IL SENSO DELLA VITA
Perché viviamo? Che senso ha la nostra vita? Perché siamo nati in questo tempo e in questo luogo?
Quasi tutti, almeno una volta, ci siamo posti domande del genere.
Talvolta durante i periodi positivi, quando siamo ben disposti verso il futuro, siamo giovani e desiderosi di conoscenza, altre volte nei periodi bui, quando le settimane si susseguono uguali, il tempo scorre inesorabile e non succede nulla di nuovo.
Sono quelli i momenti in cui cerchiamo qualcosa che ci faccia vivere meglio: denaro, potere, successo, o forse anche qualcos’altro che ci manca, ma non sappiamo cosa.
Molti, in questi casi, sfogano la propria rabbia contro il destino che si è accanito contro di loro, altri cercano conforto nelle persone care, altri ancora si chiudono in sé stessi e riflettono. Tutti nel tentativo di cercare risposte alla nostra incapacità di apprezzare ciò che abbiamo, al fatto di non essere in grado di trovare un motivo per migliorare la nostra vita o qualcosa che ci faccia riavere l’entusiasmo perduto.
Queste reazioni, però, difficilmente migliorano il nostro status e così ritorniamo al quesito iniziale: perché viviamo?
Da sempre l’uomo ha cercato una risposta a questa domanda senza mai trovarla, forse perché la risposta non esiste.
Mangiare, bere, dormire, lavorare, fare sesso e divertirsi ogni tanto: ma possiamo davvero credere che la nostra vita sia soltanto questo? Non sarebbe un tantino riduttivo visto che non siamo animali?
Possiamo davvero accontentarci di un’esistenza del genere? Oppure desideriamo anche altro? E cosa?
I credenti pensano che lo scopo di vivere sia quello di fare bene in questo mondo per guadagnarsi il “passaporto” per un’esistenza futura, ricca di felicità, in quello che chiamiamo Aldilà, Paradiso, Giardini dell’Eden, Nirvana o in tanti altri modi.
La religione riesce a dare un senso profondo alla nostra esistenza, interpretandola come passaggio obbligato verso qualcosa di più bello e duraturo e ci dà la speranza di una vita migliore, soprattutto per le persone povere, alle quali infonde uno spirito di rivalsa: non possiedono la ricchezza materiale, ma hanno quella spirituale.
Nella religione si possono trovare buoni motivi per dare un senso alla nostra vita, per sentirci meno infelici, apatici e più ricchi spiritualmente; tuttavia non è necessario seguire una dottrina per credere in valori come onestà, amore, fede, coraggio e tanti altri, ed ergerli a scopo della nostra vita.
D’altro canto non è indispensabile essere religiosi per creare una famiglia, mettere al mondo dei figli e individuare nella continuazione della specie, il senso della propria esistenza.
Per molte persone lo scopo della vita è trovare l’anima gemella, ossia la persona da amare e che ci ami con la quale condividere la nostra vita e ogni momento di gioia o difficoltà; per altre potrebbe essere quella di creare qualcosa di buono con la famiglia o a livello professionale. Ci sono persone, infatti, che trovano una ragione per vivere nel lavoro che svolgono, perché non è fine a sé stesso, ma costruttivo e mirato a fornire qualcosa di cui gli altri hanno bisogno.
É il caso di insegnanti, medici, chirurghi e tutte quelle altre persone che grazie al loro intervento, riescono a salvare vite umane.
Sempre in ambito lavorativo ci sono scienziati e ricercatori che vivono la loro professione come una missione a favore dell’umanità e vedono la loro esistenza come un mezzo per aiutare gli altri, creando qualcosa di cui la società ha bisogno o fare una scoperta sensazionale che serva a migliorare la qualità della vita o rimanga nella storia.
Forse riescono a dare un senso al loro essere anche gli assetati di potere e di denaro, il cui fine è quello di accumulare ricchezza e diventare sempre più potenti perché hanno come obiettivo finale quello di primeggiare sugli altri, comandare, impartire ordini e sentirsi su un piedistallo, in quanto ricchi e potenti.
Poi c’è chi dà un senso alla propria vita grazie al successo, alla televisione o al cinema, diventando una star, ma anche chi, pur rimanendo nell’anonimato, si “accontenta” della sua piccola felicità individuale, di un’esistenza passata sempre negli stessi confini e nella quotidianità degli stessi gesti.
Infine ci sono persone che non si pongono la domanda se siano felici o meno, ma vivono in una sorta di rassegnazione del loro stato.
Ma tutto questo basta a dare un senso alla nostra vita? O c’è il rischio che l’insoddisfazione e la ricerca di emozioni possano affiorare periodicamente?
Forse uno degli scopi più importanti di vivere in questa società potrebbe essere quello di capire e imparare.
