Venerdì 24 febbraio, alle 21.00, presso la Biblioteca Comunale “Roberto Allegri” di Serravalle Scrivia, continueranno gli appuntamenti dedicati a Dante e alla Divina Commedia. Benito Ciarlo e Andrea Chaves leggeranno e commenteranno il canto VI del Purgatorio che viene spesso definito il Canto di Sordello e dell’apostrofe contro l’Italia.
Si tratta di un canto politico in cui Dante impreca, con una sublime invettiva, alle discordie d’Italia e, perciò, fu il canto più caro agli uomini del nostro Risorgimento.
Questo canto corrisponde armonicamente agli altri due canti “politici”: il Sesto dell’Inferno e il Sesto del Paradiso. Nell’Inferno Ciacco delinea il dramma politico di Firenze del 1300, e nel Paradiso Giustiniano fa rivivere le plurisecolari vicende dell’Impero. Con perfetta simmetria, dunque, Dante si eleva gradatamente dalla visione politica particolare a una visione politica nazionale e universale.
Le anime dei morti violentemente si stringono, per chiedere suffragi, intorno a Dante, che ha ripreso il suo cammino e che riconosce fra di loro molti noti personaggi del suo tempo. La richiesta di preghiere da parte dei penitenti provoca un dubbio nel Poeta, il quale ha presente l’affermazione da Virgilio fatta nell’Eneide circa l’inutilità della preghiera per mutare un decreto divino: ma, spiega il maestro, vana è solo la supplica non rivolta al vero Dio, mentre nel mondo cristiano essa, con il suo ardore, può muovere a misericordia la volontà celeste. Virgilio poi si accosta a un’anima isolata dalle altre perché venga loro indicata la via migliore per salire: ma quella risponde chiedendo notizie della patria e della vita dei due pellegrini. Non appena Virgilio pronuncia il nome di Mantova, l’ombra si protende verso di lui, rivelandosi: « lo sono Sordello e sono della tua stessa terra » e abbracciandolo. Dante di fronte a questa manifestazione di amore patrio inizia una violenta invettiva contro l’Italia, i cui cittadini hanno dimenticato ogni virtù e ogni concordia, combattendosi come nemici. Invano Giustiniano ha riorganizzato le leggi della vita civile, se la Chiesa, intervenendo in campo politico, impedisce all’imperatore di governare. Del resto gli ultimi imperatori, presi dai problemi della Germania, non si sono più curati né dell’Italia né della città imperiale per eccellenza, Roma. L’apostrofe termina con la visione di Firenze dilaniata dalle lotte interne e incapace di darsi uno stabile governo.