Qualcuna. Non tante. Non è ancora tempo di mettere la mantella. Si va. Ci si mette più impegno, si cerca di avere un passo più veloce. Scopro, improvvisamente, di essere vecchio: sono sempre l’ultimo dei cinque. Penso che solo due o tre anni fa non facevo certo fatica nel camminare. Pur con tutti i timori legati al tempo ed alla pioggia, arriviamo ancora asciutti al rifugio Paine Grande, sulle sponde del lago Pehoe, dove attraccano i traghetti. Il rifugio vuole essere moderno, funzionale, ma immediatamente trovo una grande differenza con il rifugio del lago Grey e rimpiango, istintivamente, quest’ultimo.
Tanto mi era apparso accogliente quello tanto mi sembra freddo questo. E non solo perchè soffia un forte vento ed il cielo minaccia, sempre più insistentemente, la pioggia. Alla reception un avviso ci informa che, contattando il servizio del supermarket presente nel rifugio, ovviamente a pagamento, si possono avere sedute di streatching o diversi tipi di massaggio. I pasti si consumano in un self-service ma, lo annoto subito, non hanno la stessa qualità di quelli preparati al rifugio Grey. E non ci ritroviamo in famiglia come al rifugio Grey anche se il bar si presenta bene. Siamo, ancora, in una stanza sei letti: due degli ospiti non si presentano, gli altri due sono composti da una donna turca e da un uomo olandese. Nel pomeriggio, approfittando del tempo che continua a minacciare pioggia ma senza farlo concretamente, realizziamo una breve escursione, riuscendo ad ammirare altri e diversi ed ugualmente belli paesaggi. Il giorno dopo, con un forte vento, riprendiamo il traghetto e lasciamo alle nostre spalle il parco del Paine. La sera siamo nuovamente a Puerto Natales. Il giorno dopo ci aspetta l’autobus per portarci a El Calafate, Argentina, obiettivo il ghiacciaio del Perito Moreno.
Maurizio Priano