Quando veniamo al mondo tutti abbiamo conoscenze molto limitate: fin da piccoli siamo attratti dalle cose che ci circondano e la nostra crescita fisica va a braccetto col nostro apprendimento. Il neonato osserva attentamente ciò che vede, capisce come funziona e poi cerca di fare lo stesso utilizzando gli strumenti di cui dispone; impara prima a parlare, poi a camminare e apprende sempre più velocemente. La nostra infanzia è una costante crescita: cerchiamo di acquisire nozioni ed esperienze da tutto quello che ci sta attorno e ogni qualvolta riusciamo a compiere un passo avanti è una gioia.
Poi improvvisamente diventiamo “adulti” e senza apparente motivo, ci sentiamo forti e potenti, smettendo i panni dell’umiltà per indossare quelli dell’arroganza e della superiorità: ci consideriamo insegnanti e ci sentiamo come Dio, convinti di non avere più nulla da imparare dagli altri e dalla vita.
Forse è per questo che il mondo è diventato egocentrico e quasi tutti pensano ai loro bisogni. Una scelta per certi versi legittima, sennonché, l’anelare verso l’egoismo sempre più incessante e sfrenato, ci ha tolto qualcosa.
Già, lo dicono in molti, ma cosa?
Qualcuno indica l’incoscienza della gioventù, altri la brillantezza, qualcun altro l’entusiasmo e altri ancora l’allegria tipica dei bambini, capaci di sorprendersi per le cose più banali.
É una delle conseguenze dell’essere adulti e della consapevolezza di quanto sia dura la vita e quanto sia difficile andare avanti, perché costretti ad affrontare problemi quotidiani, molto più grandi e complessi di quelli dei bambini.
In parte è vero: il mondo visto con gli occhi di un adulto è profondamente diverso da quello di un bambino; la presa di coscienza dei problemi della società è un macigno che un bambino difficilmente può comprendere o sopportare e le questioni legate alla sopravvivenza o alle continue esigenze degli adulti, sono profondamente diverse da quelle dei bambini.
Forse è per questo che, crescendo, abbiamo perso l’entusiasmo per le cose semplici e ridotto la nostra capacità di osservazione e apprendimento.
Un bambino vede il mondo senza pregiudizi, guarda il comportamento dei grandi e poi lo fa suo. E se ci sono comportamenti opposti, ne sceglie uno, oppure ne inventa uno personale, prendendo ciò che di buono trova nelle persone che conosce.
Il bambino inventa, gioisce, gioca con una palla e, se non ce l’ha, riesce a divertirsi ugualmente correndo in un lungo e in largo all’aria aperta, perché è in grado di apprezzare, in ogni momento, ciò che la vita gli offre, di apprendere e stupirsi davanti a ogni novità.
Tutte capacità che molti adulti hanno nascosto in qualche anfratto del loro io, finendo irrimediabilmente per perderle.
Credo che uno degli scopi della nostra vita sia quello di continuare a capire e imparare come funziona la vita stessa, osservando il mondo che ci circonda, il funzionamento delle cose, il comportamento delle persone e tutto ciò che accade nella Società.
Appena nati siamo vuoti, senza nulla, senza conoscenze, privi di qualsiasi esperienza, ma un poco alla volta iniziamo a capire come funziona il mondo, imparando.
Perché arrivati ad un certo punto dobbiamo smettere di apprendere? Perché quando diventiamo “adulti” ci consideriamo “arrivati” e il nostro approccio nei confronti della vita cambia rispetto a quando eravamo bambini?
Ma chi stabilisce, a livello intellettivo, chi è l’adulto e chi il bambino? L’età? Il titolo di studio? La disponibilità finanziaria, o cos’altro?
Chi stabilisce quando siamo maturi e non abbiamo più bisogno di imparare e se effettivamente sia questo che un adulto deve fare?
Credenti e atei hanno una convinzione comune: pensano che la vita, così come la concepiamo oggi e nello stato in cui siamo, possa essere vissuta solo qui, sulla Terra e con questa fisionomia. Quello che verrà dopo, se la morte definitiva o la vita eterna, sarà un altro spazio e un’altra dimensione.
Come siamo adesso, quindi, lo siamo soltanto qui. Questa è l’unica certezza che mette d’accordo tutte le persone e quasi tutte le religioni.
Sappiamo, inoltre, che il nostro corpo e i nostri pensieri non dureranno a lungo, ma sono destinati a consumarsi fino a morire e siamo perfettamente consci dei cambiamenti che sopraggiungono in noi nel corso della vita, dovuti agli anni trascorsi e alle esperienze vissute.
Per questo credo che uno dei motivi più importanti per i quali possiamo vivere debba essere la possibilità stessa di farlo, di poter osservare la vita quotidiana, perché solo il fatto di esistere ci dà la facoltà di apprendere dalla vita, aumentare e accumulare le nostre esperienze e la grande opportunità di assaporare sempre di più il mondo che ci circonda.
In tutte le sue sfaccettature
Angelo Bottiroli
Come di consuetudine, per le feste natalizie ho offerto ai lettori di Oggi Cronaca un capitolo omaggio del mio libro “Le Tre scelte della vita” che spero possiate aver apprezzato.